Come noto, molto spesso il mutuo viene stipulato con una banca, la quale si riserva un diritto di ipoteca sull’immobile acquistato, in modo tale da garantirsi nel caso in cui i debitori non dovessero rispettare i termini del contratto.
In particolare, con la sentenza n. 7776/2016, la Corte ha precisato come, in caso di mancato pagamento delle rate del mutuo stesso, la banca che sia titolare di un diritto di ipoteca sull’immobile, può far valere questo suo diritto procedendo all’espropriazione del medesimo anche se sia intervenuta una sentenza di separazione o divorzio che abbia assegnato l’immobile ad uno dei coniugi.
Secondo la Cassazione, infatti, tale conclusione dovrebbe ritenersi giustificata in ragione del fatto che il “diritto del coniuge assegnatario trascritto dopo l’iscrizione dell’ipoteca non può pregiudicare i diritti del titolare della garanzia reale”: quindi, poiché il diritto di ipoteca della banca è nato prima che fosse intervenuta la separazione e che l’immobile fosse assegnato ad uno solo dei coniugi, quest’ultimo fatto non può in alcun modo incidere sul diritto della banca stessa a far valere il diritto di garanzia di cui è titolare.
In concreto, ciò significa che la banca potrà procedere ad esecuzione forzata, pignorando l’immobile e chiedendo che questo sia venduto all’asta, senza possibilità per i coniugi di opporsi in alcun modo.
Non solo: la banca mantiene il proprio diritto di far espropriare l’immobile in caso di mancato pagamento delle rate del mutuo, anche se i coniugi separati hanno dei figli che abitano nell’immobile stesso assieme al genitore al quale è stato assegnato al momento della separazione.
A giustificazione di questo suo ragionamento, la Corte osserva (facendo in questo modo anche un bel regalo alle banche) come, concludere in senso contrario, ovvero stabilendo l’impossibilità per la banca creditrice di procedere all’espropriazione dell’immobile assegnato al coniuge separato e affidatario dei figli, comporterebbe un’evidente e ingiusta disparità di trattamento nei confronti di quel coniuge che, ad esempio, non abbia acquisito solo l’assegnazione del bene ma un vero e proprio diritto di proprietà esclusivo sullo stesso (sempre a seguito della separazione).
Va ricordato che esiste comunque la possibilità di tutelarsi nei confronti dell’ex coniuge che preferisca far pignorare l’immobile (ex casa familiare) piuttosto che continuare a pagare il mutuo (per un bene che, invero, nemmeno ha la possibilità di utilizzare). Infatti, se a seguito di tale comportamento, il coniuge assegnatario e i figli si trovassero costretti a rilasciare l’immobile, in virtù dell’avvio della procedura espropriativa da parte della banca, gli stessi potranno agire davanti al giudice penale, allo scopo di far accertare l’avvenuta violazione degli obblighi di assistenza familiare che fanno capo all’ex coniuge. E questo indipendentemente dal fatto che quest'ultimo abbia o meno agito con la intenzione di recare danno all’altro coniuge (in proposito, si è pronunciata la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 33023 del 2014).
La casa coniugale, infatti, come facilmente intuibile, rappresenta un vero e proprio mezzo di sussistenza, che deve essere garantito al coniuge e ai figli in caso di separazione o divorzio.
E’ chiaro, pertanto, che il mancato pagamento delle rate del mutuo da parte del coniuge rischia, appunto, di far perdere agli stessi il fondamentale diritto all’abitazione.
In tal caso, si applicherà, dunque, l’art. 570 del c.p., in base al quale commette reato chi “si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà dei genitori, o alla qualità di coniuge”, con applicazione della pena della reclusione fino ad un anno o della multa da euro 103 a euro 1.032.