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Articolo 427 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Passaggio dal rito speciale al rito ordinario

Dispositivo dell'art. 427 Codice di procedura civile

Il giudice, quando rileva che una causa promossa nelle forme stabilite dal presente capo riguarda un rapporto diverso da quelli previsti dall'articolo 409 (1), se la causa stessa rientra nella sua competenza dispone che gli atti siano messi in regola con le disposizioni tributarie (2); altrimenti la rimette con ordinanza al giudice competente, fissando un termine perentorio non superiore a trenta giorni per la riassunzione con il rito ordinario (3).

In tal caso le prove acquisite durante lo stato di rito speciale avranno l'efficacia consentita dalle norme ordinarie(4).

Note

(1) La norma in analisi disciplina l'ipotesi opposta rispetto all'articolo precedente in quanto viene in rilievo nel caso in cui il rapporto dedotto in giudizio sia estraneo alla previsione di cui all'art. 409. Di conseguenza, il giudice pronuncia un'ordinanza di mutamento del rito da speciale ad ordinario.
(2) Se la causa introdotta con il rito speciale rientra nelle ipotesi di competenza del giudice adito, questo dispone la regolarizzazione sotto il profilo tributario.
(3) Diversamente, se la causa non rientra tra quelle elencate nell'art. 409, il giudice adito deve rimettere la causa a quello competente, assegnando alle parti un termine perentorio, non superiore a trenta giorni, per riassumere la causa con il rito ordinario. Nell'ordinanza di mutamento del rito, il giudice deve anche indicare quale sia l'organo territorialmente competente.
(4) Per quanto riguarda le prove acquisite durante il rito speciale, queste avranno l'efficacia consentita nel rito ordinario, ciò significa che non si potrà tenere conto delle prove estranee al rito ordinario, nè di quelle ammesse d'ufficio o su istanza di parte al di fuori dei limiti di ammissibilità stabiliti dal codice civile. L'inammissibilità delle prove dovrà essere fatta valere dalla parte interessata alla loro esclusione dal processo, in virtù del principio dispositivo.

Spiegazione dell'art. 427 Codice di procedura civile

Con questa norma viene disciplinata l’ipotesi inversa a quella prevista nella norma che precede, in quanto si prende in esame l’ipotesi in cui il rapporto dedotto in giudizio sia estraneo alla previsione di cui all’art. 409 del c.p.c..
Anche in questo caso il giudice pronuncia un’ordinanza di mutamento del rito da speciale a ordinario.

In particolare, se la causa introdotta con il rito speciale rientra pur sempre nelle ipotesi di competenza del giudice adito, viene disposto che i relativi atti siano regolarizzati con le disposizioni tributarie.

In caso contrario, rimette la causa al giudice competente, assegnando alle parti, con la medesima ordinanza, un termine perentorio non superiore a trenta giorni per riassumere la causa con il rito ordinario.
Nella stessa ordinanza in forza della quale viene disposto il mutamento del rito, il giudice deve anche indicare quale sia l’organo territorialmente competente.
La giurisprudenza ha riconosciuto all’ordinanza di rimessione natura di sentenza, come tale suscettibile di impugnazione con regolamento di competenza, sia ad istanza di parte che d’ufficio.

L’ultimo comma della norma si preoccupa di disciplinare la sorte che avranno le prove acquisite durante lo stato di rito speciale, disponendo che queste avranno l’efficacia consentita nel rito ordinario.
Ciò deve intendersi nel senso che non si potrà tener conto delle prove estranee al rito ordinario, né di quelle ammesse d’ufficio o su istanza di parte al di fuori dei limiti di ammissibilità stabiliti dal codice civile.

In forza del principio dispositivo, l’inammissibilità delle prove dovrà essere fatta valere dalla parte che ha interesse alla loro esclusione dal processo.
La conversione del rito determina, quale effetto principale, il venir meno delle preclusioni verificatesi ex art. 414 del c.p.c. e art. 416 del c.p.c. e l’applicazione del diverso regime delle preclusioni stabilite per il rito ordinario.

Per quanto concerne il provvedimento di conversione del rito che il giudice è chiamato a pronunciare in forza di questa norma, si sostiene che, essendo emesso con ordinanza e non con decreto, lo stesso presupponga l’instaurazione del contraddittorio e che non possa essere emesso senza la preventiva audizione delle parti e, dunque, prima dell’udienza di discussione della causa.
Tale ordinanza può essere pronunciata d’ufficio in qualunque momento successivo a tale udienza e fino alla lettura della sentenza che definisce il giudizio.

L’ordinanza non è reclamabile né impugnabile, mentre può sempre essere revocata, previa audizione della parti, solo una volta che sia stata esaurita l’istruzione della causa.

La trattazione davanti al giudice del lavoro con rito speciale di una controversia non compresa tra quelle di cui all’art. 409 del c.p.c. non costituisce motivo di nullità della sentenza emessa, la quale non è per tale motivo impugnabile, a meno che tale omissione non abbia inciso sul contraddittorio o sui diritti di difesa, determinando in tal modo un pregiudizio specifico.

Massime relative all'art. 427 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 18048/2019

Per il passaggio dal rito del lavoro al rito ordinario non è necessario un provvedimento formale, a meno che gli atti non debbano essere messi in regola con le disposizioni tributarie o che si renda necessario un mutamento di competenza, ai sensi dell'art. 427 c.p.c.. (Nella specie, la S.C. ha ravvisato un implicito e consentito mutamento del rito nel provvedimento con cui il giudice, adito con il rito del lavoro, applicabile ex art. 3 della l. n. 102 del 2006, ha invitato le parti a precisare le conclusioni, assegnando i termini di cui all'art. 190 c.p.c.).

Cass. civ. n. 1448/2015

L'omesso mutamento del rito (da quello speciale del lavoro a quello ordinario e viceversa) non determina "ispso iure" l'inesistenza o la nullità della sentenza ma assume rilevanza invalidante soltanto se la parte che se ne dolga in sede di impugnazione indichi lo specifico pregiudizio processuale concretamente derivatole dalla mancata adozione del rito diverso, quali una precisa e apprezzabile lesione del diritto di difesa, del contraddittorio e, in generale, delle prerogative processuali protette della parte.

Cass. civ. n. 19942/2008

L'omesso cambiamento del rito, anche in appello, dal rito speciale del lavoro a quello ordinario o viceversa non spiega effetti invalidanti sulla sentenza, che non è né inesistente né nulla, e la relativa doglianza, che può essere dedotta come motivo di impugnazione, è inammissibile per difetto di interesse qualora non si indichi uno specifico pregiudizio processuale che dalla mancata adozione del diverso rito sia concretamente derivato, in quanto l'esattezza del rito non deve essere considerata fine a se stessa, ma può essere invocata solo per riparare una precisa ed apprezzabile lesione che, in conseguenza del rito seguito, sia stata subita sul piano pratico processuale.

Cass. civ. n. 728/1997

Il pretore, adito in funzione di giudice del lavoro, che rilevi il proprio difetto di giurisdizione, deve dichiararlo con sentenza ai sensi dell'art. 420, comma quarto, c.p.c., non essendogli in tal caso consentita l'emissione di ordinanza ai sensi dell'art. 427 dello stesso codice.

Cass. civ. n. 11418/1993

La distinzione fra giudice ordinario e giudice del lavoro non involge una questione di competenza per materia, ma di semplice diversità di rito, talché la trattazione davanti a quest'ultimo col rito speciale di una causa non compresa fra quelle enumerate dall'art. 409 c.p.c. — salva la possibile insorgenza di una questione di competenza per valore, soggetta, tuttavia, ai limiti dell'art. 38 c.p.c., che ne prevede la rilevabilità, anche di ufficio, nel solo ambito del giudizio di primo grado — non costituisce motivo di nullità, talché l'omesso cambiamento di rito, anche in appello, non può costituire motivo di impugnazione, tranne che abbia inciso sul contraddittorio o sui diritti della difesa. Consegue che una nullità siffatta non è configurabile allorché il rito speciale, senza escludere una determinata facoltà, come quella inerente alla proposizione della domanda riconvenzionale, la assoggetti soltanto ad una disciplina diversa da quella propria del rito ordinario.

Cass. civ. n. 1916/1993

Anche ai fini degli artt. 427 e 439 c.p.c., la competenza si determina con riferimento alla domanda e, in particolare, al petitum ed alla causa petendi con essa esposti, indipendentemente dalla fondatezza della domanda medesima. Pertanto, l'obbligo del giudice di provvedere al mutamento del rito, ove la causa concerna un rapporto diverso da quelli menzionati dall'art. 409 c.p.c., sussiste solo quando il rapporto dedotto in giudizio dall'attore si presenti fin dall'atto introduttivo della causa come estraneo alla previsione di tale norma, e non anche quando l'estraneità emerga a seguito dei risultati dell'istruzione probatoria, poiché questi, al pari delle eventuali eccezioni del convenuto circa l'inesistenza del rapporto controverso o la natura del medesimo, attengono al merito della pretesa, di cui possono, in ipotesi, determinare il rigetto, ferma la possibilità di esercizio, davanti al giudice competente, di altra azione fondata sulla diversa qualificazione del rapporto.

Cass. civ. n. 9902/1990

Per il passaggio dal rito del lavoro al rito ordinario non è necessario un provvedimento formale, ove non ricorra una delle ipotesi previste dall'art. 427 c.p.c. (necessità di regolarizzare gli atti secondo le disposizioni tributarie o mutamento di competenza).

Cass. civ. n. 537/1984

Nel giudizio, promosso per conseguire, in relazione a determinate prestazioni che si assumano effettuate con vincolo di subordinazione, il pagamento della dovuta retribuzione, il passaggio dal rito speciale del lavoro al rito ordinario, per il caso in cui il giudice adito escluda la ricorrenza di un rapporto riconducibile fra quelli contemplati dall'art. 409 c.p.c., non osta a che l'attore possa richiedere, per le medesime prestazioni, di essere compensato a titolo di lavoro autonomo, vertendosi in tema di mero adeguamento della domanda, in relazione alla diversa qualificazione giuridica del rapporto, che non comporta un mutamento dei fatti posti a suo fondamento e non introduce un nuovo tema d'indagine.

Cass. civ. n. 3731/1983

Il pretore, allorché ritenga che la causa non rientri nella sua competenza di giudice del lavoro, può rimettere gli atti con ordinanza al giudice competente, a norma dell'art. 427 c.p.c., solo se non siano sorte tra le parti contestazioni sulla competenza, in presenza delle quali, invece, deve, ai sensi dell'art. 420, quarto comma, c.p.c., pronunciarsi con sentenza.

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relative all'articolo 427 Codice di procedura civile

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Mario F. chiede
sabato 02/09/2023
“Cambio rito lavoro da " Fornero" a Brunetta per ritenuto rapporto di pubblico impiego è fattibile?
Ringrazio”
Consulenza legale i 11/09/2023
La novellazione dell’art. art 63, comma 2, del D. Lgs. n. 165 del 2001 disposta dal d.lgs. n. 75/2017 porta ad escludere l’applicabilità del “rito Fornero” per i licenziamenti nella pubblica amministrazione.

Il legislatore non si è preoccupato di indicare quali siano le conseguenze derivanti dalla proposizione erronea di una domanda diversa da quelle espressamente indicate nell’art. 47 della legge Fornero o, viceversa, dalla proposizione con il rito ordinario di una domanda assoggettata al rito Fornero.

Sul punto, si sono contrapposte due tesi sia in dottrina che in giurisprudenza: secondo la prima tesi, in applicazione degli artt. 426 e 427 c.p.c., il giudice dovrebbe disporre il mutamento di rito con ordinanza e, nel caso in cui la controversia debba essere trattata applicando il rito del lavoro, fissare l’udienza di cui all’articolo 420 c.p.c. e un termine perentorio per l’eventuale integrazione degli atti introduttivi; nel caso opposto, in cui la domanda di impugnativa soggetta al rito Fornero sia stata proposta ai sensi dell’art. 414 c.p.c., il giudice dovrebbe limitarsi a mutare il rito senza necessità di fissare una nuova udienza o concedere un termine per eventuali integrazioni difensive.

Secondo altra opinione, invece, il dato letterale della norma e l’imprescindibile finalità acceleratoria che permea di sé la nuova disciplina processuale indurrebbero a ritenere che il giudice debba dichiarare inammissibili tutte le domande estranee al rito Fornero.

A parere di chi scrive, sarebbe preferibile l’impostazione volta a favorire la conversione del rito, sulla scorta del principio generale di conservazione degli atti processuali, di cui sono espressione i citati artt. 426 e 427 c.p.c. Ragioni di economia processuale e di effettività della tutela giurisdizionale impongono che il processo pervenga, laddove possibile, a una decisione di merito, limitando le pronunce di mero rito ai casi strettamente necessari, quelli, cioè, in cui il vizio processuale è insanabile.

Si tenga presente che secondo la giurisprudenza, la competenza si determina con riferimento alla domanda e, in particolare, al petitum ed alla causa petendi con essa esposti, indipendentemente dalla fondatezza della domanda medesima.

Pertanto, secondo la giurisprudenza l'obbligo del giudice di provvedere al mutamento del rito, ove la causa concerna un rapporto diverso da quelli menzionati dall'art. 409 c.p.c., sussiste solo quando il rapporto dedotto in giudizio dall'attore si presenti fin dall'atto introduttivo della causa come estraneo alla previsione di tale norma, e non anche quando l'estraneità emerga a seguito dei risultati dell'istruzione probatoria, poiché questi, al pari delle eventuali eccezioni del convenuto circa l'inesistenza del rapporto controverso o la natura del medesimo, attengono al merito della pretesa, di cui possono, in ipotesi, determinare il rigetto, ferma la possibilità di esercizio, davanti al giudice competente, di altra azione fondata sulla diversa qualificazione del rapporto (Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 1916 del 16 febbraio 1993).

Pertanto, nel caso di specie, se la natura controversa del rapporto di lavoro attiene al merito della pretesa, il giudice non sarà tenuto a provvedere al mutamento del rito.

Per altro verso, si tenga conto che la trattazione della controversia da parte del giudice adito con un rito diverso da quello previsto dalla legge non determina alcuna nullità del procedimento e della sentenza successivamente emessa, se la parte non deduca e dimostri che dall’erronea adozione del rito le sia derivata una lesione del diritto di difesa (tra le più recenti, Cass. n. 23682 del 2017; v. inoltre, Cass. n. 1201 del 2012), con specifico riferimento al rispetto del contraddittorio, all’acquisizione delle prove e, più in generale, a quanto possa avere impedito o anche soltanto ridotto la libertà di difesa consentita nel giudizio ordinario (Cass. n. 13639 del 2013, Cass. n. 7598/2019).

L'omesso cambiamento del rito, anche in appello, dal rito speciale del lavoro a quello ordinario o viceversa non spiega effetti invalidanti sulla sentenza, che non è né inesistente né nulla, e la relativa doglianza, che può essere dedotta come motivo di impugnazione, è inammissibile per difetto di interesse qualora non si indichi uno specifico pregiudizio processuale che dalla mancata adozione del diverso rito sia concretamente derivato, in quanto l'esattezza del rito non deve essere considerata fine a se stessa, ma può essere invocata solo per riparare una precisa ed apprezzabile lesione che, in conseguenza del rito seguito, sia stata subita sul piano pratico processuale (Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 19942 del 18 luglio 2008).

Tali principi giurisprudenziali potrebbero essere applicabili anche al caso di specie.