Ebbene, la Suprema Cattedra nomofilattica ha stabilito che le fattispecie citate, realizzate nei confronti della medesima vittima, integrano, in ragione dell’unitarietà del fatto, un reato complesso ai sensi dell’art. 84 co. 1 c.p.
Giova ricordare che il problema dei rapporti tra lo stalking e l’omicidio si è posto in quanto l’art. 576 c.p. punisce con la pena dell’ergastolo l’omicidio aggravato da una serie di circostanze, tra le quali – a partire dal c.d. Codice Rosso, che ha introdotto il n. 5.1 – quella in cui l’omicidio venga commesso dall’autore del delitto previsto dall’art. 612 bis c.p. nei confronti della stessa persona offesa.
In particolare, nel caso di specie – noto alla cronaca come “omicidio Coviello” – il G.u.p. aveva condannato l’imputata per la continuazione tra i reati di atti persecutori e omicidio aggravato dai futili motivi per avere, dopo una lunga campagna persecutoria, ucciso una collega in un parcheggio multipiano di Sperlonga.
Sia l’imputata che il P.M. avevano proposto impugnazione e la Corte d’assise d’appello aveva riformato la sentenza di primo grado, assolvendo l’imputata dal reato di atti persecutori, riqualificando l'omicidio volontario in preterintenzionale e rideterminando la pena.
Tutte le parti avevano allora proposto ricorso in Cassazione e la Suprema Corte aveva annullato la sentenza: in sede di rinvio, la Corte distrettuale aveva rideterminato nuovamente la pena, ritenendo integrato il concorso tra il reato ex 612 bis c.p. e 576 n. 5.1) c.p. sulla scorta di un precedente giurisprudenziale della Cassazione.
Avverso tale sentenza era dunque proposto da tutti nuovo ricorso: tra le varie doglianze presentate dalle parti – che in questa sede non è rilevante esaminare nella loro completezza – è dunque comparsa quella relativa alla non configurabilità del concorso tra il reato di stalking e quello di omicidio aggravato, coerentemente a quanto stabilito da altra pronuncia della giurisprudenza di legittimità.
Sul punto, la Sezione V della Cassazione ha allora rilevato un contrasto giurisprudenziale e la questione è così giunta al vaglio delle Sezioni Unite.
Per comprendere la soluzione del Supremo Collegio, pare dunque opportuno riepilogare schematicamente le due diverse impostazioni esistenti in giurisprudenza:
a) il primo orientamento (espresso in Cass., Sez. I, 12/04/2019, n. 275481) considera la natura soggettiva dell’aggravante prevista dall’art. 576 n. 5.1) c.p. in quanto fondata sull’identità dell’autore dei due reati e ne desume che l’elemento aggravatore non è pertinente alla condotta, sicchè, non ravvisando un rapporto di specialità, conclude per l’inoperatività dell’art. 15 c.p. e per la sussistenza di un concorso di reati;
b) per il secondo orientamento (cfr. Cass., Sez. III, 13/10/2020, n. 280101), invece, il caso in esame realizza un’ipotesi di reato complesso, nella quale la fattispecie omicidiaria aggravata assorbe il disvalore degli atti persecutori. La natura dell’aggravante, secondo tale tesi, non è infatti soggettiva ma oggettiva, posto che il maggior disvalore del fatto è connesso non tanto alla persona dell’autore quanto piuttosto al fatto che l’omicidio rappresenti l’ultimo atto di una campagna persecutoria.
A fronte di questo quadro giurisprudenziale, le Sezioni Unite hanno sposato il secondo orientamento.
Secondo la Corte, in particolare, il dato positivo di riferimento per rispondere al quesito è proprio l’art. 84 c.p.: nel testo di questa norma, infatti, si individuano chiaramente due distinte ipotesi, quella del reato composto (costituito da elementi che di per sé integrerebbero altre figure criminose) e quella - che ricorre nella fattispecie in esame - del reato complesso circostanziato, nel quale ad una fattispecie base distintamente prevista come reato si aggiunge, quale circostanza aggravante, un fatto autonomamente incriminato.
La Corte, poi, ricorda che l’art. 84 è derogatorio rispetto all’art. 81 c.p., configurandosi il reato complesso come fattispecie di esenzione dal regime sanzionatorio del concorso formale, in quanto “assorbe” le pene stabilite per i singoli reati in quella stabilita per il reato complesso in ragione dell’unitarietà dell’azione complessiva.
La ratio dell’art. 84 c.p., infatti, è quella di evitare una duplicazione della risposta sanzionatoria per gli stessi fatti, duplicazione che violerebbe il principio del ne bis in idem.
Tutto ciò chiarito in relazione al reato complesso, le Sezioni Unite ne ravvisano tutti i requisiti nella fattispecie aggravata del reato di omicidio ex 576, co. 1, n. 5.1) rispetto al reato di atti persecutori, affermando che l’“omicidio volontario è aggravato, nell’ipotesi in esame, non per le caratteristiche personali del soggetto agente, ossia l’essere un persecutore, ma per ciò che egli ha fatto, vale a dire per il fatto persecutorio commesso. Fatto che in quanto tale, e non solo per il suo significato in termini di capacità criminale del soggetto agente, è costitutivo della fattispecie astratta di un reato a questo punto complesso nella forma circostanziata”.