La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 22832 del 29 settembre 2017, si è occupata proprio di questa questione, fornendo alcune interessanti precisazioni sul punto.
Il caso sottoposto all’esame della Cassazione ha visto come protagonista un soggetto, che aveva agito in giudizio nei confronti del Ministero della salute, al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito di alcune trasfusioni di sangue al quale questi si era sottoposto, che sarebbero state causa di una patologia epatica contratta.
La domanda risarcitoria era stata rigettata in primo grado ma accolta in grado d’appello, con la conseguenza che il Ministero aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, lamentando la violazione dell’art. 2043 c.c.
Secondo il Ministero, in particolare, la Corte d’appello, nel riconoscere il diritto del paziente al risarcimento dei danni, avrebbe erroneamente “dato per scontata la sussistenza del [[def ref=nesso di causalità tra patologia epatica del sig. S. e le trasfusioni subite”.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle considerazioni svolte dal Ministero, rigettando il relativo ricorso, in quanto fondato.
Osservava la Cassazione, in proposito, che “il Ministero della salute è tenuto ad esercitare un'attività di controllo e di vigilanza in ordine, tra l'altro, alla pratica terapeutica della trasfusione del sangue e dell'uso degli emoderivati” e che questi, ai sensi dell’art. 2043 c.c., risponde, “per omessa vigilanza”, dei “danni conseguenti ad epatite e ad infezione da HIV contratte da soggetti emotrasfusi”.
Ebbene, nel caso di specie, secondo la Cassazione, la Corte d’appello aveva, del tutto adeguatamente, ritenuto il Ministero responsabile dei danni subiti dal paziente in questione, avendo la stessa evidenziato come il Ministero fosse stato tenuto “a controllare che il sangue utilizzato per le trasfusioni o per gli emoderivati fosse esente dai virus”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dal Ministero, confermando integralmente la sentenza oggetto di impugnazione.