Già la Corte d'appello di Brescia aveva ritenuto legittimo il licenziamento disciplinare intimato alla dipendente. La decisione è stata confermata dalla Corte di Cassazione, con sentenza 3133/2019.
La segretaria aveva effettuato circa 6.000 accessi a internet in 18 mesi, la maggior parte dei quali su Facebook.
I giudici hanno ritenuto che tale comportamento non fosse connesso all'adempimento delle prestazioni lavorative, anzi ciò sarebbe stata la conferma di un grave inadempimento.
La segretaria aveva provato ad obiettare che non fosse stata lei ad effettuare tutti gli accessi ad internet, ma l'accesso a Facebook poteva essere effettuato solo con le credenziali personali, per cui la Corte d'appello è giunta alla conclusione che solo lei avrebbe potuto accedere.
La Cassazione ha respinto il ricorso della dipendente, la quale aveva sostenuto l'inutilizzabilità del report sulla cronologia del computer per violazione della privacy, sulla base di rilievi di ordine processuale. Infatti la lavoratrice non aveva proposto la questione nei precedenti gradi del giudizio.
La stessa aveva contestato i documenti relativi all'utilizzo di internet nell'orario di lavoro, ma senza riportare a sua difesa prove esaustive.
Sulla base di ciò la Cassazione ha confermato la validità del licenziamento disciplinare per abnorme utilizzo di internet e accesso al social network Facebook in orario di lavoro e per esigenze ad esso estranee.