Al fine di comprendere quanto recentemente deciso dalla Suprema Corte, va però preliminarmente ricordato che l’art. 2112 c.c., rubricato “mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda” dispone a tali riguardi
- che per trasferimento d’azienda si intende qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità;
- che, in caso di trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano;
- che, ferma restando la facoltà di esercitare il recesso ai sensi della normativa in materia di licenziamenti, il trasferimento d'azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento;
- che il lavoratore, le cui condizioni di lavoro subiscono una sostanziale modifica nei tre mesi successivi al trasferimento d'azienda, può rassegnare le proprie dimissioni.
Diversamente opinando, precisa la Suprema Corte, si finirebbe infatti per avallare il fenomeno elusivo del divieto contenuto nella disposizione richiamata.
La vicenda concretamente sottoposta all’attenzione del Supremo Collegio, in particolare, vedeva come protagonista un dipendente che era stato licenziato dalla società in cui lavorava all'esito di una procedura di licenziamento collettivo, per essere successivamente assunto, il giorno seguente, da un’altra società, la quale lo aveva poi a propria volta licenziato. Il lavoratore, quindi, aveva convenuto in giudizio le due società per sentire accertare e dichiarare che tra le stesse si era verificato un trasferimento di azienda, con conseguente diritto del lavoratore a transitare dalla cedente alla cessionaria.
Il Tribunale, tuttavia, aveva rigettato le domande attoree e la Corte di appello aveva poi confermato la sentenza di primo grado, osservando che presupposto necessario ai fini dell'applicazione dell'art. 2112 c.c. era la sussistenza del rapporto di lavoro al momento del trasferimento di azienda ed escludendo che tale circostanza fosse in concreto ravvisabile nel caso di specie.
Per la cassazione della sentenza aveva allora proposto ricorso il lavoratore, denunciando – per quanto qui di interesse – la violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c.: in accoglimento di tale censura sulla scorta del principio sopra richiamato, la Suprema Corte ha dunque cassato la sentenza.