È quanto si legge nell’art. 149 bis c.p.c., introdotto dall’art. 4 del D.L. n. 193/2009 (convertito nella Legge n.24/2010) in materia di digitalizzazione della giustizia nonché nella L. n. 53/1994, come modificata nel 2014, che abilita anche gli avvocati alla notifica a mezzo Pec.
Data la straordinaria diffusione di tale meccanismo telematico – funzionale alla riduzione dei tempi processuali – è già stato chiarito a più riprese dalla Corte di Cassazione che al fine del perfezionamento della notifica a mezzo PEC non è sufficiente la ricevuta di accettazione che si genera nel momento in cui il messaggio è spedito e preso in carico dal sistema. È necessaria, infatti, anche la c.d. RAC, cioè la ricevuta di avvenuta consegna, generata solo quando il messaggio è disponibile per il destinatario nella sua casella informatica.
Ma che accade nel caso in cui quest’ultima sia piena di messaggi e non consenta la ricezione del messaggio informatico?
Ebbene, la Corte di Cassazione - con sentenza n. 40758 del 20 dicembre 2021 - ha affrontato proprio la questione della notifica telematica di un atto nei confronti di un soggetto la cui casella PEC risulti “piena” per inadeguata gestione dello spazio di archiviazione.
Sul punto, segnatamente, premesso che in una siffatta evenienza non si genera la ricevuta di avvenuta consegna e pertanto la notifica a mezzo PEC non si perfeziona, la Suprema Corte ha chiarito che il notificante ha l’“onere, anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, di riprendere idoneamente il procedimento notificatorio presso il domiciliatario (fisico) eletto, in un tempo adeguatamente contenuto”.
Sottolinea la Cassazione, infatti, che la facoltà di notificare gli atti in via telematica non toglie la prerogativa processuale delle parti di individuare un domicilio fisico in un luogo specifico, eventualmente in associazione a quello digitale, per la notifica degli atti. Nel caso in cui la notifica a mezzo PEC non vada a buon fine per “casella piena”, pertanto, il notificante dovrà procedere secondo le regole generali dettate dagli articoli 137 ss. c.p.c.
La vicenda giunta al vaglio degli Ermellini, nello specifico, riguardava l’azione risarcitoria proposta da un avvocato avverso Poste Italiane per ragioni nel cui merito non è qui rilevante entrare.
In primo grado l’attore aveva visto accolta la propria domanda giudiziale, ma le Poste Italiane avevano impugnato la sentenza di condanna, ottenendone la riforma.
L’attore, pertanto, aveva predisposto un ricorso in Cassazione e lo aveva notificato telematicamente alla controparte. La casella PEC del difensore di Poste Italiane, tuttavia, non aveva spazio di archiviazione residuo, sicchè il sistema telematico, pur generando la ricevuta di accettazione, non aveva consegnato il messaggio al destinatario e non aveva generato la RAC.
Sulla scorta di quanto sopra riportato, dunque, la Suprema Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile.