La Cassazione è tornata a pronunciarsi in materia di assegno divorzile con l’
ordinanza n. 27771/2019. Nel caso di specie il
Tribunale di Milano, con sentenza n. 35881/2016, dichiarava lo scioglimento degli effetti civili del matrimonio (divorzio), imponendo il pagamento di un contributo mensile, a titolo di assegno divorzile, per euro 3500. Tale importo era ridotto (ad euro 2500) dalla Corte di
Appello, in seguito all’impugnazione del provvedimento da parte dell’ex coniuge gravato dell’obbligo di corresponsione di cui sopra.
L’onerato ricorreva per Cassazione, deducendo la violazione e la falsa applicazione dell’art.
5, comma 6, l. 898/1970. La norma citata non sarebbe stata interpretata, a detta del ricorrente, alla luce dell’orientamento di legittimità (Cass., n. 11504/2017) che impone di rapportare la determinazione dell’assegno divorzile al parametro dell’
autosufficienza dell’altro (ex) coniuge. In particolare, sulla scorta di detto orientamento, “
il Giudice del divorzio […], nel rispetto della distinzione del relativo giudizio in due fasi: a) deve verificare, nella fase dell’an debeatur, se la domanda dell’ex coniuge richiedente soddisfa le relative condizioni di legge (mancanza di mezzi adeguati o, comunque, impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive)",
non con riguardo ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio,
ma con esclusivo riferimento all’
indipendenza o autosufficienza economica dello stesso, desunta dai principali “indici” - salvo altri, rilevanti nelle singole fattispecie - del possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari (tenuto conto di tutti gli oneri latu sensu imposti e del costo della vita nel luogo di residenza dell’ex coniuge richiedente), della capacità e possibilità effettive di lavoro personale […], della stabile disponibilità di una casa di abitazione; ciò sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte dal richiedente medesimo, sul quale incombe il corrispondente onere probatorio […]; b) deve tener conto, nella fase del “quantum debeatur”, di tutti gli elementi indicati dalla norma (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi)[…].”
Il ricorrente evidenziava, dunque, che l’ex coniuge godesse di una
pensione (per euro 12192 annui), fosse proprietaria della sua abitazione e disponesse di ulteriore immobile. Quest’ultima aveva, inoltre, estinto un mutuo ipotecario. Poiché in possesso di adeguati
mezzi di sussistenza,
non avrebbe avuto alcun diritto al riconoscimento a suo favore dell’assegno divorzile.
La
Corte di Cassazione, nel rigettare la suddetta doglianza, ha precisato che la questione deve essere interpretata alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità, la quale conferisce una diversa chiave di lettura circa la natura dell’assegno in questione.
E dunque, “
ai sensi dell’art. 5, comma 6, della l. n. 898/1970, il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi, o comunque dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l’applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma, che costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto” (Cass., Sezioni Unite, n. 18287/2018).
Ha precisato in tal senso il Supremo Consesso che l’assegno divorzile, alla luce della sua natura complessa (perequativo-compensativa), e “figlio” del principio di solidarietà di cui all’
art. 2 Cost., è finalizzato al riconoscimento del contributo che l’ex coniuge ha fornito “
nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate”.
Certamente non potrà riconoscersi al suddetto assegno l’unico scopo di ricostituire il tenore di vita endoconiugale, ma non potrà, oltremodo, ignorarsi, alla stregua di quanto osservato, quello che è stato il “
ruolo” rivestito dall’ex coniuge più debole nella formazione del patrimonio familiare e personale.
Stante quanto premesso, la Corte di Cassazione ha ritenuto infondata la doglianza del ricorrente, incentrata sulla natura, ormai superata, meramente “assistenziale” dell’assegno divorzile.