LA norma attribuisce al Parlamento la
ratifica dei
trattati internazionali. Essi possono essere di natura politica, di regolamento giudiziario, di mutamento del
territorio italiano, di imposizione di oneri finanziari e di modificazione delle leggi.
Il riferimento alla "
legge" opera in due direzioni. In primo luogo, è escluso che siano ammessi atti con valore di legge, cioè decreti legislativi (art.
76 Cost.) o decreti legge (art.
77 Cost.): infatti, se il costituente avesse ammesso anche l'uso di questi non si sarebbe preoccupato di inserire un'apposita disposizione che specifica l'uso della legge da parte delle Camere in questa materia.
Il secondo vincolo imposto al
legislatore è contenuto nell'art.
72 comma 4 Cost. che stabilisce che è necessario il procedimento ordinario, ad esclusione, quindi, sia di quello abbreviato (art.
72 comma 2 Cost. sia di quello decentrato (art.
72 comma 3 Cost.).
L'autorizzazione del parlamento rappresenta un momento particolare ed eventuale del percorso di formazione di un trattato. Esso prende avvio con le negoziazioni tra le parti che si chiudono con la firma del documento la quale, però, non è ancora vincolante per gli Stati. L'obbligo al rispetto del trattato, infatti, sorge solo con la ratifica ad opera dell'organo competente.
Nel nostro ordinamento si tratta del
Capo dello Stato (art.
87 Cost.) salve le ipotesi, di cui alla norma in commento, in cui è necessaria l'autorizzazione parlamentare. Infine, lo scambio o il deposito delle ratifiche segnano l'
entrata in vigore del trattato. Pertanto si può affermare che l'eventuale passaggio parlamentare si inserisce in un procedimento squisitamente politico che fa capo all'esecutivo.
Una volta ratificato, peraltro, il trattato vincola non solo il legislatore nazionale ma anche quello regionale secondo quanto dispone oggi l'art.
117 comma 1 Cost..