La vicenda trae origine dalla richiesta di risarcimento del danno avanzata da un lavoratore a seguito di un infarto accusato dopo un diverbio col suo responsabile. Quest’ultimo, di fronte al malore del sottoposto, si opponeva alla chiamata dell’ambulanza e dunque non prestava il dovuto soccorso.
Pertanto il lavoratore, si rivolgeva al Tribunale, chiedendo sia il risarcimento del danno biologico, per le conseguenze dell’infarto, dovute, secondo il ricorrente, al ritardo nei soccorsi; sia il risarcimento del danno alla dignità personale, connesso al comportamento del superiore gerarchico che, opponendosi alla chiamata dell’ambulanza, aveva trattato il lavoratore, di fronte a vari colleghi, alla stregua di un simulatore.
In primo grado, la domanda attorea veniva accolta limitatamente al danno da lesione della dignità personale, mentre veniva rigettata la richiesta di risarcimento del danno biologico. Sul punto, il Giudice riteneva che le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, non avessero evidenziato un nesso causalità, nemmeno concorrente, tra il ritardo nei soccorsi e le conseguenze del malore da cui il lavoratore era stato colto.
In secondo grado, la Corte d’appello adita, riformava parzialmente la sentenza, riconoscendo e liquidando anche il danno biologico, in virtù del provato nesso di causalità tra il danno subito e il ritardo nei soccorsi, causato dalla condotta ostruzionistica del datore in concorso con quella di un altro dipendente.
Il datore di lavoro, si è poi rivolto alla Suprema Corte, la quale, ha però, ritenuto di dover confermare quanto statuito dalla Corte Territoriale.
Più precisamente, la Cassazione ha evidenziato come il ritardo nel soccorso fosse ascrivibile, non solo al datore di lavoro che si opponeva alla chiamata dei soccorsi, ma anche ad un altro dipendente della società, il quale ritardava la chiamata dell’ambulanza. Pertanto, il datore doveva ritenersi responsabile ai sensi dell’art. 2049 c.c. per il fatto colposo commesso dal lavoratore che aveva agito in concorso. Giusta, era dunque, la condanna al pagamento dell’intero danno a carico della società ex articolo 2055 c.c. .
Per questi motivi, la Suprema Corte rigettava il ricorso, respingendo le critiche del datore di lavoro in punto di nesso di causalità, ormai accertato nel merito sulla base di apposita c.t.u. e, quindi, insindacabile in sede di legittimità.