Nello specifico, il presunto danneggiato da un'immissione, cosa deve provare per ottenere il ristoro del pregiudizio subito?
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1025 del 17 gennaio 2018, si è occupata proprio di questa questione, fornendo alcune interessanti precisazioni sul punto.
Il caso sottoposto all’esame della Cassazione ha visto come protagonista due soggetti, che avevano agito in giudizio nei confronti di una società, al fine di ottenere la condanna della stessa “a ricondurre le immissioni prodotte in orario notturno nei valori di cui ai D.M. 1 marzo 2001 e D.M. 14 novembre 1997”, oltre che al risarcimento dei danni.
La domanda veniva accolta in primo grado ma la sentenza veniva ribaltata in grado d’appello, dal momento che la Corte non riteneva di poter accogliere la domanda attorea, non essendo risultato possibile misurare contemporaneamente il “rumore ambientale” e il “rumore di fondo”, con la conseguenza che “la prova dell'evento dannoso non poteva dirsi raggiunta”.
Ritenendo la decisione ingiusta, gli originari attori decidevano di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Secondo i ricorrenti, in particolare, il giudice di secondo grado, nel rigettare la loro domanda, non avrebbe dato corretta applicazione all’art. 844 c.c. e all’art. 32 Cost.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non accoglieva le censure svolte avverso la succitata sentenza, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.
Anche secondo la Cassazione, infatti, “in assenza di una misurazione del rumore di fondo”, effettuata nella fascia oraria oggetto di contestazione, “la prova dell'evento dannoso non poteva dirsi raggiunta”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto, confermando integralmente quanto statuito dalla Corte d’appello nella sentenza impugnata.