La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10794 del 25 maggio 2016, ha fornito alcune interessanti precisazioni in tema di pignorabilità dell’immobile costituito in fondo patrimoniale.
Innanzi tutto, appare opportuno precisare in cosa consista il “fondo patrimoniale”: si tratta di un particolare regime patrimoniale, tra i coniugi, in virtù del quale determinati beni immobili, mobili registrati o titoli di credito vengono destinati per far fronte ai bisogni della famiglia (art. 167 del c.c.).
A seguito della costituzione del fondo patrimoniale, dunque, viene attribuito, ai beni in oggetto, un peculiare vincolo di destinazione, con la conseguenza che i creditori dei coniugi non potranno agire in via esecutiva sui beni stessi, laddove si tratti di debiti che i creditori medesimi sapevano essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia (art. 170 del c.c.).
Nello specifico caso esaminato dalla Corte di Cassazione, la Commissione Tributaria Provinciale di Pisa, accogliendo il ricorso proposto da un contribuente, aveva ordinato la cancellazione dell’ipoteca iscritta nei suoi confronti per il mancato pagamento di alcune cartelle esattoriali.
La Commissione, infatti, riteneva fondata “l’eccezione opposta dal contribuente di impignorabilità dei beni in quanto conferiti in fondo patrimoniale, ai sensi dell’articolo 170 cod. civ.”.
Tale sentenza veniva confermata anche dalla Commissione Tributaria Regionale, pronunciatasi in sede di appello, in quanto anche la stessa riteneva che “alla luce della normativa in essere, i beni compresi in un fondo patrimoniale non possono essere oggetto di pignoramenti o altri gravami”.
Di conseguenza, l’agente della riscossione interessato decideva di proporre ricorso in Cassazione, rilevando che l’art. 170 codice civile “fa esclusivo riferimento alle procedure esecutive e non anche all’attivazione di misure cautelari, quale assume essere l’iscrizione di ipoteca (…), da ritenersi solo propedeutica a una eventuale, non ancora certa, fase esecutiva”.
In altri termini, secondo l’agente della riscossione, il vincolo rappresentato dalla costituzione dei beni immobili in fondo patrimoniale impedisce ai creditori solo di agire in via esecutiva sui suddetti beni, ma non impedisce ai medesimi di agire in via cautelare, ad esempio attraverso l’iscrizione di un’ipoteca, in quanto, in questo caso, nessuna azione esecutiva è (ancora) stata intrapresa.
Pertanto, non trattandosi di un atto esecutivo, non trovava applicazione, secondo la ricorrente, l’art. 170 codice civile e l’ipoteca poteva essere, del tutto legittimamente iscritta.
Inoltre, secondo la ricorrente, il concetto di “bisogni della famiglia - cui la norma codicistica richiede siano correlati i debiti perchè possa procedersi ad esecuzione sui beni del fondo – è da intendersi estensivamente alla luce della interpretazione data dalla giurisprudenza e che, in particolare, il limite di impignorabilità da essa dettato non può essere opposto ai crediti di natura tributaria”.
In sostanza, quindi, secondo la ricorrente, anche i debiti di natura tributaria rientrerebbero tra i debiti contratti al fine far fronte ai “bisogni della famiglia”, con la conseguenza che non poteva ritenersi applicabile il divieto di pignorabilità di cui all’art. 170 codice civile.
La Corte di Cassazione riteneva di dover aderire alle argomentazioni svolte dalla ricorrente, accogliendo il relativo ricorso, in quanto fondato.
Osservava la Cassazione, in particolare, che già le Sezioni Unite della medesima Cassazione, con la sentenza n. 19667 del 18 settembre 2014, avevano escluso che l’iscrizione ipotecaria “potesse essere considerata un atto dell’espropriazione forzata, dovendosi piuttosto essa essere considerata un atto riferito ad una procedura alternativa all’esecuzione forzata vera e propria”.
Di conseguenza, secondo la Cassazione, in base a tale considerazione, non poteva considerarsi applicabile l’art. 170 c.c. e il limite di pignorabilità dal medesimo previsto, dovendosi aderire alle osservazioni svolte dall’agente della riscossione in sede di ricorso.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dall’agente della riscossione, compensando tra le parti le spese del giudizio.