Cass. civ. n. 25978/2008
In tema di revoca della sentenza dichiarativa di fallimento, a seguito di opposizione accolta per difetto dei presupposti di diritto sostanziale ovvero, come nella specie, per violazione di norme processuali, il fallito può chiedere, in entrambe le ipotesi, anche nello stesso procedimento ed ai sensi dell'art. 96 c.p.c., che sia pronunciata la responsabilità del creditore istante per i danni cagionati con dolo o colpa grave ; l'esistenza di tale pregiudizio si configura in re ipsa come effetto della privazione della disponibilità dell'azienda, in analogia a quanto affermato con riguardo al bene occupato sine titulo da parte della P.A. (Principio affermato dalla S.C. che, cassando con rinvio la sentenza d'appello, ne ha rilevato l'erroneità per non aver accolto l'istanza dell'opponente fallito volta ad acquisire il fascicolo fallimentare da cui sarebbero potute emergere le valutazioni dei beni aziendali, con ciò assolvendo la parte all'onere di allegare gli elementi di fatto, desumibili dagli atti di causa, necessari ad identificare in concreto il danno, così permettendone al giudice la liquidazione, anche se equitativa ).
Cass. civ. n. 10099/2008
In caso d'intervenuta sentenza di revoca del fallimento, in assenza di colpa del creditore istante e con conseguente imposizione a carico dell'erario delle spese della procedura, nella vigenza dell'art. 21, secondo comma, legge fall., attualmente abrogato dall'art. 18 del D.L.vo 9 gennaio 2006, n. 5, l'avvocato che abbia svolto prestazioni professionali in favore della procedura stessa non può richiedere la liquidazione degli onorari agli organi preposti al fallimento, ma deve proporre un'azione ordinaria o avvalersi di rimedi procedimentali speciali previsti dall'ordinamento, per richiedere il pagamento delle proprie spettanze all'Amministrazione dello Stato, tenuta al rimborso.
Cass. civ. n. 4096/2007
La responsabilità del creditore istante per il fallimento del proprio debitore per i danni derivati dalla dichiarazione di fallimento di quest'ultimo configura una particolare applicazione, al processo fallimentare, dell'istituto della responsabilità aggravata di cui all'art. 96 c.p.c.; la relativa liquidazione del danno postula che la parte istante abbia assolto l'onere di allegare gli elementi di fatto, desumibili dagli atti di causa, necessari ad identificarne concretamente l'esistenza ed idonei a consentire al giudice la relativa liquidazione, anche se equitativa.
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Nel caso di revoca della dichiarazione di fallimento, ai sensi dell'art. 21, terzo comma, legge fall., nel testo vigente a seguito della sentenza della Corte cost. n. 46 del 1975 e poi dell'art. 147 del T.U. n. 115 del 2002, le spese della procedura e il compenso del curatore possono gravare sul creditore che abbia chiesto la dichiarazione di fallimento con colpa. A tal fine non è necessario che il creditore sia condannato al risarcimento dei danni derivati dalla sua condotta abusiva ma è sufficiente l'accertamento del relativo titolo di responsabilità.
Cass. civ. n. 19125/2006
La revoca del fallimento, ancorché disposta per vizi processuali o per incompetenza del giudice, lascia salvi gli effetti prodotti dalle domande di ammissione al passivo sul decorso del termine di prescrizione dei relativi crediti, non rilevando in proposito il disposto dell'art. 21 legge fall., che si riferisce agli atti degli organi della procedura, non a quelli compiuti nei confronti di essa; né la revoca comporta l'estinzione della procedura fallimentare, con la conseguenza che trova applicazione la regola di cui al secondo comma dell'art. 2945 c.c., con la sospensione del corso della prescrizione, e non quella di cui al terzo comma della medesima norma, che fa salvo, nel caso di estinzione del processo, il solo effetto interruttivo prodotto dalla domanda giudiziale.
Cass. civ. n. 12411/2006
In caso di revoca della dichiarazione di fallimento, mentre la liquidazione del compenso dovuto al curatore spetta al tribunale già preposto alla procedura, il quale, ai sensi dell'art. 21 della legge fall., vi provvede con decreto non soggetto a reclamo, l'istanza con cui il curatore chiede porsi il predetto compenso a carico dell'Erario non può essere proposta al medesimo giudice mediante l'instaurazione di un procedimento camerale non contenzioso, ma, essendo stato indicato un soggetto controinteressato perché individuato come soggetto tenuto definitivamente al pagamento di tale compenso, dev'essere proposta instaurando un giudizio contenzioso, nel rispetto del principio del contraddittorio, trattandosi di procedura fallimentare non più in corso e non essendovi alcuna possibilità di recuperare le spese anticipate dall'Erario, ai sensi dell'art. 146, comma quarto, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, sulle somme ricavate dalla liquidazione dell'attivo.
Cass. civ. n. 18241/2005
Nella ipotesi di revoca della sentenza dichiarativa di fallimento, in assenza di estremi di responsabilità a carico del creditore istante, a seguito della soppressione del ruolo degli amministratori giudiziari e del fondo speciale per il compenso ai curatori fallimentari, nonché della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 21, terzo comma, legge fall. nella parte in cui, nel caso di revoca del fallimento, poneva a carico di chi l'aveva subita senza che ne ricorressero i presupposti e senza avervi dato causa, le spese di procedura e il compenso del curatore (Corte cost. n. 46 del 1975, norma quest'ultima abrogata dall'art. 229 del D.P.R. n. 115 del 2002, a far data dall'1 luglio 2002), il curatore che, in siffatta ipotesi, chieda la liquidazione del compenso ha l'onere di individuare, sin dall'atto introduttivo del procedimento, il soggetto che ritiene onerato del pagamento delle spese e del compenso della procedura. (Nella specie il curatore fallimentare aveva proposto ricorso, ex art. 111 Cost., avverso il decreto del tribunale fallimentare, che aveva rigettato la domanda di liquidazione del compenso; la S.C., in applicazione del succitato principio, ha dichiarato inammissibile il ricorso, in quanto il ricorrente aveva indicato nell'Amministrazione dello Stato l'obbligato al pagamento, senza individuare il soggetto tenuto al pagamento del compenso, con conseguente radicale carenza dell'instaurazione del rapporto processuale, preclusiva dell'integrazione del contraddittorio).
Cass. civ. n. 11181/2001
La disposizione contenuta nell'art. 21 L. fall. (a norma del quale se la sentenza dichiarativa di fallimento è revocata restano salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi del fallimento), riducendo l'efficacia del fallimento ai soli atti legalmente compiuti, toglie qualunque efficacia a quelli in corso, al momento della revoca del fallimento, siano essi di natura negoziale o di natura processuale, potendo proseguire nei confronti dell'ex fallito o dall'ex fallito solo le azioni che potevano essere promosse e che siano state avviate prima dell'apertura del fallimento, restando improcedibili tutti i giudizi che presuppongono in atto la procedura, che esprimono posizioni di interessi riferibili alla massa dei creditori e non al soggetto fallito e che possono essere riassunti (ove siano stati dichiarati interrotti) da chi vi abbia interesse, solo ai fini dell'emanazione di una pronuncia circa la loro improcedibilità e, in ogni caso, per provvedere alle spese processuali.
Cass. civ. n. 9677/2000
In caso di revoca della sentenza dichiarativa di fallimento, poiché anche nel relativo procedimento opera il principio che le spese seguono la soccombenza, così come il creditore istante, che abbia provocato la dichiarazione di fallimento successivamente revocata, è chiamato a rispondere dei danni derivatine solo se è incorso in colpa, così il debitore dichiarato illegittimamente fallito può essere ritenuto responsabile degli oneri che da tale dichiarazione siano derivati solo se sia incorso in comportamenti che abbiano indotto il giudice all'errato convincimento dell'esistenza degli estremi necessari per la dichiarazione successivamente revocata. (Nella specie, sulla base dell'esposto principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza del tribunale che, nel revocare il fallimento in ragione della natura di piccolo imprenditore del fallito, aveva posto a carico dello stesso le spese della procedura motivando sul fatto che si era reso inadempiente per obbligazioni non esigue, e quindi in base a circostanze estranee al nesso causale di natura processuale tra condotta e sentenza di fallimento).
Cass. civ. n. 5934/1999
Ove, in caso di revoca del fallimento, si intenda far valere la responsabilità del curatore collegata all'impulso processuale dallo stesso dato alla procedura, la fattispecie non si rende riconducibile né all'ambito della disciplina di cui all'art. 21 della legge fallimentare, posto che la norma in questione contiene un insuperabile riferimento esclusivo alla figura del «creditore istante», né — quand'anche in via residuale — all'ambito di quella di cui all'art. 96 c.p.c., posto che, in quest'ultimo caso si rende impeditivo il riferimento della responsabilità processuale esclusivamente alla «parte» in senso proprio del processo. Da ciò consegue che l'unica forma di responsabilità invocabile si renda quella di cui all'art. 2043 c.c., sotto il profilo della violazione del precetto del neminem laedere; responsabilità che, pur innestandosi nel processo, resta di carattere aquiliano e va quindi apprezzata alla stregua dei criteri previsti per un tal tipo di responsabilità.
Cass. civ. n. 12211/1992
Le spese di procedura ed il compenso del curatore, che, ai sensi dell'art. 21, terzo comma, R.D. 16 marzo 1942, n. 267, sono poste dal creditore istante che è stato condannato ai danni per aver chiesto la dichiarazione di fallimento con colpa, costituiscono debito di valuta, come tale insuscettibile di rivalutazione automatica.
Cass. civ. n. 875/1990
L'atto illecito istantaneo si distingue dall'atto illecito permanente — con le relative conseguenze in ordine alla decorrenza della prescrizione — perché nel primo la condotta dell'agente si esaurisce prima o nel momento stesso della produzione del danno, mentre in quello permanente essa perdura oltre tale momento e continua a cagionare danno per tutto il corso della sua durata. Ne deriva che la presentazione d'un'istanza di fallimento non fondata integra un illecito istantaneo per il cui diritto al risarcimento dei danni cagionati dalla revoca di credito bancario conseguente alla diffusione della notizia della presentazione dell'istanza, la prescrizione decorre non dal momento del manifestarsi dell'ultimo di tali eventi di danno, ma del primo di essi, che completa la fattispecie ex art. 2043 c.c. e di cui i successivi costituiscono solo uno sviluppo.
Corte cost. n. 302/1985
Non sono fondate, in riferimento agli artt. 3, 23 e 36, comma 1, della Costituzione, sia la questione di legittimità costituzionale dell'art. 91, comma 2, R.D. 16 marzo 1942, n. 267, nella parte in cui non prevede che il compenso del curatore, in caso di mancanza o insufficienza di attivo, sia posto a carico dell'erario, sia la questione di legittimità costituzionale degli artt. 21 e 91 R.D. 16 marzo 1942, n. 267, nella parte in cui non prevedono che il compenso del curatore, in caso di revoca della sentenza dichiarativa di fallimento e in caso di assenza di una pronuncia di responsabilità per colpa del creditore, sia posto a carico dell'erario.