Pur essendo una misura introdotta in relazione al reato di atti persecutori (612 bis c.p.), questa si caratterizza, in realtà, per la generale portata applicativa, non vincolata ad alcuna tipologia predeterminata di illecito penale. Con tale misura si tende a realizzare uno spazio di protezione della vittima a fronte delle possibili situazioni di contatto con l'aggressore che intende minare alla sua integrità fisica o psicologica.
Nello specifico, con il provvedimento in oggetto il giudice prescrive, alternativamente o cumulativamente, all'imputato:
- di non avvicinarsi a determinati luoghi frequentati dalla persona offesa (e, se il giudice ritenga opportuna una maggiore tutela, anche a luoghi frequentati da familiari, conviventi o persone comunque legate affettivamente alla persona offesa);
- di mantenere una certa distanza da tali luoghi;
- di mantenere una certa distanza dalla persona offesa.
Tanto brevemente premesso circa il divieto di avvicinamento in generale, può ricordarsi come sia sorto un contrasto giurisprudenziale in relazione ad un importante profilo applicativo. In particolare, discussa era la questione se, nel disporre la misura cautelare prevista dall’art. 282 ter c.p.p., il giudice debba indicare specificamente i luoghi oggetto di divieto di avvicinamento e di mantenimento di una determinata distanza.
Sul punto si sono formati, infatti, due filoni giurisprudenziali opposti.
Secondo parte della giurisprudenza, segnatamente, non è necessaria la specificazione da parte del giudice dei luoghi oggetto del divieto. Tale misura viene invero applicata usualmente in relazione a reati che contemplano una condotta di persistente tentativo di avvicinarsi alla vittima, ovunque quest’ultima si trovi: i luoghi oggetto di divieto, pertanto, possono essere individuati di volta in volta “per relationem” in base all’ubicazione della vittima. In caso di incontro casuale in un luogo non predeterminato, secondo questa impostazione, l’imputato dovrebbe quindi allontanarsi.
Per un’altra fazione pretoria, invece, è essenziale che il giudice indichi nel provvedimento, con precisione, tutti i luoghi cui l’imputato non può avvicinarsi, che secondo il dato normativo devono essere appunto determinati. L’indicazione geografica specifica, oltre a consentire un adeguato controllo sull’esecuzione del provvedimento, ha il pregio – secondo i sostenitori di questa seconda tesi – di contemperare l’esigenza di tutela della vittima con quella di non sacrificare eccessivamente il diritto di libera circolazione dell’imputato.
Alla luce di tale contrasto, sono dunque intervenute le Sezioni Unite con sentenza n. 39005 del 28 ottobre 2021.
Ebbene, il Supremo Collegio, nell’optare per il primo degli orientamenti sopra richiamati, ha ritenuto opportuno biforcare la soluzione a seconda del contenuto concreto del provvedimento adottato dal giudice. Nello specifico:
- se è disposta la sola misura dell’obbligo di mantenere una determinata distanza dalla persona offesa, non è necessaria la specifica indicazione dei luoghi;
- se è disposta la misura dell’obbligo di mantenere una determinata distanza dai luoghi frequentati dalla p.o. o quella del divieto di avvicinamento agli stessi, è necessaria l’indicazione specifica.
Le Sezioni Unite precisano peraltro che tale impostazione non è lesiva delle garanzie dell’imputato in quanto da un lato rilevano solo le violazioni commesse con dolo (e quindi non si potrebbe applicare la sanzione in caso di incontro involontario) e, dall’altro lato, la libertà di locomozione ben può essere compressa, come ogni altra libertà personale, con atto motivato dell’autorità giudiziaria informato ad esigenze di cautela ai sensi dell’art. 13 della Costituzione.