La vicenda giudiziaria da cui ha avuto origine detta pronuncia vedeva protagonista un uomo in capo al quale, con la sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio da lui contratto, era sorto l’obbligo di corrispondere mensilmente una somma a titolo di mantenimento per le due figlie.
Queste ultime, dopo aver conseguito la laurea, si sposavano, rispettivamente, nel 1994 e nel 1998, facendo, così, venir meno l’obbligo del padre di contribuire al loro mantenimento, essendo ormai divenute economicamente autonome.
Nel 2006, tuttavia, la madre notificava all’ex marito un atto di precetto con cui gli chiedeva il pagamento della somma corrispondente al contributo al mantenimento delle figlie per i precedenti cinque anni. L’uomo, nonostante non vi fosse più tenuto dal momento in cui le figlie avevano contratto matrimonio, procedeva ugualmente al pagamento della somma richiesta dall’ex moglie.
Successivamente, però, quest’ultimo conveniva in giudizio l’ex moglie, chiedendone la condanna alla restituzione di quanto versatole a titolo di mantenimento delle figlie che, nel frattempo, erano divenute maggiorenni ed economicamente autonome. Lo stesso chiedeva, poi, in subordine, la condanna della controparte al risarcimento del danno derivato dall’appropriazione indebita delle somme da lei ricevute come contributo al mantenimento delle figlie.
Il Tribunale adito rigettava la domanda restitutoria ma accoglieva quella risarcitoria. L’attore si rivolgeva, dunque, alla Corte d’Appello che rigettava la sua domanda restitutoria accogliendo, invece, l’appello incidentale con cui l’ex moglie aveva impugnato la condanna al risarcimento emessa nei suoi confronti dal giudice di prime cure.
Secondo la Corte d’Appello, infatti, non era possibile procedere alla ripetizione delle somme versate dall’appellante in quanto le stesse erano state corrisposte sulla base di un valido titolo giudiziale, il quale imponeva all’uomo un obbligo di mantenimento a favore delle figlie che era venuto meno soltanto nel 2007, anno in cui lo stesso aveva richiesto la revisione delle precedenti condizioni economiche.
L’uomo, rimasto soccombente nel giudizio d’appello, ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando la violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 del c.c. derivante dal mancato riconoscimento, da parte del giudice di secondo grado, della natura indebita del pagamento ricevuto dall’ex moglie a titolo di mantenimento per le figlie, nonostante tale vincolo obbligatorio fosse cessato, quantomeno, con il loro matrimonio.
La Suprema Corte ha ritenuto fondata tale doglianza, accogliendo il ricorso.
I giudici di legittimità non hanno ritenuto condivisibile il ragionamento seguito dalla Corte d’Appello, evidenziando come costituisca rilievo decisivo il fatto che entrambe le figlie del ricorrente, contraendo matrimonio, abbiano raggiunto in modo definitivo l’autosufficienza economica, facendo, così, venir meno l’obbligo del padre di mantenerle.
Secondo gli Ermellini, inoltre, il fatto che il ricorrente abbia chiesto al revisione delle condizioni economiche soltanto più tardi rispetto a tali eventi, non gli impedisce di agire ex art. 2033 del c.c. al fine di ottenere la ripetizione di quanto indebitamente versato. Tale previsione ha, infatti, carattere generale e trova applicazione ogniqualvolta ci si trovi di fronte ad un titolo di pagamento inesistente, sia che tale inesistenza sia originaria che sopravvenuta, e qualunque ne sia la sua causa.
Alla luce di tali considerazioni, la Cassazione ha, pertanto, dichiarato che le somme versate dal genitore obbligato all’ex coniuge sono irripetibili soltanto qualora le stesse abbiano concretamente svolto una funzione alimentare, la quale, però, non sussiste nel caso in cui, come in quello in esame, ne abbiano tratto vantaggio dei figli maggiorenni ed economicamente indipendenti.