Con questa norma viene disciplinata l’ipotesi inversa a quella prevista nella norma che precede, in quanto si prende in esame l’ipotesi in cui il rapporto dedotto in giudizio sia estraneo alla previsione di cui all’
art. 409 del c.p.c..
Anche in questo caso il giudice pronuncia un’
ordinanza di mutamento del rito da speciale a ordinario.
In particolare, se la causa introdotta con il rito speciale rientra pur sempre nelle ipotesi di
competenza del giudice adito, viene disposto che i relativi atti siano regolarizzati con le disposizioni tributarie.
In caso contrario, rimette la causa al giudice competente, assegnando alle parti, con la medesima ordinanza, un
termine perentorio non superiore a trenta giorni per
riassumere la causa con il rito ordinario.
Nella stessa ordinanza in forza della quale viene disposto il mutamento del rito, il giudice deve anche indicare quale sia l’organo territorialmente competente.
La giurisprudenza ha riconosciuto all’ordinanza di rimessione natura di
sentenza, come tale suscettibile di
impugnazione con
regolamento di competenza, sia ad istanza di parte che d’ufficio.
L’ultimo comma della norma si preoccupa di disciplinare la sorte che avranno le prove acquisite durante lo stato di rito speciale, disponendo che queste avranno l’efficacia consentita nel rito ordinario.
Ciò deve intendersi nel senso che non si potrà tener conto delle prove estranee al rito ordinario, né di quelle ammesse d’ufficio o su istanza di parte al di fuori dei limiti di ammissibilità stabiliti dal codice civile.
In forza del principio dispositivo, l’inammissibilità delle prove dovrà essere fatta valere dalla parte che ha interesse alla loro esclusione dal processo.
La conversione del rito determina, quale effetto principale, il venir meno delle preclusioni verificatesi ex
art. 414 del c.p.c. e
art. 416 del c.p.c. e l’applicazione del diverso regime delle preclusioni stabilite per il rito ordinario.
Per quanto concerne il provvedimento di conversione del rito che il giudice è chiamato a pronunciare in forza di questa norma, si sostiene che, essendo emesso con ordinanza e non con
decreto, lo stesso presupponga l’instaurazione del
contraddittorio e che non possa essere emesso senza la preventiva audizione delle parti e, dunque, prima dell’
udienza di discussione della causa.
Tale ordinanza può essere pronunciata d’ufficio in qualunque momento successivo a tale udienza e fino alla lettura della sentenza che definisce il giudizio.
L’ordinanza non è reclamabile né impugnabile, mentre può sempre essere revocata, previa audizione della parti, solo una volta che sia stata esaurita l’
istruzione della causa.
La trattazione davanti al giudice del lavoro con rito speciale di una controversia non compresa tra quelle di cui all’
art. 409 del c.p.c. non costituisce motivo di
nullità della sentenza emessa, la quale non è per tale motivo impugnabile, a meno che tale omissione non abbia inciso sul contraddittorio o sui diritti di difesa, determinando in tal modo un pregiudizio specifico.