Sul punto, si è precisato, infatti, come l’art. 102 c.p.c., il quale prevede che, se la decisione della vertenza non può essere pronunciata utilmente che nei confronti di più parti, queste ultime debbano agire o essere convenute nello stesso giudizio, non fornisca una precisa o tassativa elencazione di tute le ipotesi in cui ciò si verifichi, dovendo le stesse essere individuate dall’interprete.
In tali casi, il giudice ordinerà l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutte le parti entro il termine perentorio, dunque, previsto a pena di decadenza, dallo stesso indicato.
La Suprema Corte nella sua composizione più autorevole aveva già avuto modo di chiarire (SS. UU. Corte di Cassazione n. 25454/2013) come occorra tracciare una linea di demarcazione tra l’ipotesi in cui il condomino convenuto in giudizio si limiti ad eccepire la sussistenza del proprio diritto esclusivo di proprietà su una determinata area, rispetto alla proposizione da parte di quest’ultimo di una vera e propria domanda riconvenzionale nella quale richieda al giudicante di pronunciarsi su tale diritto.
Solo nella seconda ipotesi, a detta delle SS. UU., si configura la necessità di procedere ad un litisconsorzio necessario che impone, se non sia già avvenuta, l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini dell’edificio.
Infatti, la domanda che viene a propria volta proposta dal convenuto finisce inevitabilmente per riguardare, oltre che potenzialmente incidere, i diritti dei singoli .
Così, anche nel caso in cui il condomino venga convenuto in giudizio per occupazione sine titulo, abusiva, di uno spazio condominiale, di proprietà comune, e questi in via riconvenzionale chieda l’accertamento della proprietà esclusiva sul bene in oggetto.
Tale domanda, infatti, non può che incidere anche sull’estensione dei diritti dei singoli che dovranno quindi partecipare al giudizio (Corte di Cassazione, ordinanza n. 24889/2018).
Del resto, la decisione resa non nei confronti di tutte le parti risulterebbe inutiliter data, risolvendosi in una sentenza pronunciata senza effetto.
La necessità di integrazione del contraddittorio può, dunque, non sorgere immediatamente a seguito della domanda proposta dall’attore, ma rendersi evidente in un secondo momento, in virtù del tenore della prospettata questione che va ad ampliare la materia del contendere e che costituisce oggetto di riconvenzionale.
Se il giudice di primo grado non rileva la mancanza di un contraddittorio rettamente instaurato, provvedendo alla sua integrazione, il provvedimento dovrà essere dichiarato nullo per difetto del contraddittorio e, ove rilevata la nullità dalla Corte d’Appello in secondo grado, ad essa non potrà che conseguire la rimessione degli atti di causa al giudice di prime cure.
Dal momento che la contro domanda proposta in via riconvenzionale incide sui diritti dei singoli, se il contraddittorio non è stato esteso a tutti i condòmini e la domanda è stata decisa esclusivamente nei confronti dell’amministratore, e in carenza di giudicato espresso o anche implicito sul punto, tale invalidità della costituzione del contraddittorio ben potrà essere eccepita per la prima volta, ovvero costituire nullità rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità (Corte di Cassazione, sent. n. 6649/2017).
La conseguenza consisterà parimenti in tale caso nella rimessione degli atti al primo giudice, affinché provveda all’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutte le parti necessarie.