Prima di vedere nel dettaglio cosa hanno affermato gli Ermellini, è però necessario effettuare una breve disamina della vicenda su cui si è pronunciata la Suprema Corte, per comprendere le ragioni e gli effetti della sua pronuncia.
La vicenda riguardava una società, la quale partecipava ad una gara di appalto bandita da un Comune. La stessa inviava la propria offerta usufruendo del servizio postale, di competenza di Poste Italiane, denominato “Posta Celere 1 Plus”. In particolare, tale servizio veniva indicato come il più rapido, in quanto permetteva la consegna del plico in un solo giorno.
Nonostante le indicazioni, l’offerta veniva consegnata all’ente locale dopo ben 5 giorni dal suo invio, superando di gran lunga il termine di scadenza indicato nel bando. Ciò determinava l’automatica esclusione della società offerente dalla gara d’appalto, nonostante l’elevata probabilità per la medesima di vincere la gara, dal momento che la sua offerta era la più vantaggiosa.
La società, quindi, agiva contro Poste Italiane, al fine di ottenere il risarcimento del danno subito. Il Tribunale di Bari, però, riconosceva la responsabilità del gestore del servizio postale per il ritardo nella consegna, ma al contempo affermava che, in forza della disciplina operante in materia, ovvero il D.M. 26/2004, c.d. Carta della qualità del Servizio Pubblico, Poste Italiane è subordinata ad un regime giuridico speciale, per cui la stessa non risponde dei danni arrecati per l’intero, bensì solo entro i limiti del costo della spedizione.
Contro la pronuncia di primo grado proponeva appello la società danneggiata. La Corte d’appello, tuttavia, confermava la sentenza del Tribunale affermando che, sebbene la legge che limita la responsabilità di Poste italiane fosse stata dichiarata incostituzionale, il richiamato D.M. 26/2004 limita la responsabilità del gestore entro il costo della spedizione.
Pertanto, Poste italiane non poteva essere condannata a risarcire i danni derivanti dalla ritardata consegna del plico, rilevando altresì l’accettazione, da parte della società ricorrente, di tutte le clausole limitative della responsabilità previste in favore del gestore.
La società proponeva quindi ricorso per Cassazione. I giudici di legittimità, nell’accogliere le ragioni della società ricorrente, procedono ad una breve analisi della disciplina in materia di responsabilità del gestore del servizio postale.
In origine, il D.P.R. n. 156/1973 prevedeva, a favore di Poste Italiane, la totale esclusione di ogni forma di responsabilità. Il legislatore poi, con il già citato D.M. 26/2004, ha corretto il tiro, in quanto ha previsto una responsabilità, per i casi di ritardata consegna, nei limiti del costo della spedizione.
Sulla disciplina descritta è però intervenuta la Corte Costituzionale, con declaratoria di illegittimità costituzionale del D.P.R 156/73, poiché, secondo il giudice delle leggi, la stessa determinava la sussistenza, in capo al gestore del servizio postale, di un ingiustificato trattamento privilegiato, che andava a detrimento della posizione degli utenti del servizio, creando quindi un forte squilibrio tra le parti.
Illegittima, quindi, è altresì la previsione per cui il risarcimento è pari al solo costo della spedizione. Infatti, il mero rimborso del costo della spedizione (che nel caso di specie era pari a 9 €) non può essere idoneo a risarcire l’utente dell’eventuale danno subito dalla perdita o dal ritardo nella consegna del plico.
In conclusione, la Cassazione ha fornito il seguente principio di diritto, per cui “Poste italiane Spa, qualora non provi che l'inadempimento sia stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa ad essa non imputabile, è tenuta al risarcimento del danno prevedibile derivante dal mancato recapito della spedizione, non costituendo peraltro l'imprevedibilità del danno un limite all'esistenza del medesimo, ma soltanto alla misura del suo ammontare e restando escluso che il danno possa essere circoscritto alla sola spesa della spedizione”.