Queste spese devono essere sostenute dal debitore o dal creditore pignorante?
Nel caso esaminato dalla Cassazione, il giudizio aveva ad oggetto la sussistenza o meno, a carico del creditore (società) che aveva proceduto al pignoramento di un immobile, dell'onere di anticipare le spese di conservazione dell’immobile stesso e, in particolare, di quelle “ritenute necessarie all’immediata conservazione e a evitare pericoli strutturali del cespite”.
Il Giudice dell’esecuzione aveva posto a carico della società creditrice l’anticipazione delle suddette spese; quest'ultima, tuttavia, non ritenendo corretta la decisione, si opponeva a provvedimento, ai sensi dell’art. 617 codice di procedura civile.
In primo grado, l’opposizione veniva rigettata, in quanto il Tribunale riteneva che tale onere di anticipazione si fondasse sull’art. 8 del D.P.R. n. 115/2002, il quale è riferibile “agli atti necessari del processo”, tra i quali deve ricondursi “ogni tipologia di attività funzionale allo svolgimento del processo e ad essa legata da rapporto di necessità”.
Secondo il Tribunale, peraltro, porre a carico del debitore le spese necessarie alla conservazione del bene pignorato, “significherebbe porle a carico di un soggetto il più delle volte impossibilitato e comunque disinteressato”.
Ritenendo la sentenza ingiusta, la società creditrice procedeva a proporre ricorso in Cassazione, evidenziando come la custodia del bene fosse “attività utile ma non necessaria, rispetto al processo esecutivo”.
Secondo la società, inoltre, “il debitore resta proprietario del bene, ancorchè non ne possa disporre”; pertanto, il medesimo ne conserva il possesso e risulta, per sua natura, il custode del bene stesso.
Pertanto, la società osservava che, ponendo a carico del creditore pignorante l’onere di anticipare le spese di conservazione e manutenzione, “si finirebbe per trasformare impropriamente lo stesso creditore in possessore ex lege del bene pignorato”.
La Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle argomentazioni svolte dalla società creditrice, evidenziando come “tra le spese che il Giudice dell’Esecuzione può porre in via di anticipazione a carico del creditore, in caso di disinteresse (ovvero, anche, di concreta indisponibilità) del debitore esecutato, rientrino anche le spese materiali, che risultino essenziali al mantenimento (…) del bene pignorato”.
Ebbene, nel caso di specie, secondo la Corte, occorreva dare applicazione al disposto di cui all’art. 8 del D.P.R. n. 115/2002, ai sensi del quale “ciascuna parte provvede alle spese degli atti processuali che compie e di quelli che chiede e le anticipa per gli atti necessari al processo, quando l’anticipazione è posta a suo carico dalla legge o dal magistrato”.
Tale disposizione, secondo la Cassazione, doveva ritenersi applicabile anche al processo esecutivo, “consentendo di individuare il soggetto che è tenuto all’anticipazione nella parte istante per l’esecuzione e, quindi, con riguardo all’espropriazione forzata, nel creditore procedente”.
Inoltre, secondo la Corte, tale disposizione risultava riferibile “sia alle spese giudiziarie che a quelle propriamente materiali necessarie per l’esecuzione”.
Per quanto riguarda, invece, il carattere “necessitato” o meno di tali spese, la Cassazione osservava che il risultato a cui si mira attraverso la procedura esecutiva “è quello della liquidazione di un cespite del patrimonio del debitore, per l’appunto, al fine del soddisfacimento dell’interesse del soggetto che l’ordinamento abilita a conseguire, per equivalente, il soddisfacimento del proprio diritto”.
Di conseguenza, tra le spese che devono essere anticipate dal creditore procedente, ai sensi della disposizione sopra citata, rientrano non solo le “spese giudiziarie vere e proprie, ma anche quelle spese, anch’esse immanenti alla realizzazione dello scopo proprio dell’espropriazione forzata, in quanto intese ad evitarne la chiusura anticipata, quali le spese necessarie al mantenimento in esistenza del bene pignorato, come quelle che attengono alla sua struttura o sono intese ad evitarne il crollo o, in genere, il perimento”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dalla società pignorante, condannando la medesima al pagamento delle spese processuali.