Nel caso esaminato dal Tribunale, un soggetto era stato imputato per aver maltrattato la moglie, “picchiandola, ingiuriandola, minacciandola e sottoponendola abitualmente a una serie di atti lesivi dell'integrità fisica e della sfera morale al fine di costringerla ad un regime di vita dolosamente vessatorio”.
L’uomo, in particolare, a causa della sua gelosia, aveva costretto la moglie a rimanere chiusa in casa, impedendole perfino di accompagnare i figli a scuola.
Inoltre, l’aveva costretta “a chiudersi nella camera da letto ogni volta che un uomo veniva a fare visita al marito” e, in un’occasione, l’aveva colpita “con un calcio alle costole, costringendola a ricorrere alle cure dei sanitari”, ai quali, per paura, aveva riferito di “essere caduta accidentalmente”; la stessa veniva più volte offesa “con termini quali "puttana", e picchiata, altresì, con schiaffi alla testa oppure con calci e pugni e ciò in modo sistematico, più volte al mese e per tutto il periodo della loro convivenza”.
Esaminata la questione ed esperita la fase istruttoria, il Tribunale considerava le prove assunte non sufficienti al fine di ritenere provata “oltre ogni ragionevole dubbio, la penale responsabilità dell'imputato per il reato a lui ascritto”.
Osservava il Tribunale, infatti, come, in base al consolidato orientamento della giurisprudenza della Corte di Cassazione, “il concetto di maltrattamenti di cui all'art. 572 c.p. presuppone ‘una condotta abituale, che si estrinseca in più atti lesivi, realizzati in tempi successivi, dell'integrità, della libertà, dell'onore, del decoro del soggetto passivo o più semplicemente in atti di disprezzo, di umiliazione, di asservimento che offendono la dignità della vittima’” (Corte di Cassazione, sentenza n. 45037/2010).
Il legislatore, infatti, osservava la Corte, con tale previsione normativa, “ha attribuito particolare disvalore soltanto alla reiterata aggressione all'altrui personalità, assegnando autonomo rilievo penale all'imposizione di un sistema di vita caratterizzato da sofferenze, afflizioni, lesioni dell'integrità fisica o psichica, le quali incidono negativamente sulla personalità della vittima".
Di conseguenza, sempre secondo quanto affermato dalla Cassazione, devono ritenersi esclusi dalla fattispecie di cui all’art. 572 c.p., “atti episodici, pur lesivi dei diritti fondamentali della persona, ma non riconducibili nell'ambito della descritta cornice unitaria, perché traggono origine da situazioni contingenti e particolari che sempre possono verificarsi nei rapporti interpersonali di una convivenza familiare, che conservano eventualmente, se ne ricorrono i presupposti, la propria autonomia come delitti contro la persona, già di per sé sanzionati dall'ordinamento giuridico".
Nel caso in esame, il Tribunale osservava come risultassero provati solamente dei “litigi, legati alla gelosia del marito, all'educazione dei figli o a problemi economici della coppia, occasionalmente degenerati (dieci occasioni ai massimo in undici anni, come affermato dalla denunciante in dibattimento) in sberle al volto, ed in un caso in un calcio al torace”.
Pertanto, “ferma la censurabilità dei singoli attentati all'integrità fisica e morale” della moglie e “la loro rilevanza penale quali percosse, ingiurie e lesioni (…), ciò che difetta è proprio la sistematicità e continuità nel tempo di una condotta maltrattante propriamente intesa, sorretta dal dolo di infliggere al coniuge condizioni di vita intollerabili”.
In altri termini, secondo il Tribunale, laddove i maltrattamenti si risolvano in atti di violenza isolati e occasionali, non può ritenersi integrata la fattispecie dei “maltrattamenti in famiglia” ma, al massimo, quella di percosse, ingiurie e lesioni.
Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale assolveva l’imputato dal reato di cui all’art. 572 c.p., perché il fatto non sussiste.