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Condominio, stop al risarcimento dal vicino per rumori notturni come docce o voci, serve prova concreta: nuova sentenza

Condominio, stop al risarcimento dal vicino per rumori notturni come docce o voci, serve prova concreta: nuova sentenza
La Cassazione chiarisce che, per ottenere il risarcimento da rumori in condominio, serve una prova concreta dell’intollerabilità delle immissioni
Una lite durata più di vent’anni, decine di testimoni, studenti universitari chiamati in causa, verbali della Polizia municipale e persino una consulenza medica. Tutto questo per stabilire se i rumori provenienti dall’appartamento del piano di sopra fossero davvero “intollerabili”.
La Cassazione, con la sentenza n. 31021/2025, ha chiarito che, in ambito condominiale, non basta lamentare schiamazzi o docce a tarda sera per ottenere un risarcimento, ma serve una prova concreta, seria e oggettiva.

Tutto prende avvio nel 2003, quando i proprietari di un appartamento al piano rialzato di uno stabile bolognese citavano in giudizio i proprietari degli alloggi sovrastanti, affittati a studenti universitari, lamentando una serie continua di rumori tali da turbare il riposo e l’equilibrio personale. Sostenevano che schiamazzi, voci, movimenti di sedie e docce a tarda ora fossero diventati una costante, tanto da violare il regolamento condominiale e superare la soglia della normale tollerabilità prevista dall’art. 844 del c.c.. I condomini chiedevano, dunque, al Tribunale non soltanto la cessazione delle condotte disturbanti, ma anche il riconoscimento di un danno non patrimoniale per lo stress e il disagio patiti nel tempo.
I proprietari convenuti respingevano ogni addebito e chiamavano in causa gli studenti inquilini e i loro genitori. Nelle more del giudizio, si sono susseguiti interventi del Comune, verbali della Polizia Municipale e perfino cambi di conduttori e decessi dei proprietari originari, con conseguente ingresso in giudizio dei rispettivi eredi.

Il Tribunale, in primo grado, aveva accolto parzialmente le ragioni degli attori, ritenendo responsabili gli eredi dei proprietari del primo piano e condannandoli a un risarcimento significativo. La Corte d’Appello di Bologna, però, nel 2019, ha ribaltato completamente la ricostruzione del giudice di prime cure, ritenendo che non fosse stata raggiunta la prova dell’intollerabilità delle immissioni e, dunque, non potesse essere riconosciuto alcun danno risarcibile. I giudici d’appello ponevano a fondamento della propria decisione il fatto che le quattro chiamate fatte alla Polizia Municipale si collocavano in una fascia oraria antecedente alla mezzanotte. Inoltre, secondo alcune testimonianze raccolte tra gli altri condomini, i rumori “incriminati” rientravano nella normalità di un condominio, motivo per cui non era possibile dimostrare l’intollerabilità delle immissioni.
Gli attori decidevano dunque di ricorrere in Cassazione.

Nel pronunciarsi, la Cassazione ha richiamato innanzitutto un principio che riguarda l’intera questione delle immissioni in condominio. Secondo gli Ermellini, il fatto che un regolamento condominiale preveda limiti più severi rispetto all’art. 844 c.c. non significa che la loro violazione generi automaticamente un danno risarcibile. La tutela aquiliana resta comunque subordinata alla dimostrazione di un pregiudizio serio e concreto, tale da incidere su un diritto costituzionalmente rilevante della persona, secondo i noti principi delle Sezioni Unite del 2008 sui danni non patrimoniali. Di conseguenza, anche quando un comportamento è in astratto contrario alle regole del condominio, questo non basta per ottenere un indennizzo, in quanto occorre provare che l’immissione sia effettivamente intollerabile e che abbia prodotto una conseguenza pregiudizievole accertabile.

La Corte ha, poi, sottolineato come l’ampia istruttoria non avesse fornito un quadro probatorio univoco. Le testimonianze raccolte erano eterogenee, spesso contraddittorie, i verbali della Polizia Municipale non avevano mai riscontrato rumori nelle notti delle segnalazioni, gli episodi indicati dagli attori sembravano rientrare più nella normale vivibilità condominiale che in una situazione di oggettiva intollerabilità. Mancavano, dunque, elementi probatori a sostegno delle doglianze attoree. La Cassazione, inoltre, ha ricordato che il giudizio sulla prova è di stretta competenza del giudice di merito e che il – proprio – sindacato di legittimità può intervenire solo quando la motivazione sia del tutto illogica, apparente o mancante, circostanza assente nel caso di specie.


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