Cass. civ. n. 24024/2013
In materia di atti abdicativi di diritti del lavoratore subordinato, le rinunce e le transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro previsti da disposizioni inderogabili di legge o di contratti collettivi, contenute in verbali di conciliazione conclusi in sede sindacale, non sono impugnabili, a condizione che l'assistenza prestata dai rappresentanti sindacali - della quale non ha valore equipollente quella fornita da un legale - sia stata effettiva, così da porre il lavoratore in condizione di sapere a quale diritto rinunci e in quale misura, nonché, nel caso di transazione, a condizione che dall'atto stesso si evinca la questione controversa oggetto della lite e le "reciproche concessioni" in cui si risolve il contratto transattivo ai sensi dell'art. 1965 cod. civ.
Cass. civ. n. 12781/2012
Per il principio di relatività dell'efficacia del contratto, accolto dall'art. 1372 c.c., la conciliazione giudiziale di una controversia attinente al rapporto di lavoro vincola solo gli stipulanti. (Nella specie, in applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha respinto il ricorso del lavoratore che, avendo conciliato con l'azienda municipalizzata Centrale del Latte di Roma una controversia per superiore inquadramento, pretendeva di opporre la transazione al Comune di Roma, presso il quale era transitato a seguito di accordo sindacale prevedente la costituzione del rapporto "ex novo").
Cass. civ. n. 13217/2008
L'accordo tra il lavoratore ed il datore di lavoro, nel quale sia identificata la lite da definire ovvero quella da prevenire (unitamente, in tal caso, all'individuazione dell'interesse del lavoratore ) e che contenga lo scambio tra le parti di reciproche concessioni, è qualificabile come atto di transazione ed assume rilievo, quale conciliazione in sede sindacale ai sensi dell'art. 411, terzo comma, c.p.c., ove sia stato raggiunto con un'effettiva assistenza del lavoratore da parte di esponenti dell'organizzazione sindacale indicati dal medesimo, dovendosi valutare, a tal fine, se, in relazione alle concrete modalità di espletamento della conciliazione, sia stata correttamente attuata la funzione di supporto che la legge assegna al sindacato nella fattispecie conciliativa (nella specie, la S.C. ha rilevato che correttamente il giudice di merito aveva escluso che si fosse in presenza di una transazione redatta ai sensi degli articoli 410 e 411 c.p.c. in quanto non sussisteva alcuna controversia tra le parti, la sola società datrice di lavoro aveva interesse a regolare i rapporti con i propri dipendenti nella prospettiva di trasformarsi in s.r.l., e il sindacalista, chiamato dalla società e non dal lavoratore, si era limitato ad elaborare i conteggi, restando estraneo alla vicenda e svolgendo un ruolo di testimone di operazioni elaborazioni di conteggi e di fatti ricostruzione della storia lavorativa del lavoratore che, lungi dal fornire una consapevole assistenza, era stato successivamente stigmatizzato dallo stesso sindacato di appartenenza ).
Cass. civ. n. 18343/2004
Ai fini dell'applicazione dell'art. 68 della legge professionale forense 27 novembre 1933, n. 1578, mentre la nozione di transazione della lite deve essere intesa nella più ampia accezione di ogni accordo che abbia l'effetto di estinguere la controversia senza l'intervento del giudice, anche se privo dei requisiti di sostanza e di forma del contratto disciplinato dagli art. 1965 e ss. c.c., ivi compresa, quindi, la conciliazione ai sensi dell'art. 411 c.p.c., presupposto ineludibile perché il difensore possa far valere per il pagamento degli onorari e per il rimborso delle spese l'obbligo solidale della parte avversa al proprio cliente è la sussistenza di «un giudizio» nel corso del quale le parti stipulino la transazione che lo definisca, senza soddisfare le competenze del professionista (nella specie, è stata esclusa la ricorrenza di tale presupposto nell'accordo stipulato, con verbale di conciliazione ex art. 411 c.p.c., tra la lavoratrice ed il datore di lavoro dopo che il giudizio tra le parti si era concluso in primo grado con sentenza avverso la quale, pur pendendo ancora il termine per proporre appello, nessuno dei litiganti aveva proposto gravame, in quanto, in un caso siffatto, al momento della stipula della conciliazione non era in corso un processo effettivo ed attuale — e non potenziale —, e cioè non vi era un «giudizio» in atto, ossia un valido rapporto processuale ed un rituale contraddittorio).
Cass. civ. n. 12858/2003
La conciliazione in sede sindacale prevista dall'art. 411, terzo comma c.p.c, presuppone che l'accordo sia raggiunto con un'ffettiva assistenza del lavoratore da parte di esponenti della propria organizzazione sindacale cioè di quella alla quale egli ha ritenuto di affidarsi. Peraltro, la determinazione delle modalità di composizione dell'organo conciliativo previsto dall'art. 411, terzo comma, c.p.c. deve intendersi devoluta alla contrattazione collettiva, non potendo trovare applicazione la disciplina prevista dal'art. 410 c.p.c. per le conciliazioni espletate dinanzi alle commissioni provinciali istituite presso l'Ufficio provinciale del lavoro. Pertanto, solo nel caso cui la disciplina collettiva abbia previsto come indispensabile l'appartenenza del rappresentante sindacale non solo alla organizzazione cui aderisce il lavoratore, ma anche l'inserimento del primo nella organizzazione locale dello stesso sindacato, è annullabile l'accordo raggiunto con l'assistenza di un sindacalista appartenente ad una diversa organizzazione locale.
Cass. civ. n. 17785/2002
Con riguardo alla speciale impugnativa della transazione tra datore di lavoro e lavoratore, prevista dall'art. 2113, terzo comma, c.c., l'intervento dell'ufficio provinciale del lavoro è in sé idoneo a sottrarre il lavoratore a quella condizione di soggezione rispetto al datore di lavoro, che rende sospette di prevaricazione da parte di quest'ultimo le transazioni e le rinunce intervenute nel corso del rapporto in ordine a diritti previsti da norme inderogabili, sia allorché detto organismo partecipi attivamente alla composizione delle contrastanti posizioni delle parti, sia quando in un proprio atto si limiti a riconoscere, in una transazione già delineata dagli interessati in trattative dirette, l'espressione di una volontà non coartata del lavoratore. Consegue che anche in tale ultimo caso la transazione si sottrae alla impugnativa suddetta.
Cass. civ. n. 13910/1999
Una conciliazione sindacale, per essere qualificata tale ai fini degli artt. 411, terzo comma, c.p.c. e 2113, quarto comma, c.c., deve risultare da un documento sottoscritto contestualmente dalle parti nonché dal rappresentante sindacale di fiducia del lavoratore.
Cass. civ. n. 6558/1995
La transazione fra datore di lavoro e prestatore di lavoro, pur quando abbia ad oggetto diritti inderogabili di quest'ultimo, è validamente stipulata in sede sindacale ai sensi dell'art. 411 terzo comma, c.p.c., mentre le formalità previste da tale norma ai fini della verifica di autenticità dell'atto e del conferimento dell'efficacia esecutiva al verbale costituiscono adempimenti successivi estranei rispetto all'essenza negoziale della conciliazione. Ne consegue che la transazione contenuta in un verbale di conciliazione in sede sindacale sottoscritto da persona non munita del potere di rappresentare il datore di lavoro può essere successivamente ratificata da quest'ultimo e, ove ciò avvenga, è vincolante anche per il lavoratore, il quale prima della ratifica — come ogni altro «terzo contraente» in caso di contratto stipulato da rappresentante senza potere — può avvalersi della facoltà di fissare un termine alla controparte ai sensi dell'art. 1399 c.c.
Cass. civ. n. 3102/1990
Gli atti conciliativi che l'ispettore del lavoro poteva compiere a norma della L. n. 628 del 1961 non sono presidiati dalla stessa autorità ed efficacia preclusiva delle conciliazioni previste dall'art. 411 c.p.c., nel testo novellato dalla L. n. 533 del 1973, con la conseguenza che possono costituire oggetto soltanto di eccezioni in senso proprio, le quali, nel regime processuale introdotto con tale ultima legge, soggiacciono alle decadenze di cui agli artt. 416 e 437 c.p.c.
Cass. civ. n. 1661/1984
La completa transazione della controversia mediante processo verbale di conciliazione in sede sindacale, reso esecutivo dal pretore, determina, ove intervenuta dopo la proposizione del ricorso per cassazione, il venir meno dell'interesse delle parti alla prosecuzione del giudizio di legittimità, con conseguente dichiarazione — da parte della S.C. — di cessazione della materia del contendere.
Cass. civ. n. 2267/1983
La definizione della controversia raggiunta, in pendenza del giudizio di legittimità, avanti alle commissioni provinciali di conciliazione di cui all'art. 410 (nuovo testo) c.p.c. comporta il venir meno dell'interesse delle parti ad ottenere una decisione nel merito e, conseguentemente, la dichiarazione, da parte della Suprema Corte, della cessazione della materia del contendere.
Cass. civ. n. 3958/1982
La sopravvenuta definizione della controversia avanti alla commissione provinciale di conciliazione, istituita presso l'Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione a norma dell'art. 410 c.p.c. (nel testo introdotto dalla legge n. 533 del 1973), determina, anche in sede di legittimità, la cessazione della materia del contendere, in quanto fa venir meno la posizione di contrasto fra le parti in causa e, conseguentemente, la necessità della pronuncia giudiziale precedentemente richiesta; tale situazione determina, a sua volta, la sopravvenuta mancanza dell'interesse ad agire della parte ricorrente e, conseguentemente, l'improcedibilità del ricorso.