Queste sono state le parole annunciate sui social dalla famosa scrittrice e attivista sarda Michela Murgia che da poco ha sposato il compagno Lorenzo Terenzi con rito civile.
Secondo quanto annunciato dalla scrittrice, tale scelta è stata fatta “controvoglia” e «in articulo mortis» (in punto di morte) a causa del peggioramento delle sue condizioni di salute.
Infatti, la Murgia aveva annunciato qualche settimana fa di avere un tumore ormai al quarto stadio e di stare combattendo curandosi con l’immunoterapia, con l’obiettivo di guadagnare tempo prezioso.
Ma cosa significa espressione matrimonio in articulo mortis? Letteralmente significa matrimonio “in punto di morte” e si usa per indicare un matrimonio contratto in extremis. L'espressione è tratta dal frasario ecclesiastico e delinea un'azione compiuta quando una persona è in pericolo di vita.
L’art. 101 del codice civile stabilisce che, in caso di imminente pericolo di vita di uno degli sposi, l'ufficiale dello stato civile del luogo può procedere alla celebrazione del matrimonio senza pubblicazioni e senza l'assenso al matrimonio, se questo è richiesto, purché gli sposi prima giurino che non esistono tra loro impedimenti al matrimonio.
L'ufficiale dello stato civile, inoltre, deve accertare e dichiarare nell'atto di matrimonio l’effettiva sussistenza dell'imminente pericolo di vita. Il fondamento dell’art 101 c.c. sta nel fatto che vi è un pericolo così forte, rappresentato dalla malattia conclamata e in stato avanzato del coniuge, da rendere irrealizzabile la celebrazione delle nozze in futuro. Per questo la legge in extremis procede in assenza delle normali formalità.
Invece, con l’espressione nozze “controvoglia” la scrittrice si riferisce al fatto che ha visto il matrimonio come unica strada per il riconoscimento dei diritti civili e patrimoniali per lei e il suo compagno, che altrimenti non le sarebbero stati riconosciti.
Si prendano, ad esempio, i diritti successori che sono negati al convivente di fatto o al diritto di abitazione nella residenza familiare, anche questo fortemente limitato per il partner superstite non coniugato.
In verità, il matrimonio tradizionale non si allinea con le convinzioni e con l'idea di famiglia della scrittrice, la quale si è sempre schierata in favore della libertà di autodeterminazione nei rapporti personali, sentimentali e familiari.
Il termine queer, non ancora conosciuto da tutti, è un termine anglosassone che significa “strana/o” e che per molto tempo è stato usato in senso dispregiativo per indicare le persone omosessuali. Oggi invece è una parola rivendicata dalla stessa comunità LGBTQ+ (la Q della sigla sta appunto per queer), che riunisce e accoglie tutte le identità sessuali: lesbiche, gay, bisessuali, transgender-transessuali e queer. Il segno “+” in aggiunta, va ad includere tutti gli individui che si riconoscono in qualcos'altro rispetto alle categorie indicate nell'acronimo.
Il concetto di famiglia queer, per cui la Murgia si sta battendo, si riferisce al riconoscimento legale del diritto ad una famiglia non monogama, al di là dei vincoli di parentela o dei legami tradizionali, dove gli unici vincoli si basano solo sui legami affettivi, di qualsiasi tipo.
Per spiegarlo con le parole della Murgia: “un nucleo familiare atipico in cui le relazioni contano più dei ruoli”, sicuramente un concetto di famiglia che va oltre il significato attuale, tradizionale - e culturalmente riconosciuto - del termine.