Con
sentenza n. 24927/2019 la
Corte di Cassazione, IV Sezione Penale, si è pronunciata in tema di
omicidio colposo aggravato dalla
violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale.
La fattispecie di cui al secondo comma dell’
art. 589 del c.p. è stata sostituita, si ricorda, dall’attuale “
omicidio stradale” previsto all’
art. 589 bis del c.p., introdotto con la legge n. 41 del 2016.
La vicenda giudiziaria è originata da un
sinistro stradale in cui l’
imputato, alla guida della sua autovettura, secondo la ricostruzione dei fatti, cagionava la morte di un uomo. In particolare, il conducente, privo di assicurazione RCA, investiva un pedone, il quale
incautamente attraversava da sinistra verso destra rispetto alla sua direzione di marcia, a breve distanza dalle strisce pedonali. Quest’ultimo poi, veniva colpito sulla parte destra del corpo e impattava con il terreno, riportando lesioni mortali.
L’imputato veniva
condannato in
primo grado e, successivamente, la sentenza veniva parzialmente modificata dalla Corte di Appello, che pur riteneva egli responsabile dell’infausto evento. Questi, ad avviso della Corte, in prossimità degli attraversamenti pedonali, nonostante l’avvistamento del pedone che aveva già impegnato la carreggiata (in fase di attraversamento), non aveva tenuto una
guida prudente ed
adeguata, tenuto conto delle circostanze del caso concreto.
Il
condannato ricorreva in Cassazione, precisando due distinti motivi di doglianza.
Con il primo si deduceva la manifesta illogicità della motivazione ed il travisamento dei fatti.
Con il secondo si deduceva il vizio motivazionale, non avendo la Corte distrettuale rinnovato l’istruttoria dibattimentale sulla base di una perizia cinematica, ai fini dell’accertamento della concorrente colpa della vittima.
Circa il primo motivo, la Corte di Cassazione, per il tramite della pronuncia di cui sopra, ha precisato che la valutazione espressa dalla Corte di merito, quanto alla dinamica del sinistro, “risulta immune da aporie di ordine logico e appare saldamente ancorata all’acquisito compendio probatorio”.
Anche alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale in ambito di accertamento del rapporto di causalità, non può escludersi la responsabilità del conducente dell’autoveicolo per il solo fatto che risulti accertato un contestuale
comportamento colposo del pedone (per colpa generica o specifica).
Tale eventualità, ai sensi e per gli effetti del primo comma dell'
art. 41 del c.p., sarebbe
concausa dell’evento lesivo e
non è
idonea ad
escludere la
responsabilità dell’
agente.
Necessario risulta, dunque, che la condotta del pedone sia
causa eccezionale,
atipica,
non prevista né prevedibile e che,
ex art. 41, co. 2, c.p. appaia di per sé sufficiente a produrre l’evento.
Come ha chiarito la Corte, ciò si verifica nell’ipotesi in cui il conducente, la cui condotta non presenti profili colposi, sia oggettivamente impossibilitato ad avvistare il pedone, i cui movimenti rapidi, inattesi ed imprevedibili non possono essere oltremodo osservati in modo tempestivo.
Quanto al concetto di travisamento dei fatti di causa, la Corte ha precisato che “l
’articolo 606 c.p.p. non consente alla Corte di Cassazione una diversa “lettura” dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove […]; nessuna prova, in realtà, ha un significato isolato […]; che occorre necessariamente procedere ad una valutazione complessiva di tutto il materiale probatorio disponibile; che il significato delle prove lo deve stabilire il giudice del merito e che il giudice di legittimità non può ad esso sostituirsi sulla base della lettura necessariamente parziale suggeritagli dal ricorso per Cassazione”.
Infine, circa il secondo motivo, anche tali deduzioni appaiono destituite di ogni fondamento per la Corte.
Il quadro probatorio costituito in primo grado è potenzialmente completo, operando una presunzione in tal senso. Se il Giudice dell’Appello ritiene di poter decidere allo stato degli atti, va negata la rinnovazione di una
istruzione dibattimentale, tanto più se fondata sulla “generica” perizia cinematica prospettata dall’appellante.
Per queste ragioni la Cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile, condannando il
ricorrente al pagamento delle spese processuali.