Cass. civ. n. 758/2022
Nel procedimento innanzi al giudice di pace, in assenza di una specifica previsione normativa che disponga diversamente, la costituzione della parte che vi provveda per prima non richiede la presentazione di un'apposita nota di iscrizione della causa a ruolo, essendo compito del cancelliere, integrate le condizioni previste dall'art. 319 c.p.c., provvedere agli adempimenti di sua competenza, ai sensi degli artt. 36 e 56 disp. att. c.p.c.. (Rigetta, TRIBUNALE RAVENNA, 24/10/2017).
Cass. civ. n. 6658/2020
Nelle controversie in materia di locazione in cui sia stato disposto il mutamento del rito da ordinario a speciale in primo grado, qualora l'appello venga erroneamente proposto con atto di citazione, non trova applicazione l'art. 436 c.p.c., che impone la notificazione della memoria di costituzione contenente l'appello incidentale, dovendo l'appellato adeguarsi alle forme del rito ordinario prescelto dall'appellante. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza di appello che, in una causa locatizia trattata in primo grado secondo il rito speciale, aveva dichiarato inammissibile il gravame incidentale proposto con comparsa non notificata, ancorché il giudizio di appello fosse stato introdotto con citazione). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO PALERMO, 18/07/2017).
Cass. civ. n. 13472/2019
In caso di mutamento del rito ex art. 4 del d.lgs. n. 150 del 2011, restano ferme le preclusioni già verificatesi secondo le norme del rito prescelto e, pertanto, l'incompetenza per materia, per valore o per territorio inderogabile non può essere rilevata d'ufficio nella prima udienza successiva a detto mutamento, posto che tale meccanismo non comporta una regressione del processo ad una fase anteriore a quella già svoltasi, ma serve esclusivamente a consentire alle parti di adeguare le difese alle regole del rito da seguire. (Nella specie, la S.C. ha escluso che, a fronte del mutamento di rito ex art. 4 cit., disposto in ordine ad un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo in materia di onorari di avvocato introdotto con citazione, sia possibile sollevare d'ufficio, nella prima udienza successiva a detto mutamento, la questione dell'incompetenza territoriale inderogabile - nella specie, in relazione al foro del consumatore - dovendosi ritenere la "prima udienza", rilevante ai fini dell'art. 38, comma 3, c.p.c., esaurita con il provvedimento di mutamento del rito). (Regola competenza).
Cass. civ. n. 4771/2019
Nel procedimento per convalida di (licenza o) sfratto, l'opposizione dell'intimato dà luogo alla trasformazione dello stesso in un processo di cognizione, destinato a svolgersi nelle forme di cui all'art. 447 bis c.p.c., con la conseguenza che, essendo previsti specifici contenuti degli atti introduttivi del giudizio, il "thema decidendum" risulta cristallizzato solo in virtù della combinazione degli atti della fase sommaria e delle memorie integrative di cui all'art. 426 c.p.c., potendo, pertanto, l'originario intimante, in occasione di tale incombente, non solo emendare le sue domande, ma anche modificarle, soprattutto se in evidente dipendenza dalle difese svolte da controparte.
Cass. civ. n. 33178/2018
In caso di mutamento del rito da ordinario a speciale rimangono ferme le preclusioni maturate alla stregua della disciplina del rito ordinario, posto che l'integrazione degli atti introduttivi mediante memorie e documenti ai sensi dell'art. 426 c.p.c. non comporta una regressione del processo ad una fase anteriore a quella già svoltasi, ma serve esclusivamente a consentire alle parti di adeguare le difese alle regole del rito speciale. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto tardivo il rilievo officioso dell'incompetenza territoriale inderogabile effettuato dal giudice di merito dopo che in prima udienza aveva disposto rinvio per la decisione ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c. su una questione di rito e all'udienza deputata a tale pronuncia aveva fissato udienza ex art. 420 c.p.c., previo mutamento del rito ai sensi dell'art. 426 c.p.c.). (Regola competenza).
Cass. civ. n. 13072/2018
L'art. 4 del d.lgs. n. 150 del 2011, che disciplina il mutamento del rito in caso di controversia promossa in forme diverse da quelle previste nel medesimo decreto,concerne esclusivamente il ben determinato ambito di applicazione del testo normativo in cui è inserito, il quale non attiene a quanto era già disciplinato dal codice di rito all'epoca della sua emanazione, bensì a varie norme speciali che attribuivano alla fattispecie sostanziale delle peculiarità processuali, e ciò al fine di raggrupparle in tre modalità (il rito ordinario, il rito del lavoro ed il rito sommario), in un'ottica semplificativa-efficientistica, ovvero accelaratoria; ne deriva che il citato art. 4 non costituisce una norma generale abrogativa e sostitutiva delle norme specifiche di cui agli artt. 426 e 427 c.p.c., rispetto alle quali si pone come eccezione nei soli casi, compresi appunto nel decreto, in cui non sia stato fatto riferimento espresso a quelle che rimangono le due norme generali di coordinamento tra rito ordinario e rito lavoristico/locatizio. (Rigetta, CORTE D'APPELLO L'AQUILA, 23/02/2016).
Cass. civ. n. 14186/2017
In tema di passaggio dal rito ordinario al rito speciale nelle cause di lavoro, ai sensi dell'art. 426 c.p.c., la mancata assegnazione alle parti di un termine perentorio per l'eventuale integrazione degli atti mediante memorie o documenti vizia il procedimento, fino a poter determinare la nullità della sentenza, qualora la suddetta omissione abbia in concreto comportato pregiudizi o limitazioni del diritto di difesa. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di secondo grado che, statuita l'inammissibilità dei mezzi di prova dedotti in appello, ha escluso qualsivoglia pregiudizio alle garanzie difensive). (Rigetta, CORTE D'APPELLO BOLOGNA, 26/01/2011).
Cass. civ. n. 10569/2017
Il mutamento del rito da ordinario a speciale non comporta una rimessione in termini rispetto alle preclusioni già maturate alla stregua della normativa del rito ordinario, dovendosi correlare l'integrazione, prevista dall'art. 426 c.p.c., degli atti introduttivi, alle decadenze di cui agli artt. 414 e 416 c.p.c. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto tardiva l'eccezione - ben proponibile, nella fattispecie, nella comparsa di costituzione e risposta - di illegittimità di un secondo licenziamento formulata dal lavoratore soltanto con la memoria difensiva successiva al mutamento del rito). (Rigetta, CORTE D'APPELLO L'AQUILA).
Cass. civ. n. 1448/2015
L'omesso mutamento del rito (da quello speciale del lavoro a quello ordinario e viceversa) non determina "ispso iure" l'inesistenza o la nullità della sentenza ma assume rilevanza invalidante soltanto se la parte che se ne dolga in sede di impugnazione indichi lo specifico pregiudizio processuale concretamente derivatole dalla mancata adozione del rito diverso, quali una precisa e apprezzabile lesione del diritto di difesa, del contraddittorio e, in generale, delle prerogative processuali protette della parte.
Cass. civ. n. 27519/2014
Il mutamento del rito da ordinario a speciale non determina la rimessione in termini rispetto alle preclusioni già maturate alla stregua del rito ordinario, ma, sul piano formale, gli atti posti in essere anteriormente al passaggio al rito speciale devono essere valutati in base alle regole di quello ordinario, sicché sono ammissibili le domande di ripetizione di somme asseritamente pagate in esubero a titolo di canone di locazione e di restituzione di quanto versato a titolo di deposito cauzionale, perché proposte prima del mutamento del rito ex art. 426 cod. proc. civ., ove vi sia stata accettazione del contraddittorio sul punto.
Cass. civ. n. 9694/2010
Il processo erroneamente introdotto con il rito ordinario è regolato dal rito speciale non dal momento in cui ne viene statuita la natura, bensì dal momento in cui il giudizio ha inizio in applicazione del relativo rito, in quanto in precedenza rileva il rito adottato dal giudice che, a prescindere dalla sua esattezza, costituisce per la parte il criterio di riferimento, anche ai fini del computo dei termini previsti per le attività processuali. Ne consegue che, ove una controversia in materia di lavoro sia erroneamente trattata fino alla conclusione con il rito ordinario, trova applicazione il principio dell'apparenza o dell'affidamento, per il quale la scelta fra i mezzi, i termini ed il regime di impugnazione astrattamente esperibili va compiuta in base al tipo di procedimento effettivamente svoltosi, a prescindere dalla congruenza delle relative forme rispetto alla materia controversa. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che, in una controversia in materia di lavoro erroneamente trattata con il rito ordinario anche in grado di appello, aveva ritenuto applicabile la sospensione feriale al termine per l'impugnazione di una sentenza di primo grado).
Cass. civ. n. 9550/2010
Il mutamento del rito da ordinario a speciale non determina - neppure a seguito di fissazione del termine perentorio di cui all'art. 426 c.p.c. per l'integrazione degli atti introduttivi - la rimessione in termini rispetto alle preclusioni già maturate alla stregua della normativa del rito ordinario, dovendosi correlare tale integrazione alle decadenze di cui agli artt. 414 e 416 c.p.c. e non valendo la stessa a ricondurre il processo ad una fase anteriore a quella già svoltasi. (Principio affermato dalla S.C. in relazione ad una causa in materia di locazione in cui, dopo la trasformazione del rito ex art. 426 c.p.c., erano stati nuovamente prodotti documenti già prodotti tardivamente nell'anteriore corso della causa secondo il rito ordinario).
Cass. civ. n. 8721/2010
Qualora una controversia cui sia applicabile il rito del lavoro (nella specie in riferimento a domanda di restituzione di somme pretesamente corrisposte illegittimamente da una società al presidente del consiglio di amministrazione) sia stata trattata con il rito ordinario, atteso che con l'introduzione del giudice unico di primo grado (d.l.vo 19 febbraio 1998, n. 51) la natura della controversia incide solo sul rito applicabile e non sulla competenza, la relativa pronuncia non è viziata per incompetenza, nè può ritenersi affetta da nullità se non vi sia stata violazione dei diritti di difesa delle parti.
Cass. civ. n. 26611/2008
Nel rito locatizio l'ordinanza di trasformazione del rito prevista dall'art. 426 c.p.c. deve essere comunicata alla parte contumace, in osservanza di un principio generale del nostro ordinamento ; tuttavia la mancata comunicazione può essere eccepita solo dal soggetto interessato ossia il contumace (che si costituisca successivamente ) e non dalla parte già costituita, che non vi ha interesse se non è compromesso il suo diritto di difesa.
Cass. civ. n. 19345/2007
L'ordinanza con la quale il giudice del lavoro dispone il mutamento del rito e rimette la causa promossa con il rito speciale al capo dell'ufficio per l'assegnazione ad una sezione ordinaria non ha contenuto decisorio e non ha portata vincolante in ordine alla qualificazione del rapporto operato dal remittente; ne consegue la non impugnabilità dell'ordinanza in Cassazione né con regolamento di competenza né con ricorso ordinario.
Cass. civ. n. 1330/2006
Nel rito del lavoro, applicabile alle controversie in materia di locazione, la regola desumibile dall'art. 416 c.p.c., secondo la quale il convenuto è tenuto a proporre con la memoria di costituzione tutte le eccezioni, processuali e di merito, che non siano rilevabili d'ufficio, è applicabile, in caso di trasformazione del rito, al termine perentorio concesso dal giudice per depositare la memoria integrativa. Detto principio concerne le eccezioni in senso proprio, ma non si estende alle eccezioni relative ai presupposti dell'azione, che è onere dell'attore provare, né alle eccezioni che attengono alla qualificazione giuridica dei fatti dedotti dall'attore, che è comunque rimessa al giudice, indipendentemente dalle deduzioni di parte. (Fattispecie relativa a controversia in tema di rilascio per finita locazione nella quale parte conduttrice, dopo la scadenza del termine assegnatole per le sue difese con l'ordinanza di trasformazione del procedimento per convalida in giudizio di cognizione, aveva dedotto che il rapporto controverso era di comodato).
Cass. civ. n. 23018/2005
La decisione resa dal giudice ex art. 426 c.p.c., qualora contenga una pronuncia circa la natura del rapporto dedotto in giudizio, decidendo parzialmente la causa nel merito, preclude, a norma dell'art. 41 c.p.c., il regolamento preventivo di giurisdizione, a prescindere dalla forma del provvedimento adottato, non potendosi ritenere decisione meramente interlocutoria avente l'unico scopo di sottoporre la causa al rito del lavoro. (Nella specie, la S.C. ha dichiarato inammissibile il regolamento preventivo in presenza di una sentenza non definitiva con cui il giudice del rito ordinario aveva rimesso in istruttoria la causa per il mutamento del rito, ritenendo che la domanda di retribuzione per la frequentazione di una scuola di specializzazione da parte di un medico fosse riconducibile all'art. 409 c.p.c., quale controversia avente ad oggetto l'accertamento di un credito di lavoro subordinato, statuizione, questa, suscettibile di passare in giudicato e rimuovibile soltanto con una impugnazione o con un regolamento).
Cass. civ. n. 10271/2002
In tema di passaggio dal rito ordinario al rito speciale nelle cause in materia di locazione, l'art. 426 c.p.c. non prevede che la relativa ordinanza debba essere notificata a cura delle parti, onde l'eventuale inosservanza dell'ordine erroneamente formulato dal giudice non comporta decadenza a carico delle stesse, dato che, per espressa statuizione normativa (art. 420, comma undicesimo, richiamato dall'art. 447 bis del codice citato) nel rito delle locazioni, a tutte le notificazioni e comunicazioni provvede l'ufficio.
Cass. civ. n. 4352/2001
Disposto dal giudice adito il mutamento del rito ordinario in rito del lavoro ai sensi degli artt. 667 e 426 c.p.c., il mancato deposito del dispositivo in udienza non può essere considerato circostanza idonea a far ritenere la ritrasformazione del rito medesimo in ordinario, trattandosi di mera irregolarità assolutamente irrilevante. Consegue che per quanto concerne l'appello sono applicabili le norme del rito del lavoro, perfezionandosi l'impugnazione con il deposito del ricorso in cancelleria, dato che la successiva notificazione dell'atto del gravame (e del decreto di fissazione dell'udienza di discussione) costituisce elemento esterno, attiene cioè all'ulteriore svolgimento del rapporto processuale, ed è necessario soltanto per la chiamata in giudizio del convenuto.
Cass. civ. n. 5971/1995
Ai sensi dell'art. 426 c.p.c., il passaggio dal rito ordinario al rito speciale e la conseguente possibilità per le parti di provvedere ad integrare gli atti carenti (ferme restando le sole preclusioni eventualmente già maturate alla stregua della normativa propria del rito ordinario) presuppongono unicamente che la controversia individuale di lavoro sia stata promossa nelle forme ordinarie, vale a dire introdotta con atto di citazione; ne consegue che non può attribuirsi alcun rilievo, ai fini della sussistenza del diritto del ricorrente ad avvalersi dei documenti non indicati ed offerti in comunicazione e degli altri mezzi di prova costituenda non dedotti con l'atto di citazione — sempreché i suddetti mezzi probatori siano stati poi rispettivamente depositati ed articolati in sede di integrazione degli atti — al fatto che lo stesso sia stato colpevolmente ignaro dell'effettivo carattere della controversia.
Cass. civ. n. 2754/1995
Per il principio della ultrattività del rito, ove la controversia, ancorché introdotta con ricorso, sia stata trattata in primo grado con il rito ordinario in luogo di quello del lavoro al quale è assoggettata (nella specie: determinazione dell'equo canone ex art. 45 L. 27 luglio 1978, n. 392) debbono essere seguite le forme ordinarie anche per la proposizione dell'appello e dell'eventuale appello incidentale.
Cass. civ. n. 1274/1991
In tema di passaggio dal rito ordinario al rito speciale nelle cause di lavoro, ai sensi dell'art. 426 c.p.c. (nel testo fissato dall'art. 1 della L. 11 agosto 1973, n. 533) la circostanza che nell'ordinanza di fissazione dell'udienza di discussione manchi l'assegnazione alle parti di un termine perentorio per l'eventuale integrazione degli atti mediante memorie o documenti non determina alcun vizio del procedimento, ove non risulti che tale omissione abbia in concreto comportato pregiudizi o limitazioni del diritto di difesa.
Cass. civ. n. 428/1987
Qualora il giudice disponga la trasformazione del rito ai sensi dell'art. 426 c.p.c., l'ordinanza di fissazione dell'udienza di discussione e di concessione di termine perentorio per la integrazione degli atti deve essere comunicata solo alla parte contumace e non anche a quella precedentemente costituitasi.
Cass. civ. n. 3924/1986
La controversia che, pur riguardando un rapporto non compreso fra quelli indicati dall'art. 409 c.p.c., sia stata, ciononostante, trattata e decisa, sia in primo che in secondo grado, secondo il rito del lavoro rimane assoggettata (non collegando la legge alcuna previsione di nullità all'erronea adozione di tale rito) alla disciplina processuale delle controversie di lavoro anche per quanto riguarda l'operatività, in relazione al termine per la proposizione del ricorso per cassazione, dell'art. 3 della L. 7 ottobre 1969, n. 742, circa l'esclusione della sospensione dei termini nel periodo feriale.
Cass. civ. n. 5929/1985
Il mutamento del rito da ordinario in quello del lavoro può essere ritualmente disposto anche all'udienza di discussione con la pronuncia della sentenza mediante lettura del dispositivo in udienza, attuando l'applicazione del rito del lavoro nel suo più tipico elemento.
Cass. civ. n. 3323/1985
Nel nuovo rito del lavoro, l'introduzione del giudizio con citazione, anziché con ricorso, comporta soltanto il mutamento del rito, al quale il giudice deve provvedere ai sensi dell'art. 426 c.p.c.; mentre, ove tale adeguamento non sia stato disposto, l'irregolarità, non comportando una nullità assoluta, può essere fatta valere come motivo di gravame, sempreché si deduca uno specifico pregiudizio processuale che dalla mancata applicazione del rito sia concretamente derivato e che abbia inciso sulla determinazione della competenza, sul regime delle prove o sulle facoltà di cui le parti dispongono per l'esercizio del loro diritto di difesa.
Cass. civ. n. 2030/1985
Qualora il tribunale, investito di una controversia soggetta al nuovo rito del lavoro, anche dopo l'entrata in vigore della L. n. 533 del 1973, abbia erroneamente continuato ad applicare le norme del codice di procedura civile per le cause con il rito ordinario, disponendo, a norma dell'art. 426 c.p.c., il passaggio al rito speciale soltanto dopo l'assunzione dei mezzi istruttori, non ne deriva la nullità di tali atti e della susseguente sentenza ove non ne sia derivata la violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa.
Cass. civ. n. 5334/1984
Nel nuovo rito del lavoro, stante la mancata riproduzione nell'art. 426 c.p.c. della disposizione contenuta nel capoverso del successivo art. 427, le prove acquisite durante il rito «ordinario» non perdono efficacia col passaggio al rito «speciale».
Cass. civ. n. 5737/1983
La mancata adozione, da parte del giudice di primo grado, delle norme processuali previste per le controversie in materia di lavoro, la quale non abbia inciso sulla determinazione della competenza in senso proprio, sul regime delle prove o sull'esercizio del diritto di difesa delle parti, non può costituire — stante il difetto d'interesse — oggetto di mezzo di gravame, né determina alcuna nullità degli atti compiuti in osservanza delle disposizioni processuali comuni, residuando soltanto l'obbligo del giudice dell'appello di disporre la trasformazione del rito sulla base della norma di cui all'art. 426 c.p.c. la quale, nel prevedere il passaggio dal rito ordinario a quello speciale, presuppone appunto la sanabilità della irregolarità formale, costituita dal mancato rispetto delle norme processuali del lavoro in ordine alla forma dell'atto introduttivo del giudizio di primo grado e degli atti ad esso conseguenti.
Cass. civ. n. 4851/1983
A norma dell'art. 426 c.p.c., applicabile — per il rinvio contenuto nell'art. 442 dello stesso codice — anche alle cause in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie, l'erronea instaurazione della controversia nelle forme ordinarie anziché in quelle del rito del lavoro impone soltanto il passaggio dal rito ordinario al rito speciale, senza determinare la nullità dell'atto introduttivo, che rimane efficace anche ai fini del rispetto del termine stabilito dall'art. 680 c.p.c. in tema di convalida del sequestro autorizzato anteriormente alla causa, atteso che l'adozione della forma inappropriata non dà luogo ad una questione di competenza ma solo ad una questione di rito.
Cass. civ. n. 4481/1983
Nelle controversie soggette al nuovo rito del lavoro, la nullità della sentenza di primo grado per violazione dell'art. 426 c.p.c. (nel testo risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 14 del 14 gennaio 1977), per mancata notificazione al contumace dell'ordinanza di mutamento del rito da ordinario a speciale ex lege 11 agosto 1973, n. 533, deve essere fatta valere mediante appello e non è deducibile per la prima volta in sede di legittimità.