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Danno biologico da invaliditā micropermanente: č necessario provarlo con un referto strumentale per immagini?

Danno biologico da invaliditā micropermanente: č necessario provarlo con un referto strumentale per immagini?
Il medico legale può provare il danno biologico da invalidità micropermanente anche con mezzi diversi dal referto strumentale per immagini, a patto che gli stessi siano supportati da criteri medico-legali rigorosi ed oggettivi.
La Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9865/2020, ha avuto modo di pronunciarsi in merito alla possibilità di ritenere provata la sussistenza di un danno biologico da invalidità micropermanente, anche in assenza della sua documentazione attraverso un referto strumentale per immagini.

La questione sottoposta al vaglio degli Ermellini era nata dalla vicenda che aveva visto come protagonista il conducente di un’auto, il quale, dopo aver subito delle lesioni a seguito di un sinistro stradale, si era visto liquidare, all’esito del giudizio d’appello, il solo danno biologico da inabilità temporanea, non essendo stato riconosciuto alcun postumo di natura permanente.

Il Tribunale adito in appello rilevava, infatti, come, al caso di specie, dovesse applicarsi il comma 2 dell’art. 139 del codice ass. private, il quale richiedeva, per l’accertamento del danno alla persona e, quindi, non solo per l’accertamento della lesione personale, che lo stesso venisse riscontrato visivamente o mediante un'indagine clinico-strumentale. Alla luce di ciò, secondo il Tribunale, la conclusione del consulente tecnico d’ufficio, secondo cui, in base alla sola indagine clinica, era apprezzabile un danno biologico permanente, non consentiva di liquidare alcun danno da micro invalidità permanente.

Rimasto soccombente, il danneggiato ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione eccependo, in particolare, come il Tribunale avesse errato nell’escludere ogni rilevanza dell’accertamento clinico, nonostante fosse stato condotto dal consulente tecnico d’ufficio con criteri propri della medicina legale, negando il risarcimento del danno biologico permanente poiché non comprovato da un accertamento di natura esclusivamente strumentale.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, giudicando fondato il suddetto motivo di doglianza.

Gli Ermellini hanno, innanzitutto, evidenziato come la l. n. 27/2012, di conversione del D.L. n. 1/2012, recante “Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività”, introducendo delle modifiche al Codice delle assicurazioni private, avesse disposto, con l’art. 32, comma 3 ter, che “In ogni caso, le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente, e, con il comma 3 quater, che “Il danno alla persona per lesioni di lieve entità di cui all’139, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, è risarcito solo a seguito di riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l’esistenza della lesione.
Tale ultimo comma è, però, stato abrogato dalla l. n. 124/2017, la quale, modificando l’ultima parte del comma 2 dell’art. 139 del codice ass. private, ha disposto che “In ogni caso, le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, ovvero visivo, con riferimento alle lesioni, quali le cicatrici, oggettivamente riscontrabili senza l’ausilio di strumentazioni, non possono dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente”.

In relazione alla suddetta norma la stessa giurisprudenza di legittimità ha ribadito più volte che essa si debba intendere rivolta a prevenire accertamenti del danno biologico permanente, nel caso di lesioni di lieve entità, che siano fondati esclusivamente sul “criterio anamnesico”, ossia sulla raccolta delle sensazioni psicofisiche riferite dal paziente, e, in quanto tali, dipendenti da margini di apprezzamento del tutto soggettivi ed insuscettibili di alcuna obiettiva verifica medico legale, con evidenti incertezze sull’effettiva sussistenza della menomazione.

La stessa Suprema Corte ha, però, più volte ribadito anche come sia corretto interpretare l’art. 139 del codice ass. private nel senso che esso abbia reso espliciti i criteri scientifici di accertamento e valutazione del danno biologico tipici della medicina legale, senza porre vincoli predeterminati all’efficacia probatoria della metodologia impiegata dal medico legale, e ponendo, invece, in rilievo la correlazione indispensabile tra la corretta applicazione di detti criteri metodologici di indagine e l’obiettiva certezza scientifica del risultato dell’accertamento, ossia l’oggettiva riscontrabilità, nel soggetto leso, secondo i parametri offerti dalla scienza specialistica, di postumi invalidanti di natura permanente. L’esame clinico strumentale, secondo la costante giurisprudenza della Cassazione, non è, quindi, l’unico mezzo utilizzabile dal medico legale, salvo che ciò si correli alla natura della patologia (Cass. Civ., n. 5820/2019; Cass. Civ., n. 1272/2018).

Alla luce di ciò, gli Ermellini hanno ritenuto opportuno ribadire il principio di diritto secondo cui, in tema di risarcimento del danno biologico da invalidità micropermanente, ai sensi del comma 2 dell’art. 139 del codice ass. private, “la sussistenza dell’invalidità permanente non può essere esclusa per il solo fatto di non essere documentata da un referto strumentale per immagini, sulla base di un mero automatismo che ne vincoli il riconoscimento ad una verifica strumentale, ferma restando la necessità che l’accertamento della sussistenza della lesione dell’integrità psico-fisica avvenga secondo criteri medico-legali rigorosi ed oggettivi(cfr. ex multis Cass. Civ., n. 26249/2019; Cass. Civ., n. 11218/2019; Cass. Civ., n. 10816/2019).


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