Stando a quanto affermato dalla Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 24062 del 12 ottobre 2017, sembrerebbe proprio di sì.
Nel caso esaminato dalla Cassazione, una società aveva commissionato ad una ditta la campagna promozionale per l’apertura di un nuovo negozio.
La ditta incaricata aveva, dunque, predisposto un primo catalogo promozionale, mentre i successivi, pubblicati nello stesso anno, erano stati realizzati da un’altra agenzia.
La prima ditta incaricata, dunque, aveva agito in giudizio nei confronti della società committente, al fine di ottenere la condanna della stessa al risarcimento del danno che le era derivato dall'illegittimo utilizzo, da parte della società stessa, “del risultato della propria attività creativa, consistito nella realizzazione, nei manifesti pubblicitari e nel primo catalogo commissionato, di un messaggio pubblicitario caratterizzato da una parte grafica da una parte letterale”.
Il Tribunale di primo grado aveva accolto la domanda risarcitoria avanzata dalla ditta e la sentenza era stata confermata dalla Corte d’appello, con la conseguenza che la società condannata aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della decisione ad essa sfavorevole.
Secondo la ricorrente, in particolare, la Corte d’appello, nel confermare la condanna al risarcimento dei danni, non avrebbe dato corretta applicazione agli artt. [[n1lediraut]] e [[n2lediraut]] della legge n. 633 del 1941 (legge sul diritto d’autore).
Evidenziava la società, in proposito, che la Corte d’appello, nel ritenere che la creazione di un messaggio pubblicitario rientrasse tra le “opere dell’ingegno”, protette dalla legge n. 633/1941, avrebbe erroneamente fatto coincidere “il concetto giuridico di creatività con quello di creazione, originalità e novità assoluta”.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione alla società e rigettava il relativo ricorso.
Precisava la Cassazione, infatti, che la Corte d’appello aveva, del tutto correttamente, ritenuto applicabile, al caso di specie, la legge sul diritto d’autore, dal momento che la campagna pubblicitaria in questione possedeva i requisiti della “originalità e creatività”, trattandosi di “un messaggio facilmente riconoscibile e immediatamente comprensibile da parte del pubblico e quindi a catturare l'attenzione del consumatore”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dalla società committente, confermando integralmente l’ordinanza impugnata e condannando la ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.