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Licenziata poco dopo le nozze

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Licenziata poco dopo le nozze
Condannato alla reintegra nel posto di lavoro e al risarcimento dei danni il datore di lavoro che aveva licenziato la lavoratrice poco dopo il matrimonio.
Il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 1689 del 7 giugno 2016, si è occupato di un interessante caso di impugnazione del licenziamento, intimato, secondo il datore di lavoro, per giusta causa.

Nel caso esaminato dal Tribunale, una lavoratrice dipendente sosteneva di aver contratto matrimonio in data 03 luglio 2015 e di essere stata licenziata il successivo 28 luglio 2015 per un asserito “gravissimo inadempimento degli obblighi contrattuali dovuti ad insubordinazione disciplinare e ad assenze ingiustificate”.

La dipendente, ritenendo il licenziamento illegittimo, chiedeva di condannare il datore di lavoro a reintegrarla nel posto di lavoro e al risarcimento del danno, quantificato nella misura delle mensilità retributive perse a causa della illegittima risoluzione del rapporto di lavoro.

Il Tribunale di Milano riteneva di dover aderire alle argomentazioni svolte dalla ricorrente, accogliendo il relativo ricorso in quanto fondato.

Secondo il Tribunale, infatti, era documentalmente provato che la donna avesse contratto matrimonio e fosse stata, poco dopo, licenziata.

Osservava il Tribunale, in particolare, come il licenziamento fosse stato intimato “nel periodo assistito dal divieto legale, ai sensi dell'art. 35 D.Lgs. 11 aprile 2006 n. 198” che sancisce la nullità dei “licenziamenti attuati a causa di matrimonio”, presumendosi tali quelli intimati “nel periodo decorrente dalla richiesta delle pubblicazioni sino ad un anno dopo la celebrazione”.

Evidenziava il Tribunale come tale presunzione legale non sia assoluta, potendo la stessa essere vinta dal datore di lavoro mediante la prova della sussistenza “di una delle cause di licenziamento tassativamente elencate nel citato comma 5 dell'art. 35 D.Lgs. 11 aprile 2006 n. 198”, tra le quali rientra il caso di "colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro".

Nel caso di specie, tuttavia, il datore di lavoro non aveva offerto “alcuna prova della sussistenza delle ragioni addotte a fondamento del recesso, né comunque del fatto che tale atto fosse sorretto da giusta causa”.

Pertanto, stante la mancata prova di una "colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro", il datore di lavoro “non aveva superato la presunzione legale che il licenziamento fosse stato attuato a causa di matrimonio”, con la conseguenza che il licenziamento doveva ritenersi radicalmente nullo, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 35 D.Lgs. 11 aprile 2006 n. 198.

Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale riteneva, inoltre, che dovesse essere “ordinata la reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro” e che il datore di lavoro dovesse essere condannato “al risarcimento del danno in favore della stessa”, liquidato “in misura pari alle retribuzioni non corrisposte dal giorno del licenziamento (3 agosto 2015) alla reintegrazione.


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