In particolare, se un soggetto compie atti osceni, è sempre perseguibile penalmente?
Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Bari aveva confermato la sentenza di primo grado, emessa dal Tribunale della stessa città, con la quale un imputato era stato dichiarato responsabile del reato di “atti osceni”, in quanto questi, mentre si trovava all’interno di un treno, aveva mostrato i propri organi genitali ai passeggeri.
Ritenendo la decisione ingiusta, l’imputato decideva di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Secondo il ricorrente, in particolare, i fatti in contestazione non erano stati commessi in “luogo pubblico”, come richiesto dalla norma incriminatrice e la Corte d’appello non aveva nemmeno adeguatamente valutato se la condotta dell’imputato era o meno percepibile da un numero indeterminato di soggetti.
Evidenziava il ricorrente, inoltre, che il reato in questione era stato depenalizzato con il decreto legislativo n. 8 del 2016 e, dunque, la fattispecie avrebbe dovuto essere ricondotta nell’ambito dell’art. 726 cod. pen. (atti contrari alla pubblica decenza).
La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover dar ragione all’imputato, accogliendo il relativo ricorso, in quanto fondato.
Osservava la Cassazione, infatti. che l’art. 2 del d. lgs. n. 8 del 2016 ha escluso la rilevanza penale degli atti osceni “laddove essi non siano stati commessi all’interno o nelle immediate vicinanze di luogo frequentato abitualmente da minori ed in quanto da tale frequentazione ne sia derivato il pericolo che essi vi abbiano assistito”.
In sostanza, ad oggi, commettere “atti osceni” in un luogo pubblico non è più reato, a meno che tale comportamento non venga posto in essere in un luogo che sia frequentato abitualmente da minorenni e vi sia il pericolo che i minorenni stessi vi possano assistere.
Ebbene, nel caso di specie, la condotta contestata all’imputato era stata posta in essere in un luogo pubblico ma non in un luogo frequentato abitualmente da minori, con la conseguenza che la stessa non poteva considerarsi penalmente rilevante, in virtù dell’avvenuta depenalizzazione.
Ciò considerato, la Corte di Cassazione annullava la sentenza di condanna emessa dalla Corte d’appello, in quanto perché il fatto “non è previsto dalla legge come reato”.