Con la
sentenza n. 10925/2019, la Prima Sezione Civile della Cassazione è intervenuta in merito ai requisiti necessari per il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di famiglia, previsto e disciplinato dal D. Lgs. n. 30/2007.
Nel caso oggetto della pronuncia, una cittadina extracomunitaria, sposata con un
cittadino italiano, aveva dapprima ottenuto il permesso in questione; successivamente, in prossimità della scadenza dello stesso ed avendo presentato tempestivamente istanza di rinnovo, si vedeva negare il titolo perché, in base agli accertamenti effettuati dalla Questura, i coniugi non sarebbero risultati conviventi.
L’interessata adiva allora la Cassazione.
I giudici di legittimità, nell'accogliere il ricorso, hanno precisato che nel caso in esame è applicabile la disciplina contenuta nel D. Lgs. 30/2007.
Ora, per la Cassazione, deve escludersi che tra i criteri di riconoscimento iniziale nonché di conservazione dei titoli di soggiorno previsti da tale normativa possa farsi rientrare, nell'ipotesi del coniuge del cittadino italiano (o dell' U.E.), la convivenza effettiva.
Infatti un simile criterio, secondo la Corte, deve ritenersi estraneo sia alla previsione dell'art. 7, comma 1, lett. d), relativo al diritto di soggiorno del familiare del cittadino italiano, sia alle previsioni di cui agli artt. 12 e 13 del D. Lgs. n. 30/2007, che regolano rispettivamente la conservazione del diritto di soggiorno in caso di divorzio o annullamento del
matrimonio e il limite del pericolo per l'
ordine e la
sicurezza pubblica.
Dunque, per la pronuncia in commento, il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari in favore di un cittadino extracomunitario, sposato con un cittadino italiano, non richiede né il requisito oggettivo della “convivenza” tra il coniuge italiano e il richiedente, né quello del pregresso regolare soggiorno del richiedente (così Cass. 5303/2014).
Sono fatte salve, però,le conseguenze dell’eventuale accertamento di un matrimonio fittizio o di convenienza, essendo tuttora vigente, anche perché espressamente previsto dall'art. 35 della Direttiva 2004/38/CE, il divieto di
abuso del diritto e di
frode, realizzabili mediante matrimoni fittizi contratti all'esclusivo fine di aggirare la normativa pubblicistica in tema di immigrazione.
Nel caso in esame, tuttavia, la richiesta di rinnovo del permesso era stata rigettata dal Questore sulla base della asserita mancanza di prova della convivenza. Viceversa, nessuna contestazione era stata mossa alla ricorrente in merito ad una eventuale natura fittizia del vincolo coniugale.
Sul punto, la Corte ha precisato che “il carattere fittizio del matrimonio… è cosa ben diversa dal requisito della convivenza”. In conseguenza di ciò, la Cassazione ha dichiarato la nullità della sentenza di secondo grado, che aveva invece respinto l’appello proprio sulla base di un presunto carattere fittizio del rapporto coniugale, anziché fondarsi sul difetto di convivenza che costituiva la motivazione del provvedimento di diniego adottato dalla Questura.
La Corte ha in proposito ricordato che “
l’accertamento giurisdizionale è strettamente vincolato dalla motivazione del provvedimento amministrativo”, pertanto nella fattispecie esaminata avrebbe dovuto limitarsi al riscontro, alla luce della disciplina applicabile, delle condizioni riconducibili all’unione coniugale.
In applicazione di tali principi, la Corte ha cassato la sentenza impugnata e deciso la causa nel merito, pronunciando la nullità del provvedimento di rifiuto del rinnovo del permesso di soggiorno emesso dal Questore nei confronti della ricorrente.