La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3028 del 23 gennaio 2018, si è occupata proprio di questa questione, fornendo alcune interessanti precisazioni sul punto.
Il caso sottoposto all’esame della Cassazione ha visto come protagonista il gestore di un bar, che era stato sottoposto a procedimento penale, con l’accusa di aver somministrato bevande alcoliche a minori di anni sedici (art. 689 c.p.).
L’imputato era stato assolto in primo grado ma il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, ritenendo la decisione contradditroria e illogica.
La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover aderire alle considerazioni svolte dal Procuratore, accogliendo il relativo ricorso, in quanto fondato.
Osservava la Cassazione, in proposito, il giudice di primo grado non aveva tenuto in adeguata considerazione il fatto che ben sei testimoni avevano confermato l’avvenuto consumo di bevande alcoliche da parte di minori, nel locale gestito dall’imputato, e che due di essi avevano anche indicato il tipo di bevanda che era stata venduta (nella specie, del whiskey).
Secondo la Cassazione, peraltro, appariva del tutto irrilevante che l’imputato non avesse somministrato direttamente le bevande e che vi avesse provveduto un suo dipendente, in quanto il soggetto che gestisce un esercizio commerciale riveste “una specifica posizione di garanzia a tutela di interessi diffusi” e, in virtù di tale responsabilità, “egli deve vigilare affinchè i propri dipendenti svolgano diligentemente i loro compiti ed osservino scrupolosamente le indicazioni impartite in ordine all’accertamento dell’effettiva età del consumatore”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dal Procuratore, annullando la sentenza impugnata e rinviando la causa al giudice di primo grado, affinchè questi provvedesse ad un nuovo esame della questione, sulla base dei principi sopra enunciati.