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Minori stranieri: i contatti audio-video non assicurano la relazione con i genitori

Famiglia - -
Minori stranieri: i contatti audio-video non assicurano la relazione con i genitori
La Cassazione ribadisce la necessità di tutelare il diritto del minore a rapporti continuativi con entrambi i genitori, anche in deroga alle norme sull’immigrazione.
Con l’ordinanza n. 11274/2019, la Prima Sezione Civile della Cassazione interviene in merito ai presupposti della speciale autorizzazione prevista dall’art. 31 del D. Lgs. n. 286/1998 (T.U. Immigrazione), comma 3.
La norma in questione attribuisce al Tribunale per i minorenni, in presenza di “gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico”, e tenuto conto dell'età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, il potere di autorizzare l'ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni dello stesso D. Lgs. n. 286/1998.
Secondo la Suprema Corte, l'art. 31 del T.U. sull'immigrazione non può essere interpretato in senso restrittivo, in quanto tutela il diritto del minore ad avere rapporti continuativi con entrambi i genitori, addirittura in deroga, ove necessario, alle altre disposizioni del Testo Unico, nei confronti di qualsiasi danno grave che il minore potrebbe subire.
La vicenda trae origine dal ricorso presentato dinanzi al Tribunale per i minorenni da una coppia di cittadini albanesi, genitori di due gemelli, per ottenere appunto l'autorizzazione a permanere nel territorio nazionale, prevista dall’art. 31, comma 3, D. Lgs. n. 286/98, per un tempo determinato, per gravi motivi connessi allo sviluppo psico fisico dei minori i quali dimoravano in Italia presso il loro zio paterno in possesso di regolare permesso di soggiorno.
La domanda veniva respinta, così come il reclamo successivamente proposto dai genitori: in particolare, secondo la Corte d'Appello, non era possibile pronosticare che il distacco fisico dei figli dai genitori compromettesse gravemente lo sviluppo normale della personalità dei minori. Ciò in considerazione dell'età dei ragazzi, del fatto che questi erano inseriti in un ambito familiare allargato in cui era presente lo zio, al quale i minori avrebbero potuto essere legalmente affidati sulla base delle "cospicue risorse, morali ed economiche" di cui lo stesso disponeva.
Inoltre, secondo la Corte di secondo grado i figli avrebbero potuto agevolmente mantenere i contatti con i genitori, tenuto conto sia delle sempre più facili e articolate possibilità di contatti audio video sia della ridotta distanza tra Italia e Albania, che i ragazzi avrebbero potuto raggiungere nei periodi di vacanza scolastica.
Avverso il provvedimento di secondo grado i genitori ricorrevano in cassazione.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso.
Preliminarmente, la Cassazione ribadisce che la disciplina di cui al terzo comma dell'art. 31 del T.U. Immigrazione non può essere intesa come volta ad assicurare una generica tutela del diritto alla coesione familiare del minore e dei suoi genitori.
In conseguenza di ciò, grava sul ricorrente l'onere di allegare la specifica situazione di grave pregiudizio che potrebbe derivare al minore dall'allontanamento del genitore.
Secondo la Corte, l’art. 31 comma 3 T.U. Immigrazione assolve ad una funzione di bilanciamento tra due contrapposte esigenze di tutela: da un lato, la tutela del minore; dall’altro, la necessità di assicurare agli Stati una ordinata regolamentazione dei flussi migratori.
Proprio nella prospettiva del contemperamento di questi interessi, sottolinea la Cassazione, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha disconosciuto al diritto alla vita privata e familiare natura di diritto assoluto, dichiarando che lo stesso possa essere sacrificato sulla base di politiche statali di disciplina dell'immigrazione.
In quest’ottica. anche il diritto all'unità familiare non ha carattere assoluto nel nostro ordinamento, ma può subire limitazioni proprio in virtù del contemperamento tra l’interesse dello straniero alla conservazione del nucleo familiare con gli altri valori la cui tutela è perseguita dalle norme in tema di immigrazione.
Pertanto. chiarisce la Suprema Corte, è legittimo il mancato accoglimento dell'istanza di autorizzazione alla permanenza, sul territorio italiano, di un genitore straniero per la ritenuta insussistenza dei gravi motivi di cui all'art. 31, comma 3, del T.U. Immigrazione.
La pronuncia in commento rammenta poi la giurisprudenza delle Sezioni Unite, secondo cui l’autorizzazione alla permanenza temporanea in Italia del familiare del minore può essere concessa in relazione a qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile e obiettivamente grave che, in considerazione dell'età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psico-fisico, deriva o deriverà certamente al minore dall'allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall'ambiente in cui è cresciuto (cfr. SS.UU. sent. 21799/2010).
Ora, secondo la Cassazione, la valutazione espressa dalla Corte d’Appello non sarebbe rispondente a tali principi.
In primo luogo, stando al decreto impugnato, non sarebbe pronosticabile una situazione di disagio estremo, come se l’autorizzazione alla permanenza del genitore richiedesse necessariamente una situazione di eccezionale difficoltà e sofferenza: il che non è conforme ai citati principi enunciati dalle Sezioni Unite.
In secondo luogo, per la pronuncia in esame la Corte d’Appello avrebbe mostrato di pervenire ad una "incongrua svalutazione" del ruolo della figura genitoriale in un'età ancora cruciale per lo sviluppo del minore, eludendo altresì l'esigenza di bilanciamento tra i diversi interessi, nel momento in cui afferma che la relazione tra genitori e figli possa attuarsi tramite le sempre più facili e articolate possibilità di contatti audio­-video, o quando intende la frequentazione personale come limitata ai periodi di vacanza scolastica.
La Corte ha dunque cassato il decreto impugnato, rinviando dinanzi ad altra sezione della Corte d’Appello per il prosieguo del giudizio.


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