L’art. 554-quinquies c.p.p. (inserito con la riforma Cartabia, d.lgs. n. 150 del 2022) disciplina la
revoca della sentenza di non luogo a procedere emessa all’esito della nuova udienza di comparizione predibattimentale. Però, in tal caso, il legislatore ha introdotto una disciplina diversa rispetto a quella prevista per la
revoca della sentenza di non luogo a procedere pronunciata in
udienza preliminare (dall’
art. 434 del c.p.p. all’
art. 437 del c.p.p.).
Ai sensi del comma 1, l’
unico soggetto legittimato a chiedere la revoca della sentenza predibattimentale è il
pubblico ministero.
La revoca della sentenza ex
art. 554 ter del c.p.p. può essere richiesta
quando, dopo la sua pronuncia,
sopravvengano o si scoprano nuove fonti di prova che, da sole o insieme a quelle già in atti, siano in grado di determinare l’
utile prosecuzione del giudizio: cioè, le nuove fonti di prova devono essere tali da poter consentire di pronosticare una ragionevole previsione di condanna.
Il comma 2 precisa che, con la richiesta di revoca, il
pubblico ministero deve
depositare presso la cancelleria del giudice competente anche
gli atti relativi alle nuove fonti di prova.
La
competenza spetta ad un
giudice appartenente all’ufficio g.i.p. e deve comunque trattarsi di un soggetto diverso da quello che ha pronunciato la sentenza di non luogo a procedere (come si deduce dall’art. 7-ter dell’
Ordinamento giudiziario). Peraltro, tale competenza rimane in capo ad un giudice di questo ufficio sia quando sia stata la Corte d’Appello ad aver pronunciato il non luogo a procedere, sia quando sia stato il giudice del rinvio a seguito di Cassazione ad aver emesso la sentenza.
A norma del comma 3, il giudice deve innanzitutto valutare l’
ammissibilità della richiesta di revoca. Nel silenzio del legislatore, la dottrina ritiene che la
richiesta di revoca deve essere considerata
inammissibile allorquando non siano state indicate le nuove fonti di prova o non sia stato specificato se queste sono state già acquisite o siano ancora da acquisire, nonché qualora la richiesta sia stata presentata da un soggetto non legittimato o per un reato estinto o riguardo ad una persona o ad un fatto diversi rispetto a quelli rispetto ai quali è stata emessa la sentenza di non luogo a procedere.
Se la richiesta del pubblico ministero è inammissibile, l’esame nel merito della domanda è precluso. Viceversa,
se la richiesta del pubblico ministero è ammissibile, il giudice fissa la data dell’
udienza in camera di consiglio e ne fa dare avviso al pubblico ministero, all’
imputato, al
difensore, alla persona offesa e alle altre parti costituite.
L’udienza si svolge con le forme previste dall’
art. 127 del c.p.p..
Il comma 4 precisa i
provvedimenti del giudice in ordine alla richiesta di revoca (la norma precisa che il giudice provvede con
ordinanza sulla richiesta del pubblico ministero).
Se il giudice
accoglie la richiesta, egli dispone la revoca della sentenza di non luogo a procedere e
fissa direttamente l’udienza dibattimentale dinanzi ad un giudice diverso (in questo caso, le richieste di rito alternativo possono essere proposte, a pena di
decadenza, direttamente all’udienza dibattimentale, prima dell’
apertura del dibattimento).
Con la revoca della sentenza di non luogo a procedere, si andrà direttamente al
dibattimento.
Non si svolge una
nuova udienza di comparizione predibattimentale, né tantomeno ci sarà una
riapertura delle indagini (a differenza di quanto previsto dall’
art. 435 del c.p.p. in caso di revoca della sentenza di non luogo a procedere in
udienza preliminare). Infatti, la riapertura delle indagini non può mai esserci poiché, con la citazione diretta, il rito è già passato ad una fase propriamente processuale e, dunque, ci sarebbe un’inutile regressione del processo.
Infine, contro l’ordinanza che rigetta o dichiara inammissibile la richiesta di revoca, il pubblico ministero può proporre
ricorso per cassazione a norma dell’
art. 437 del c.p.p., il quale prevede la possibilità di impugnare solo per i motivi indicati dalle lettere b), d) ed e) del comma 1 dell’
art. 606 del c.p.p..
Pertanto, né l’imputato, né la persona offesa (neppure se costituita
parte civile) possono impugnare contro l’ordinanza che decide sulla richiesta di revoca. Al massimo, la persona offesa può sollecitare il pubblico ministero.