Segnatamente, semplificando l'articolato iter logico argomentativo del giudice di legittimità, il delitto di maltrattamenti in famiglia, pur mancando attuali vincoli nascenti dal coniugio, è configurabile anche nei confronti di persona non più convivente more uxorio con l'agente se costui conserva con la vittima una stabilità di rapporti dipendente dai doveri connessi alla filiazione per la perdurante necessità di adempiere gli obblighi di cooperazione nel mantenimento, nell'educazione, nell'istruzione e nell'assistenza morale del figlio minore naturale derivanti dall'esercizio congiunto della potestà genitoriale. Nel caso di specie, pertanto, la fattispecie residuale degli atti persecutori ex art. 612 bis c.p. risulta assorbita nel più grave delitto di maltrattamenti anche in caso di avvenuta cessazione della convivenza se, la tipologia della relazione fra l'agente e la persona offesa, comporta il permanere di obblighi di solidarietà tra i due. Per converso, si configura l'ipotesi aggravata del delitto di atti persecutori (art. 612 bis del c.p. comma II) in presenza di comportamenti che, sorti nell'ambito di una comunità para-familiare, continuino nonostante la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare o comunque della sua attualità.
Nel caso di specie, dunque, l'imputato e la persona offesa avevano generato due figli ancora minorenni all'epoca dei fatti e con i quali il reo aveva una ordinaria continuità dei rapporti con la connessa necessità di cooperare tra genitori i quali, anche se non più conviventi, dovevano per un tempo indeterminato mantenere la relazione improntata ai canoni di solidarietà. A tale uopo, Il venir meno di tale obbligo ha consentito agli Ermellini di sussumere correttamente la fattispecie concreta all'interno del delitto ex art. 572 c.p.