Tale esigenza si giustifica in relazione ai limiti soggettivi del giudicato: affinchè, infatti, la sentenza emessa all’esito del giudizio possa produrre effetti nei confronti anche dell’Inps, è necessario che quest’ultimo non sia pretermesso.
Nel caso in cui l’Istituto di Previdenza non sia infatti regolarmente citato, il contraddittorio dovrà ritenersi non integro e tale difetto è idoneo a determinare la nullità del giudizio. Nullità che, peraltro, è rilevabile in ogni stato e grado del processo.
Nel caso giunto all’attenzione della Suprema Corte, un soggetto che era stato dipendente di una Banca aveva proposto domanda giudiziale di condanna avverso il proprio ex datore di lavoro. Tale domanda, in particolare, traeva origine dal fatto che all’attore, prima della cessazione del rapporto di lavoro, erano stati versati i contributi in misura inferiore a quanto dovuto.Nello specifico, l’attore allegava di aver sottoscritto con l’istituto bancario un verbale di conciliazione, con il quale aveva aderito al Fondo di solidarietà per il sostegno dei dipendenti bancari e grazie al quale aveva diritto al versamento di assegno straordinario per il periodo compreso tra la fine del rapporto e il la maturazione del trattamento pensionistico.
In relazione a quel periodo, tuttavia, la Banca aveva versato i contributi previdenziali in misura inferiore a quanto spettante per legge e pertanto si era rivolta al Giudice del Lavoro.
Il Tribunale, tuttavia, aveva rigettato tale domanda e la Corte d’appello aveva confermato la sentenza.
Avverso tale provvedimento, l’ex dipendente aveva allora proposto ricorso in Cassazione: in terzo grado, dunque, per le motivazioni sopra esposte veniva rilevato il difetto di integrità del contraddittorio e le parti venivano rimesse in primo grado.