L'
associazione in partecipazione, nella quale l'apporto dell'associato, avendo carattere strumentale all'esercizio dell'impresa o per lo svolgimento dell'affare dell'associante, può essere di qualsiasi natura e consistere anche nella
prestazione di un'attività lavorativa (senza vincolo di dipendenza), non resta esclusa dal patto che attribuisca al primo un potere di controllo, ove la conduzione dell'impresa o dell'affare e la conseguente
responsabilità verso i terzi rimangano a carico del secondo (Cass. n. 2016/1993). La disposizione di cui al primo comma dell'art. 2552, che, in tema di associazione in partecipazione, prevede, di regola, che la gestione dell'impresa spetti all'associante, è derogabile, potendo il
contratto affidare all'associato poteri di gestione sia interna che esterna, sempre che egli ripeta i propri poteri dall'associante (Cass. n. 1191/1997). Il contratto di cointeressenza — sia nella forma «propria», caratterizzata dalla partecipazione del cointeressato agli utili e partecipazione del cointeressato agli utili e alle perdite della impresa dell'associante, senza il
corrispettivo di un determinato apporto; sia nella forma «impropria», caratterizzata da tale apporto, ma con esclusione del cointeressato alla partecipazione alle perdite — si differenzia dal contratto di società per la mancanza di un autonomo patrimonio comune, risultante dai conferimenti dei singoli soci, e per l'assenza di una gestione in comune dell'impresa che è esercitata, anche nei rapporti interni, dal solo associante, cui compete di svolgere ogni attività relativa all'impresa stessa secondo la propria libera Determinazione, con l'assunzione della responsabilità esclusiva verso i terzi; mentre il cointeressato può esercitare eventualmente — ove sussista apposito patto e nei limiti in esso fissati — soltanto un controllo sulla gestione dell'impresa della quale resta
dominus l'associante (Cass. n. 3442/1985).
Il potere di controllo eventualmente attribuito all'associato dal contratto può implicare anche un'
attività di gestione interna, più o meno estesa secondo le modalità pattuite, ma, perché l'istituto resti nell'ambito delle proprie sostanziali caratteristiche, occorre che tale potere sia esercitato in funzione di mera collaborazione alla preminente determinazione volitiva dell'associante (Ferri). Sul punto, si ritiene senz'altro ammissibile che il contratto sancisca l'obbligo dell'associante di dare notizia all'associato medesimo di esaminare i documenti relativi all'amministrazione o di avere rendiconti con periodicità più ravvicinata di quella legale (Ferri). Il
rendiconto, a cui l'associato ha diritto anche quando il contratto non gli attribuisca alcun potere di controllo, è costituita da un prospetto di ciò ogniqualvolta che l'attività dedotta nel contratto di associazione sia rappresentata da uno o più singoli affari, anche se gestiti nell'ambito di una maggiore impresa (Guglielmucci). Quando viceversa l'associazione in partecipazione riguarda impresa, il rendiconto coincide con la sezione del bilancio che dimostra risultati dell'esercizio (conto economico), atteso che la associato al diritto agli utili di esercizio e non di bilancio: ne consegue che l'eventuale prelievo degli utili per destinarli alle riserve, ivi compresa la
riserva legale, non grava sull'associato (Minervini). Secondo una parte della dottrina, non basterebbe il
prospetto contabile, ma occorrerebbe allegare una relazione illustrativa dei fatti rilevanti e delle modalità della gestione con relative pezze d'appoggio (De Acutis).
In un contratto di associazione in partecipazione in cui sia prevista la corresponsione all'associato di una percentuale degli utili dell'impresa, può costituire
inadempimento grave dell'associante la mancata tenuta della contabilità prevista dal contratto stesso per consentire all'altra parte il controllo degli introiti, anche se per la natura e le dimensioni dell'impresa, non sussista l'Obbligo legale della tenuta di libri e
scritture contabili (Cass. n. 96/1970). Nel contratto di associazione in partecipazione se vi sia stata tra le parti — alla cessazione dell'impresa o al compimento dell'affare — la liquidazione delle pendenze fino a quel momento, il rapporto non può dirsi esaurito se vi sia la possibilità di sopravvenienze attive o passive, dipendenti dalla natura stessa dell'affare; in tal caso ogni singola sopravvenienza va considerata come diritto di credito singolo che può essere azionato appena nasce e da tale epoca decorre quindi la prescrizione decennale (Cass. n. 226/1974). In tema di associazione in partecipazione, il rendimento del conto non è l'unico, né il principale adempimento dovuto dall'associante all'associato, sicché, il mancato rendimento del conto non comporta, necessariamente e qualunque sia concretamente la tua importanza, la risolvibilità del contratto, trovando applicazione il criterio dell'art. 1455 (Cass. n. 8027/2000).