Nel caso esaminato dalla Corte, il proprietario/locatario di un immobile aveva agito in giudizio nei confronti dell'inquilino/conduttore al fine di ottenere la risoluzione per inadempimento del contratto di locazione stipulato, ciò a seguito del mancato pagamento, da parte dell'inquilino, dei canoni di locazione pattuiti a contratto; il proprietario, inoltre, chiedeva la condanna del medesimo anche al risarcimento dei danni.
L'inquilino, tuttavia, si costituiva in giudizio, sostenendo che l’immobile fosse affetto da gravi vizi strutturali, tali da giustifica la mancata corresponsione del canone.
Il Tribunale di Campobasso, pronunciatosi in primo grado, aveva dichiarato la risoluzione per inadempimento del contratto di locazione stipulato tra i due soggetti, condannando l'inquilino dell’immobile al risarcimento dei danni.
La sentenza veniva, però, riformata in secondo grado, in quanto la Corte d’appello non riteneva sussistenti i presupposti per la risoluzione.
Di conseguenza, l'inquilino decideva di rivolgersi alla Corte di Cassazione per l’annullamento della sentenza a lui sfavorevole.
Secondo il ricorrente, in particolare, ai sensi dell’art. 1578 del c.c., l’immobile versava in “condizioni di inutilizzo totale o comunque di godimento gravemente ridotto dell’immobile tali da giustificare, ai sensi dell’art. 1460 del c.c., la mancata corresponsione dei canoni da parte del conduttore che, per conseguenza, non avrebbe dovuto essere considerato moroso”.
La Corte di Cassazione, tuttavia, riteneva il ricorso infondato, dal momento che la Corte d’appello aveva chiaramente argomentato in merito all’insussistenza di vizi che diminuissero “in modo apprezzabile l’idoneità all’uso pattuito” dell’immobile locato.
In particolare, la Corte d’appello aveva espressamente richiamato il comportamento dell'inquilino, il quale, pur avendo pagato solo il primo canone di locazione, aveva continuato “per oltre un anno a fruire normalmente dell’immobile svolgendovi l’attività commerciale alla quale lo stesso era destinato, con ciò dimostrando l’idoneità dello stesso all’uso convenuto, senza mai segnalare alla controparte – che pure lo diffidava ripetutamente di effettuare il pagamento dei canoni dovuti alcuna contestazione sullo stato dell’immobile locato”.
Pertanto, del tutto correttamente, la Corte di secondo grado, dopo aver ritenuto “non comprovato un vizio rilevante ai sensi dell’art. 1578 cod. civ.”, aveva “escluso la sussistenza di una condotta inadempiente e tale da giustificare la risoluzione del contratto in capo alla locatrice”.
Osservava la Cassazione, inoltre, come, in ogni caso, non sia “rinvenibile un potere di autotutela del credito da parte del conduttore che, a fronte dell’inadempimento del locatore, decida di non corrispondere i canoni dovuti”.
In sostanza, secondo la Cassazione, “al conduttore non è consentito di astenersi dal versare il canone, ovvero di ridurlo unilateralmente, nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione nel godimento del bene, e ciò anche quando si assume che tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore”.
Il conduttore, infatti, può legittimamente sospendere i pagamenti del canone “soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un’alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dal conduttore, condannando il medesimo al pagamento delle spese processuali.