Nel caso esaminato, due soggetti avevano agito in giudizio nei confronti del Comune di Cursi, al fine di veder condannato il medesimo ad effettuare i lavori di manutenzione di uno stabile di sua proprietà, in modo tale da eliminare lo stato di degrado e di pericolo in cui versava.
Gli attori, in particolare, erano proprietari di un appartamento di tale fabbricato, che faceva parte di un contesto residenziale E.R.P. (Edilizia Residenziale Pubblica) e che era stato dai medesimi riscattato, dopo avervi alloggiato un periodo in virtù di assegnazione di alloggio.
Ebbene, gli attori evidenziavano come l’immobile in questione avesse subito dei danneggiamenti che dovevano ricondursi alla responsabilità esclusiva del Comune, che non aveva in alcun modo provveduto alla manutenzione straordinaria del fabbricato.
Di conseguenza, gli attori chiedevano che il Comune di Cursi fosse condannato a risarcire agli attori la somma di Euro 15.000.
Il Comune di Cursi si costituiva in giudizio, contestando le domande degli attori e sostenendo di non essere proprietario di alcun immobile, dal momento che le sei unità abitative che ne facevano parte erano state vendute dal Comune ad altri soggetti privati, che venivano, pertanto, chiamati in causa.
Secondo il Comune, inoltre, l’Amministrazione non doveva, comunque, ritenersi responsabile ai sensi degli artt. 2051 e 2043 cod. civ., in quanto “i fatti lamentati erano addebitabili al comportamento negligente degli attori che avevano omesso gli ordinari interventi manutentivi, oppure era ipotizzabile semmai un concorso colposo ex art. 1227 c.c.”.
Anche i chiamati in causa partecipavano al giudizio, chiedendo il rigetto delle domande formulate dagli attori, in quanto infondate.
Il Tribunale, nel decidere sulla questione, rilevava che il condominio si costituisce automaticamente, “senza che sia necessaria una delibera e nel momento in cui più soggetti costruiscono in un suolo comune, ovvero quando l'unico proprietario di un edificio cede a terzi piani o porzioni di essi in proprietà esclusiva, realizzando il cosiddetto frazionamento”.
Ciò premesso, il Giudice proseguiva evidenziando che, in materia condominiale, “il singolo condomino non può adire l'autorità giudiziaria senza prima aver interpellato l'assemblea”.
Infatti, ai sensi degli artt. 1105, 1134 e 1135 cod. civ., nonché ai sensi dell’art. 66 delle disposizioni attuative del codice civile, è l’assemblea di condominio la “autorità sovrana a decidere delle questioni relative alle opere di straordinaria manutenzione delle parti comuni dell'edificio”, in quanto, in tal modo, si “garantisce il diritto di tutti i partecipanti all'amministrazione della cosa comune”, consentendo ai condomini di partecipare alle scelte in materia di opere straordinarie.
L’assemblea di condominio, dunque, precisava il Tribunale, rappresenta l’organo sovrano del condominio stesso e la sua mancata convocazione impedisce al singolo condomino di rivolgersi all’autorità giudiziaria per far valere le proprie pretese, in quanto “solo delibere assembleari non conformi al diritto, fanno nascere in capo al condomino situazioni sostanziali tutelabili in via giurisdizionale”.
Nel caso di specie, Il Tribunale osservava che oggetto della domanda degli attori era “una attività di amministrazione concernente la gestione condominiale, la quale è demandata dalla legge agli organi del condominio (assemblea ed amministratore) e sottoposta in sede contenziosa ad un controllo quasi esclusivamente di legittimità, ovvero volto all'eventuale annullamento della delibera e non alla emanazione da parte del giudice di provvedimenti sostitutivi”.
In proposito, il Tribunale evidenziava come anche la Corte di Cassazione avesse precisato che “in tema di comunione, non sono proponibili azioni giudiziarie relativamente alle spese ed all'amministrazione delle cose comuni (in questa compresi gli atti di conservazione) prima che venga sollecitata e provocata una deliberazione dell'assemblea dei comproprietari, alla quale spetta ogni determinazione al riguardo” (Cass. civ., sentenza n. 4213 del 19 luglio 1982).
Nella medesima pronuncia, peraltro, la Cassazione aveva precisato che “mentre la deliberazione di maggioranza è impugnabile davanti al giudice, in via contenziosa, ove lesiva dei diritti individuali dei partecipanti dissenzienti, resta salva la possibilità, una volta convocata l'assemblea, in caso di omessa iniziativa della medesima e di mancata formazione di una volontà di maggioranza o di omessa esecuzione della deliberazione, di rivolgersi al giudice, non già in sede contenziosa, ma di volontaria giurisdizione, ai sensi del comma 4 dell'art. 1105 c.c.”.
In sostanza, dunque, “una volta convocata l'assemblea, in caso di mancata adozione dei provvedimenti necessari alla manutenzione della cosa comune, ovvero in caso della loro mancata esecuzione, il condomino interessato è tenuto ad adire il giudice in sede di volontaria giurisdizione, mentre solo nel caso in cui i provvedimenti di amministrazione siano stati adottati, ma risultino intollerabilmente incongrui, è previsto il ricorso al giudice in sede contenziosa, per il solo annullamento dei provvedimenti stessi, in quanto gravemente pregiudizievoli alla cosa comune ex art. 1109 1° co. n. 1 c.c.”.
Conseguentemente, secondo il Tribunale, poiché, nel caso di specie, gli attori non si erano nemmeno rivolti all’assemblea, prima di rivolgersi al giudice, la domanda doveva ritenersi inammissibile.
Osservava il Giudice, inoltre, che gli attori non potevano “lamentare danni all'alloggio di loro proprietà e alla salute, che avrebbero potuto evitare qualora si fossero attivati per tempo, sollecitando il condominio alla gestione della cosa comune, secondo l'iter previsto dalla legge in materia”.
Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale dichiarava inammissibile la domanda formulata dagli attori, compensando tra le parti le spese di lite, in ragione della complessità della vicenda.