La vicenda prendeva avvio dall’accusa per il
reato di
stalking di un uomo, per avere questi compiuto
atti persecutori nei confronti di una persona che abitava
nel suo stesso condominio, più precisamente nell'appartamento sottostante. Era stata così disposta una misura restrittiva consistente nel
divieto di avvicinamento all'edificio dove la persona offesa dimorava, mantenendosi a una distanza di almeno 50 metri.
Dato che il rispetto della misura da parte del responsabile, in questo caso, gli avrebbe reso
impossibile continuare ad abitare nel proprio appartamento, era stato proposto
ricorso prima al
tribunale del
riesame, poi, avverso l’
ordinanza di rigetto, in Cassazione.
La
Corte di Cassazione si è espressa al riguardo con la
sentenza n. 3240/2020, rilevando che sia sempre necessario operare un
contemperamento tra i diritti della persona offesa e quelli dell'indagato.
Già in precedenza la Corte aveva affermato la necessità di rendere conciliabile la prospettiva di tutelare la persona offesa
"con un adeguato sacrificio della libertà della ricorrente, che non può trasmodare in una limitazione di un diritto fondamentale, quale quello collegato all'uso della propria abitazione, al di là dell'effettiva tutela delle esigenze cautelari" (Cass. sent.n. 30926/2016).
Secondo la Suprema Corte, bisogna tenere distinti i casi in cui la
condotta è posta in essere all’interno di un contesto endofamiliare - in cui le modalità dello stalking si manifestino in un campo d'azione limitato a quel
luogo determinato, che è la
casa familiare - da quelli in cui, invece, i soggetti interessati non sono conviventi. In quest’ultimo caso,
il divieto di avvicinamento deve essere disposto con riferimento alla persona fisica della vittima, in qualunque dimensione spaziale essa si trovi a compiere gli atti della propria vita quotidiana.
A questo proposito, l'art.
282 ter c.p.p. coerentemente prevede la possibilità di imporre il
divieto di avvicinamento a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla vittima, ovvero di mantenersi ad una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa.
Al comma 4 la norma prevede poi che, quando la frequentazione dei luoghi ai quali è precluso l’avvicinamento sia
necessaria per motivi di lavoro ovvero per esigenze abitative del soggetto gravato dalla misura, al
giudice è fatto carico di prescriverne le relative modalità, con possibili limitazioni. Dunque,
“non è da un divieto di avvicinamento alla persona offesa che può derivare tout court il venir meno del diritto dell'indagato di dimorare lì dove abbia fissato la propria abitazione”.
Oltretutto, non bisogna trascurare il fatto che lo stesso art.
277 c.p.p., in tema di
misure cautelari personali, impone che le modalità esecutive di una qualsiasi misura restrittiva debbano in ogni caso
salvaguardare i diritti della persona che vi sia sottoposta, il cui esercizio non sia incompatibile con le esigenze cautelari del caso concreto.