Il caso sottoposto all’esame della Cassazione ha visto come protagonista una donna, che aveva agito in giudizio al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito di un sinistro stradale, nel quale era stata coinvolta quale terza trasportata.
Il Tribunale di Ravenna, pronunciatosi in primo grado, aveva accolto la domanda ma la sentenza era stata parzialmente riformata dalla Corte d’appello, la quale riconosceva alla danneggiata un’invalidità permanente pari al 25% ma escludeva la spettanza alla medesima del “danno patrimoniale, essendo mancata la prova dello svolgimento di un'attività lavorativa produttiva di reddito e non essendo neanche ravvisabili le condizioni per il riconoscimento di un danno da perdita di chance”.
Con riferimento a quest’ultimo punto, la Corte evidenziava che la danneggiata “non aveva dimostrato che, pur non avendo potuto sostenere l'esame di Stato per l'iscrizione all'albo dei geometri, avrebbe continuato ad essere impedita dai postumi invalidanti permanenti ad intraprendere la carriera di geometra (potendo anche aver scelto di non intraprendere tale carriera) o comunque avrebbe superato l'esame e intrapreso con successo l'attività professionale”.
Ritenendo la decisione ingiusta, la donna decideva di rivolgersi alla Corte di Cassazione, lamentando la violazione degli artt. 1226, 2043, 2056 e 2729 c.c.
Secondo la ricorrente, in particolare, il giudice d’appello avrebbe dovuto procedere ad un “accertamento presuntivo del danno patrimoniale, anche a titolo di chances perdute” e “la circostanza che il soggetto danneggiato non svolgesse alcuna attività lavorativa non autorizzava l'esclusione di un danno futuro, dovendo il giudice al riguardo svolgere una complessa valutazione di tipo prognostico”.
La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover aderire alle considerazioni svolte dalla danneggiata, accogliendo il relativo ricorso, in quanto fondato.
Osservava la Cassazione, infatti, che il giudice aveva erroneamente “escluso la ricorrenza del danno patrimoniale sulla base della mancata dimostrazione dello svolgimento di un'attività lavorativa” e aveva, altrettanto erroneamente, “escluso il danno da perdita di chance”.
Rilevava la Cassazione, in proposito, che il danno alla persona, di gravità tale “da non consentire alla vittima la possibilità di attendere neppure a lavori diversi da quello specificamente prestato al momento del sinistro”, rientra nell’ambito del “danno patrimoniale attuale in proiezione futura da perdita di chance, ulteriore e distinto rispetto al danno da incapacità lavorativa specifica”.
Pertanto, secondo la Corte, laddove l'elevata percentuale di invalidità permanente renda “altamente probabile, se non addirittura certa, la menomazione della capacità lavorativa specifica ed il danno che necessariamente da essa consegue, il giudice può procedere all'accertamento presuntivo della predetta perdita patrimoniale, liquidando questa specifica voce di danno con criteri equitativi”.
Secondo la Cassazione, dunque, il giudice d’appello, escludendo a priori il danno patrimoniale, “per il sol fatto della mancata prova di uno svolgimento dell'attività lavorativa”, non aveva “adeguatamente compiuto l'accertamento presuntivo in ordine alla riduzione della perdita di guadagno nella sua proiezione futura, imposto dall'entità dei postumi, anche in termini di perdita di chance”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dalla danneggiata, annullando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte d’appello di Bologna, affinchè la medesima procedesse ad un nuovo esame della questione.