Nel caso esaminato dalla Cassazione, il Tribunale, nel pronunciare il divorzio tra due coniugi, riconosceva alla moglie il diritto ad un assegno divorzile, revocando, tuttavia, il provvedimento con cui era stata assegnata alla medesima la casa coniugale, di proprietà del marito, dal momento che il figlio risultava aver raggiunto l’indipendenza economica.
Il marito proponeva appello avverso la suddetta pronuncia, il quale, però, veniva rigettato, con la conseguenza che veniva proposto ricorso per Cassazione, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 della legge n. 898/1970, in tema di assegno divorzile.
Secondo il ricorrente, in particolare, tale assegno non poteva ritenersi dovuto all’ex moglie, la quale non aveva adeguatamente dimostrato “l’assenza di mezzi per mantenere il pregresso tenore di vita e l’impossibilità di procurarseli”.
Osservava il ricorrente come la Corte d’appello avesse erroneamente fondato la propria decisione unicamente in considerazione delle condizioni economiche dell’ex marito, “senza nulla dire circa la condizione economica della controparte e i criteri indicati dall’art. 5 della legge sul divorzio”.
Secondo il ricorrente, in particolare, la Corte non avrebbe nemmeno considerato “i redditi immobiliari e pensionistici della controparte, il reddito derivante dal lavoro quale baby sitter”, nonché la “somma di lire 185.000.000 ricevuta da esso ricorrente in seguito a divisione di beni comuni”.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle argomentazioni svolte dal ricorrente, rigettando il relativo ricorso.
Rilevava la Cassazione che, “in tema di determinazione dell’assegno di divorzio, il giudice non deve darne giustificazione con riferimento a tutti i parametri di riferimento indicati dall’art. 5 della legge sul divorzio, potendo considerare prevalente quello fondato sulle condizioni economiche delle parti”.
Ebbene, secondo la Cassazione, il giudice del precedente grado di giudizio avrebbe adeguatamente motivato la propria decisione, fondando la concessione e la misura dell’assegno sull’affermazione dello stesso ricorrente, in base alla quale “l’ex moglie risultava titolare unicamente di una rendita di Euro 8.930 all’anno, derivante dalla locazione di un appartamento acquistato con la liquidazione dell’ex coniuge (…), di un reddito da lavoro, del tutto precario (…) e di una pensione INPS di Euro 250 al mese”.
La Corte d’appello avrebbe, poi, secondo la Cassazione, del tutto correttamente considerato la situazione economica del ricorrente, titolare di un reddito complessivo pari a ben Euro 90.000 annui.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassaazione non riteneva di poter accogliere il ricorso presentato dall’ex marito, dichiarandolo infondato, in quanto il giudice di secondo grado aveva rinvenuto “elementi necessari a dimostrare che la situazione economica della richiedente era tale da giustificare la concessione dell’assegno di divorzio, non essendo idonea ad assicurarle il mantenimento del tenore di vita goduto durante il matrimonio”.
La Cassazione, pertanto, rigettava il ricorso proposto dall’ex marito, condannando il medesimo al pagamento delle spese processuali.