Il tema del negozio fiduciario viene generalmente trattato unitamente a quello della simulazione negoziale, proprio per distinguerlo da quest’ultima.
Si parla di negozio fiduciario quando un soggetto, cd. fiduciante, trasferisce (senza corrispettivo) o fa trasferire da un terzo (pagando lui il prezzo o mettendo a disposizione il denaro per farlo) ad un fiduciario la titolarità di un bene (immobile, ma più spesso mobile, quali azioni, quote di società a responsabilità limitata, altri valori mobiliari), ma con il patto (c.d. pactum fiduciae) che l’intestatario utilizzerà o disporrà del bene esclusivamente in conformità alle istruzioni che il fiduciante gli ha impartito o si riserva di impartirgli successivamente.
Al contrario di quanto accade nella simulazione, dunque, nel contratto fiduciario le parti vogliono effettivamente che il fiduciario acquisti la titolarità (formale) del diritto che gli viene trasferito, ma nello stesso tempo vogliono che egli non utilizzi questa titolarità nel proprio interesse, bensì solo nell’interesse del fiduciante e attenendosi alle sue istruzioni (si configura, pertanto, una limitazione dei poteri inerenti il diritto di proprietà, che il proprietario è obbligato ad esercitare nel rispetto del fine fiduciario).
Discusso è
- se di fronte ai terzi al fiduciario debba essere riconosciuto un normale diritto di proprietà (secondo lo schema della c.d, fiducia romanistica)
- ovvero soltanto una legittimazione all’esercizio dei diritti e delle prerogative inerenti la proprietà, ferma restando la proprietà in capo al fiduciante (secondo lo schema, questa volta, della fiducia germanistica).
Tale questione viene risolta attribuendo al fiduciario una mera legittimazione quando l’oggetto del rapporto sia costituito da valori mobiliari ed, in particolare, da titoli di credito (in relazione ai quali la legge ammette, appunto, una dissociazione tra la titolarità e la legittimazione) e considerandolo, al contrario, un normale proprietario, seppure con obblighi particolarmente assorbenti nei rapporti interni con il fiduciante, quando si tratti di beni immobili o di altri tipi di beni mobili.
In giurisprudenza la distinzione tra negozio simulato e contratto fiduciario viene fatta dipendere dal fatto che i relativi effetti siano o meno stati voluti dalle parti: il fiduciario diviene effettivamente titolare del bene a lui fiduciariamente trasferito, ma è gravato dall’obbligo di gestire il bene e di disporne secondo le istruzioni del fiduciante.
Queste due diverse ricostruzioni dell’una e dell’altra fattispecie hanno precise conseguenze sotto il profilo delle forme di tutela esperibili, in quanto:
- il simulato alienante può esercitare nei confronti del simulato acquirente un’azione di accertamento, volta a far dichiarare l’inefficacia del trasferimento simulato, e dunque la perdurante proprietà a suo favore;
- il fiduciante, invece, può agire, allegando il patto fiduciario, per ottenere l’esecuzione coattiva dell’obbligo del fiduciario di trasferire (o ritrasferire) la proprietà al fiduciante medesimo. Tale pretesa è suscettibile di tutela mediante esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre, ai sensi dell’art. 2932 del c.c. (a tal fine, qualora la fiducia abbia per oggetto beni immobili, occorre che il patto fiduciario risulti da atto scritto, così Cass. 9 maggio 2011, n. 10163; Cass. 25 maggio 2017, n. 13216).
Ora, seppure il negozio fiduciario non sia regolato dal codice civile (tranne per ciò che riguarda le disposizioni fiduciarie contenute in un testamento, a cui fa riferimento l’art. 627 del c.c.), non si dubita che il ricorso allo stesso sia consentito nell’ambito della generale autonomia contrattuale riconosciuta ai privati in forza del secondo comma dell’art. 1322 del c.c. (cfr. Cass. 15 maggio 2014, n. 10633), salvo ovviamente il caso in cui sia diretto a realizzare finalità illecite (cfr. artt. 1344 e 1345 c.c.).
Non mancano alcune leggi speciali che si occupano di regolare espressamente talune specifiche forme di intestazione fiduciaria, dettando un’apposita disciplina delle c.d. « società fiduciarie » (L. 23 novembre 1939, n. 1966; art. 199, D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58), le quali provvedono in via professionale ed imprenditoriale ad intestarsi determinati beni (di regola azioni o quote di società di capitali) dei fiducianti, curandone l’amministrazione ed esercitando, in nome proprio ma in base alle istruzioni ricevute dal fiduciante, i relativi diritti (per esempio, la società fiduciaria partecipa all’assemblea degli azionisti, esercitando il diritto di voto secondo le istruzioni impartite preventivamente dal fiduciante).
Delineato per grandi linee il quadro giuridico della fattispecie oggetto della presente trattazione, si cercherà adesso di vedere come la stessa possa trovare attuazione sul piano pratico, ipotizzando una fattispecie concreta.
Si supponga che un privato abbia l'opportunità di acquistare delle quote di minoranza di una neocostituenda SRL, ma che lo stesso, non potendo effettuare l'operazione in prima persona (perché, ad esempio impegnato nello svolgimento di un’attività incompatibile con tale acquisto), richieda ad un terzo (persona di sua stretta fiducia) di effettuare l'operazione per suo conto.
Ebbene, in casi come questo è ben possibile fare ricorso allo schema del contratto fiduciario, per effetto del quale sarebbe il fiduciario a risultare nei confronti dei terzi il reale acquirente ed intestatario delle quote sociali.
Si è detto che ricorre tale fattispecie allorchè un soggetto, cd. fiduciante, trasferisce (senza corrispettivo) o fa trasferire da un terzo (pagando lui il prezzo o mettendo a disposizione il denaro per farlo) la titolarità di un bene.
Pertanto, se si intende evitare che i terzi possano venire in qualche modo a conoscenza dell’esistenza di questo pactum fiduciae, sarebbe opportuno evitare il ricorso a mezzi tracciabili di pagamento e far sì che sia il fiduciante a mettere a disposizione del fiduciario il denaro necessario per l’acquisto dei valori mobiliari.
In tal modo, come si è prima precisato, non verrebbe ad essere integrata alcuna violazione di norma di legge, trattandosi di istituto giuridico ammesso dal nostro ordinamento, seppure non trovi una disciplina specifica nel codice civile.
Peraltro, quella che qui ipotizzata è proprio la fattispecie maggiormente ricorrente nella prassi, ovvero l’intestazione da parte del fiduciario e per conto del fiduciante di quote, azioni o valori mobiliari in genere.
La differenza rispetto alla pratica generalmente diffusa consisterebbe nel fatto che, mentre per questo tipo di intestazione fiduciaria si fa ricorso alla fiducia di tipo germanistico, nel caso di specie si farebbe ricorso a quella di tipo romanistico, ciò che non contravviene ad alcuna specifica disposizione di legge, trattandosi di soluzione rimessa esclusivamente alla volontà delle parti.
Ovviamente, per dare vita al rapporto fiduciario è indispensabile che le parti interessate stabiliscano un preciso programma.
Come è stato sopra precisato, infatti, l’intestatario (fiduciario) potrà disporre del bene esclusivamente in conformità alle istruzioni che il fiduciante gli ha impartito o si riserva di impartirgli successivamente.
Un altro tema che viene quasi sempre in considerazione quando si parla di simulazione e di contratto fiduciario è quello del negozio indiretto, da cui il negozio simulato va pure tenuto distinto.
Si ha negozio indiretto o procedimento negoziale indiretto quando un determinato effetto giuridico non viene perseguito direttamente, ma per vie c.d. “traverse”, ponendo in essere atti tipicamente diretti ad altri effetti, ma che, grazie all’inserimento di apposite clausole ovvero per mezzo della combinazione di plurimi negozi, realizzano egualmente il risultato pratico perseguito dalle parti oppure un risultato simile.
L’esempio pratico più ricorrente è quello di un soggetto che vuole mettere a disposizione di un congiunto o anche di un terzo estraneo un determinato bene evitando il pagamento, almeno nell’immediato, l’imposta di trasferimento.
Tale fine sarà realizzabile mediante il conferimento di un mandato irrevocabile ad amministrare e, ove lo si ritenga opportuno, anche ad alienare il bene, esonerando il mandatario dall’obbligo di presentare il rendiconto della gestione compiuta.
Come può notarsi, il negozio (contratto di mandato) viene posto in essere per uno scopo pratico diverso da quello tipico, ma, a differenza di ciò che accade nella simulazione (nel qual caso le parti si accordano per escludere gli effetti dell’atto), gli effetti del negozio posto in essere sono realmente voluti, sebbene poi le stesse parti si prefiggano scopi ulteriori (indiretti) rispetto a quelli normali dell’atto posto in essere.
In questo caso ci si deve necessariamente avvalere del mandato ad amministrare per conto ma non in nome del mandante (ovvero senza rappresentanza), in quanto la rappresentanza farebbe apparire all’esterno il vero titolare delle quote societarie gestite.
Lo schema da seguire, per il quale non occorre il rispetto di alcuna forma particolare, sarà il seguente:
il fiduciante fornisce al fiduciario la provvista necessaria per l’acquisto delle quote societarie, ed il fiduciario si obbliga a gestirle per conto del fiduciante e sotto le sue direttive, con contestuale obbligo di trasferimento al fiduciante stesso alla scadenza del termine pattuito ovvero al verificarsi di una delle condizioni previste nel mandato fiduciario ad amministrare.
E’ consigliabile fare in modo che tale mandato abbia data certa, ed a tal fine costituisce sicuramente una buona soluzione sia quella dello scambio a mezzo PEC tra le stesse parti sia eventualmente l’apposizione di una marca da bollo, dovendo le marche recare la data di emissione.
Per maggiori approfondimenti su questa particolare tema, tuttavia, si rinvia ad una notizia giuridica pubblicata da questa Redazione al seguente link:
https://www.brocardi.it/notizie-giuridiche/cosa-come-ottiene-data-certa-documento/1807.html
La natura statica o dinamica dell’amministrazione fiduciaria dipende dal contenuto che le parti decidono di dare al contratto di mandato ad amministrare.
In ogni caso, tale natura non può assumere alcuna rilevanza nei confronti dei terzi, essendo destinata a rimanere vincolante tra le sole parti che hanno concluso il pactum fiduciae.
Un ulteriore aspetto che appare utile affrontare quando ci si decide a porre in essere un contratto fiduciario, è quello di valutare l’opportunità o meno di inserire nel pactum fiduciae eventuali clausole successorie.
In effetti l’apertura della successione mortis causa del fiduciante o del fiduciario, in costanza del rapporto fiduciario, costituisce teatro di gran parte dei conflitti, ma ciò accade a causa della mancanza di documentazione scritta degli accordi.
Qualora, invece, il rapporto fiduciario risulti da un atto scritto, gli eredi, subentrando nei rapporti attivi e passivi facenti capo al de cuius, saranno obbligati a sottostare alla promessa fiduciaria e proseguire nel mantenimento della proprietà del bene finchè il fiduciante non richieda il trasferimento a suo favore ovvero a favore di un terzo.
Qualora il fiduciante dovesse ritenere che gli eredi del fiduciario, che subentrano nelle sue obbligazioni, non presentino le stesse caratteristiche di affidabilità del loro dante causa e siano inidonei a svolgere la prestazione da questi promessa, potrà anticipare rispetto al tempo inizialmente programmato la richiesta di ritrasferimento dei valori mobiliari, ponendo così termine al rapporto obbligatorio.
Problemi minori pone, invece, la morte del fiduciante, potendosi presentare il solo rischio che, nell’ipotesi di mancata conoscenza da parte dei suoi eredi del rapporto fiduciario, gli eredi del fiduciante non si occupino di riacquistare la proprietà dei beni fiduciariamente intestati, consentendo così ad un fiduciario sleale di mantenere sostanzialmente sine die la proprietà del bene.
Per evitare ogni possibile conflitto si ritiene, dunque, opportuno, inserire nel mandato ad amministrare una clausola in forza della quale prevedere, per il caso di morte del fiduciario anteriore al termine massimo di durata, l’estinzione dello stesso.
Dal lato del fiduciante, invece, si suggerisce di indicare nel testamento le intestazioni fiduciarie da lui affidate, così da mettere i suoi eredi in condizione di chiederne il ritrasferimento.
Infine, e per concludere, va detto che l’operazione negoziale qui ipotizzata potrebbe essere realizzata anche mediante costituzione di una società a responsabilità limitata a socio unico, alla quale intestare le quote del fiduciante.
In questo caso, ovviamente, il mandato andrebbe concluso tra fiduciante ed s.r.l., rappresentata dall’amministratore unico e legale rappresentante.
Non deve scoraggiare sotto questo profilo la circostanza che la legge preveda espressamente la costituzione di società avente un oggetto sociale siffatto e che, pertanto, adempiono a tale mandato professionalmente, in quanto ciò non può valere ad escludere che il medesimo scopo possa essere perseguito anche in via non professionale.
Piuttosto, si andrebbe a porre in essere, anche in questo caso, un negozio indiretto, in quanto la costituzione della s.r.l. avrebbe come precipua finalità quella di creare un soggetto di diritto a cui intestare le quote sociali del fiduciante e con la quale concludere il pactum fiduciae.
Unico problema che potrebbe porsi e sul quale occorre ben riflettere, sarebbe quello di dover indicare nell’atto costitutivo della costituenda società un oggetto sociale che possa conciliarsi al meglio con la finalità che si intende perseguire, tenuto conto che la neo costituenda società dovrà pur svolgere un’attività sociale per risultare attiva.