Il
foro di competenza territoriale introdotto da questa norma è di tipo
speciale esclusivo (per tutte le controversie che possono insorgere tra soci e tra condomini) e
derogabile per concorde volontà delle parti.
Per la sua individuazione viene usato un parametro di riferimento oggettivo, ossia la
causa petendi della controversia.
La prima parte della norma attiene alle
cause tra soci, ossia tutte quelle controversie che trovano il proprio fondamento in una questione attinente direttamente o indirettamente ad un rapporto sociale; si dispone che per tali casi giudice territorialmente competente è quello del luogo in cui la
società ha la propria sede.
Sebbene venga qui utilizzato genericamente il termine “
sede”, sia la dottrina che la giurisprudenza sono giunti alla conclusione che, laddove la
sede legale non coincida con quella
effettiva, può aversi riguardo anche a quest’ultima.
E’ questo, infatti, un principio di valenza generale, al quale può attribuirsi rilevanza anche ai fini della individuazione del giudice competente per territorio.
Inoltre, sebbene la prima parte di questa norma faccia riferimento soltanto alla società ed alle cause tra soci, è opinione pacifica quella secondo cui il suo ambito applicativo si estende anche ai soci di società di fatto, nonché ai membri di
associazioni (siano esse riconosciute o meno) ed ai
comitati.
Vanno qualificate come cause tra soci tutte quelle che ineriscono al rapporto sociale, comprese le controversie inerenti soggetti il cui rapporto sociale sia stato sciolto, mentre non vi si possono far rientrare quelle tra società e soci o tra società e terzi ad essa estranei (un esempio di quest’ultimo tipo può essere la controversia relativa all’accertamento dell’avvenuto trasferimento della proprietà di azioni e conseguente domanda di condanna al pagamento del prezzo).
Tra i presupposti richiesti per l’applicazione del foro previsto da questa norma non vi è, almeno secondo l’opinione prevalente corrente in giurisprudenza, la validità del contratto costitutivo di società, il che avrà come logica conseguenza che al criterio qui previsto potrà farsi ricorso anche in caso di controversia nella quale si deduca la
nullità del rapporto stesso.
Secondo quanto previsto dall’ultima parte della norma, infine, il foro qui previsto resta fermo per il biennio successivo allo
scioglimento della società.
La seconda parte si occupa della
cause tra condomini, disponendo che queste vanno proposte davanti al giudice del luogo in cui si trovano i beni comuni o la maggior parte di essi (anche qui la competenza è prorogata per tutte le cause insorte nel biennio successivo allo scioglimento del condominio).
Sarà dunque il
convenuto a dover eccepire tempestivamente l’
incompetenza per territorio in caso di citazione davanti ad altro giudice, quale ad esempio quello del luogo di
residenza o
domicilio del convenuto.
Si ritiene che questa norma regoli tutti i casi di condominio di edifici e di
comunione di beni ex
art. 1100 del c.c., mentre non può trovare applicazione per le controversie in materia di comunione ereditaria.
E’ stata per lungo tempo discussa la sua applicabilità alle liti che riguardino i singoli condomini ed il condominio; la giurisprudenza di legittimità si è mostrata favorevole ad una sua interpretazione estensiva, ritenendo sufficiente trattarsi di controversia che insorga in ambito condominiale e per ragioni afferenti al condominio, anche quand’anche vi sia contrapposizione tra un singolo partecipante e tutti gli altri.
Tale orientamento ha comunque ricevuto successiva conferma con la Legge n. 220/2012, recante “
Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici”, la quale ha integrato il disposto normativo dell’art. 23 comma 1 c.c.. estendendo l’applicabilità di tale normativa alle cause tra singoli condomini e condominio.
Altra ipotesi dubbia è quella relativa alla lite promossa dall’
amministratore di condominio nell’attività di riscossione dei contributi condominiali.
All’orientamento secondo cui, ai fini dell’applicabilità della competenza in esame, per “
causa vertente tra condomini” deve intendersi quella in cui si controverta in relazione a rapporti giuridici attinenti al
diritto reale di proprietà ed all’uso delle cose comuni, si contrappone altra tesi secondo cui le cause che insorgono in ordine a tale riscossione sarebbe in ogni caso inquadrabili nella categoria delle liti tra condomini, con conseguente applicazione di questa norma.
E’ quest’ultimo l’orientamento ha cui alla fine ha deciso di aderire la Corte di Cassazione a sezioni unite con sentenza n. 20076/2006.
E’ esclusa, invece, la sua applicazione nel caso di controversie aventi come parti i
consorzi tra proprietari per la gestione delle parti comuni e dei servizi comuni, i quali, anche se sono assimilabili al condominio, mantengono la loro natura di associazioni non riconosciute (sarà, dunque, applicabile il secondo comma dell’
art. 19 del c.p.c., in forza del quale la competenza territoriale spetta al giudice del luogo ove il consorzio esercita continuativamente la propria attività).