Il datore di lavoro, dunque, comminava la sanzione espulsiva del licenziamento, addebitando al lavoratore un illecito utilizzo dei permessi sindacali, al fine di astenersi dall'attività lavorativa.
Tuttavia, il giudice di seconda istanza rilevava che il CCNL applicabile non contemplava la specifica condotta posta in essere dal lavoratore, limitandosi a prevedere l'ingiustificata astensione dal lavoro punita con la sanzione conservativa della sospensione.
Sulla scorta di tali osservazioni, il recesso datoriale si profilava ingiusto e sproporzionato.
Pertanto, la Corte d'appello, in accoglimento del reclamo del lavoratore ed in riforma della sentenza di primo grado, annullava il licenziamento illegittimamente intimato, ordinando la reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro, con condanna del datore di lavoro alla corresponsione di una somma di denaro a titolo di indennità risarcitoria, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 18, comma 4, Statuto dei lavoratori.
Avverso la decisione della Corte d'appello, il datore di lavoro proponeva ricorso in Cassazione formulando sei motivi, tutti ritenuti infondati, ad eccezione di quello concernente la violazione e falsa applicazione dell'art. 18, commi 4 e 5, L. 300/1970.
La Corte di Cassazione, infatti, con sentenza n. 28098/2019 dello scorso 31 ottobre, pur confermando l'illegittimità del licenziamento, ha escluso la reintegrazione del lavoratore, riconoscendo in favore di quest'ultimo la sola tutela indennitaria.
Segnatamente, i giudici di legittimità hanno autorevolmente ribadito che, in caso di licenziamento illegittimo, la reintegrazione nel posto di lavoro è subordinata alla sussistenza congiunta dei seguenti presupposti:
- sussunzione della fattispecie concreta contestata al lavoratore in quella astratta tipizzata nel contesto del contratto collettivo applicabile;
- punibilità della condotta ascrivibile al lavoratore con una sanzione conservativa (e non con il licenziamento).
Ne consegue che, in caso di fattispecie analoga non sussumibile, non potrà operare la tutela reintegratoria (c.d. "tutela reale piena") normativamente prevista dall'art. 18, comma 4, L. n. 300/70, così come modificato dalla L. n. 92/2012 (Legge Fornero), bensì la diversa forma di tutela indennitaria di cui al comma 5 del medesimo articolo.
La Cassazione, ancora una volta, quindi, conferma l'orientamento ormai consolidatosi, secondo cui: "La valutazione di non proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato ed accertato rientra poi nel IV comma dell'art. 18 solo nell'ipotesi in cui lo scollamento tra la gravità della condotta realizzata e la sanzione adottata risulti dalle previsioni dei contratti collettivi ovvero dai codici disciplinari applicabili, che ad essa facciano corrispondere una sanzione conservativa. Al di fuori di tale caso, la sproporzione tra la condotta e la sanzione espulsiva rientra nelle "altre ipotesi" in cui non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa, per le quali il V comma dell'art. 18 prevede la tutela indennitaria c.d. forte" (Cass. Civ., Sez. Lav., n. 13178/2017)