Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello, in riforma della sentenza di primo grado, aveva dichiarato di non doversi procedere nei confronti dell'imputato per il delitto di omicidio (art. 589 del c.p.), successivamente riqualificato nella fattispecie di cui all’art. 586 del c.p. ovvero per "morte o lesioni come conseguenza di altro delitto".
Nel caso di specie, un’anziana donna era deceduta per arresto cardiaco, a seguito del lancio di un palloncino pieno d’acqua, che l’aveva colpita.
Secondo la Corte d’appello, il reato doveva ritenersi estinto per prescrizione.
Ad ogni modo, la Corte confermava la condanna dell’imputato al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili.
L’imputato, quindi, proponeva ricorso per Cassazione avverso tale sentenza, poichè non era stato in alcun modo tenuto in considerazione la causa del decesso della vittima e la concreta prevedibilità dell’evento.
Secondo l’imputato, in particolare, la decisione della Corte d’appello si fonderebbe su presupposti di fatto mai verificati (come “l’altezza della finestra dalla quale è stato effettuato il lancio, il peso della busta, la posizione della vittima, il suo effettivo attingimento”) e, inoltre, non si poteva “logicamente far derivare dal rapporto di conoscenza con l’anziana vittima, la conoscenza delle patologie cardiache di cui si assume che soffrisse”.
La Corte di Cassazione non riteneva, tuttavia, di poter aderire alle argomentazioni svolte dall’imputato ricorrente, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.
Infatti, per i giudici di terzo grado non vi era dubbio che l’imputato avesse “volontariamente lanciato la busta dalla finestra della propria abitazione, posta al secondo piano del palazzo in cui abitava, al fine di intimorire la vittima che si trovava in quel momento seduta davanti al portone di casa propria e che fu anche colpita”.
Inoltre, non vi era “nemmeno contestazione sul fatto che la vittima soffrisse di cardiovascolopatia sclerotica né sulla causa immediata del decesso: l’insufficienza acuta cardio-respiratoria”.
Quanto, infine, “alla riconducibilità dell’evento alla condotta”, la Cassazione evidenziava come la Corte d’Appello avesse motivato la propria decisione in base alle risultanze della consulenza tecnica espletata in corso di causa, che avevano precisato come “il meccanismo provocato da uno stimolo emozionale intenso sul sistema endocrino” può condurre ad un arresto improvviso del battito cardiaco.
Nel caso di specie, secondo la Cassazione, lo stress emozionale, nonché la patologia cardiaca di cui soffriva la vittima, dimostrava come la condotta dell’imputato avesse cagionato il decesso dell’anziana donna, “in assenza dell’attribuzione dell’evento ad altre cause concorrenti”.
Non vi era dubbio, infatti, che l’azione dell’imputato avesse “innescato un meccanismo potenzialmente idoneo a provocare, alla luce delle concause preesistenti (la patologia cardiologica) e dell’età della vittima, il decesso di quest’ultima”.
Per quanto concerne, poi, la “concreta prevedibilità dell’evento”, la Cassazione evidenziava come “in tema di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, la morte è imputabile alla responsabilità dell’autore della condotta sempre che, oltre al nesso di causalità materiale, sussista la colpa in concreto per violazione di una regola precauzionale (diversa dalla norma che incrimina la condotta delittuosa del reato-base) e con prevedibilità ed evitabilità dell’evento, da valutarsi alla stregua dell’agente modello razionale, tenuto conto delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall’agente reale”.
Di conseguenza, nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva correttamente ritenuto “la prevedibilità in concreto della condotta avuto riguardo alla sua portata lesiva e allo spavento che ne sarebbe derivato (il lancio dal secondo piano di una busta piena d’acqua che ha persino colpito la vittima), all’età avanzata di quest’ultima (più che ottuagenaria), al rapporto di conoscenza pluriennale con l’imputato che era in grado di apprezzare lo stato di declino fisico”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso, condannando il ricorrente alle spese processuali.