Solo all’inizio del 2024, la Corte di Cassazione si è pronunciata per più di sei volte in merito alle richieste di risarcimento del danno avanzate da lavoratori nei confronti del proprio datore di lavoro. Il risarcimento è stato richiesto, da parte dei lavoratori, sia per causa di mobbing sia, più in generale, per aver lavorato più ore del dovuto, in base a quanto previsto dal CCNL e dalla legge.
A tal proposito, va fatta una breve premessa sull’origine delle tutele garantite dal sistema giuridico italiano nei confronti dei lavoratori. Il quadro normativo attorno al quale si delinea la tutela del lavoratore è costituito, principalmente, da 3 articoli:
• L’art. 32 Cost. che prevede il diritto alla salute, sia fisica che mentale: tale diritto è costituzionalmente garantito, in quanto fondamentale per l’individuo;
• L’art. 36 Cost., che sancisce il diritto al riposo, prevedendo che la durata massima della giornata lavorativa sia stabilita dalla legge e che al lavoratore spettino sia il riposo settimanale, sia le ferie annuali retribuite, senza possibilità di rinuncia;
• L’art. 2087 del c.c., che obbliga il datore di lavoro ad adottare, nella sua impresa, tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
Ora, nella maggior parte dei CCNL di riferimento, le ore settimanali in cui un lavoratore può prestare la propria opera sono riconosciute in un massimo di 40. Il lavoro eccedente le 40 ore viene definito come lavoro straordinario e non può superare le 8 ore settimanali.
Ogni tipo di lavoro che richieda al lavoratore di prestare servizio per oltre 48 ore non si potrà definire come “straordinario”, bensì costituirà un illecito. Inoltre, tra un turno e l’altro dev’essere rispettato un riposo mai inferiore ad 11 ore.
Vi sono poi altri contratti collettivi che si discostano da quanto appena esposto, prevedendo meno ore di lavoro settimanale, a cui non si applicherà la sopracitata disciplina del lavoro straordinario.
Posti questi limiti tassativi, le azioni disponibili per il lavoratore costretto a prestare la propria opera professionale in un ambiente stressogeno sono principalmente due, una delle quali del tutto nuova:
• Richiesta di risarcimento del danno per “mobbing”: si chiama mobbing quella condotta, posta in essere dal datore di lavoro, particolarmente persecutoria ed aggressiva, che ha come unico obiettivo quello di porre in una situazione di disagio psicofisico il lavoratore. In tal caso, l’onere della prova gravante sul lavoratore è particolarmente pesante, in quanto quest’ultimo si troverà a dover dimostrare non solo tutti i torti di cui è stato vittima nell’ambiente lavorativo, ma anche l’esistenza - in capo al datore di lavoro - dell’intenzione specifica di arrecare danno al dipendente;
• Richiesta di risarcimento del danno per “straining”: è una forma di illecito simile al mobbing, ma in forma molto attenuata, creata ad hoc dalla Corte di Cassazione. In tal modo, il lavoratore viene liberato dal peso di dover dimostrare tutte le singole condotte lesive subite, o l’intenzione altrui, ma gli viene riconosciuto il risarcimento per il solo fatto di aver lavorato più del dovuto, in un ambiente stressogeno che l’ha spinto all’esaurimento. In tal caso, non sarà necessario produrre certificati medici nell’ambito di un giudizio: per il lavoratore sarà sufficiente dimostrare di aver lavorato oltre il limite consentito dalla legge.
Nell’ambito dell’azione di risarcimento danni da straining, al lavoratore leso sarà sufficiente promuovere un giudizio nei confronti del datore di lavoro, sulla base di alcune semplici prove, quali ad esempio chiamate o messaggi fuori dall’orario di lavoro, e-mail lavorative nei giorni di riposo, oppure tutte le tracce che siano idonee a dimostrare di aver lavorato oltre l’orario di lavoro stabilito dal contratto.
Una volta dimostrato di aver lavorato più del dovuto, l’illecito del datore di lavoro sarà sempre presunto, posto che l’ordinamento giuridico tutela il diritto al riposo del lavoratore che, se non rispettato, gli conferisce il diritto a ricevere ristoro per il danno subìto.
A tal proposito, va fatta una breve premessa sull’origine delle tutele garantite dal sistema giuridico italiano nei confronti dei lavoratori. Il quadro normativo attorno al quale si delinea la tutela del lavoratore è costituito, principalmente, da 3 articoli:
• L’art. 32 Cost. che prevede il diritto alla salute, sia fisica che mentale: tale diritto è costituzionalmente garantito, in quanto fondamentale per l’individuo;
• L’art. 36 Cost., che sancisce il diritto al riposo, prevedendo che la durata massima della giornata lavorativa sia stabilita dalla legge e che al lavoratore spettino sia il riposo settimanale, sia le ferie annuali retribuite, senza possibilità di rinuncia;
• L’art. 2087 del c.c., che obbliga il datore di lavoro ad adottare, nella sua impresa, tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
Ora, nella maggior parte dei CCNL di riferimento, le ore settimanali in cui un lavoratore può prestare la propria opera sono riconosciute in un massimo di 40. Il lavoro eccedente le 40 ore viene definito come lavoro straordinario e non può superare le 8 ore settimanali.
Ogni tipo di lavoro che richieda al lavoratore di prestare servizio per oltre 48 ore non si potrà definire come “straordinario”, bensì costituirà un illecito. Inoltre, tra un turno e l’altro dev’essere rispettato un riposo mai inferiore ad 11 ore.
Vi sono poi altri contratti collettivi che si discostano da quanto appena esposto, prevedendo meno ore di lavoro settimanale, a cui non si applicherà la sopracitata disciplina del lavoro straordinario.
Posti questi limiti tassativi, le azioni disponibili per il lavoratore costretto a prestare la propria opera professionale in un ambiente stressogeno sono principalmente due, una delle quali del tutto nuova:
• Richiesta di risarcimento del danno per “mobbing”: si chiama mobbing quella condotta, posta in essere dal datore di lavoro, particolarmente persecutoria ed aggressiva, che ha come unico obiettivo quello di porre in una situazione di disagio psicofisico il lavoratore. In tal caso, l’onere della prova gravante sul lavoratore è particolarmente pesante, in quanto quest’ultimo si troverà a dover dimostrare non solo tutti i torti di cui è stato vittima nell’ambiente lavorativo, ma anche l’esistenza - in capo al datore di lavoro - dell’intenzione specifica di arrecare danno al dipendente;
• Richiesta di risarcimento del danno per “straining”: è una forma di illecito simile al mobbing, ma in forma molto attenuata, creata ad hoc dalla Corte di Cassazione. In tal modo, il lavoratore viene liberato dal peso di dover dimostrare tutte le singole condotte lesive subite, o l’intenzione altrui, ma gli viene riconosciuto il risarcimento per il solo fatto di aver lavorato più del dovuto, in un ambiente stressogeno che l’ha spinto all’esaurimento. In tal caso, non sarà necessario produrre certificati medici nell’ambito di un giudizio: per il lavoratore sarà sufficiente dimostrare di aver lavorato oltre il limite consentito dalla legge.
Nell’ambito dell’azione di risarcimento danni da straining, al lavoratore leso sarà sufficiente promuovere un giudizio nei confronti del datore di lavoro, sulla base di alcune semplici prove, quali ad esempio chiamate o messaggi fuori dall’orario di lavoro, e-mail lavorative nei giorni di riposo, oppure tutte le tracce che siano idonee a dimostrare di aver lavorato oltre l’orario di lavoro stabilito dal contratto.
Una volta dimostrato di aver lavorato più del dovuto, l’illecito del datore di lavoro sarà sempre presunto, posto che l’ordinamento giuridico tutela il diritto al riposo del lavoratore che, se non rispettato, gli conferisce il diritto a ricevere ristoro per il danno subìto.