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Articolo 2519 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Norme applicabili

Dispositivo dell'art. 2519 Codice Civile

Alle società cooperative, per quanto non previsto dal presente titolo, si applicano in quanto compatibili le disposizioni sulla società per azioni [2484, 2547].

L'atto costitutivo può prevedere che trovino applicazione, in quanto compatibili,le norme sulla società a responsabilità limitata(1) nelle cooperative con un numero di soci cooperatori inferiore a venti ovvero con un attivo dello stato patrimoniale non superiore ad un milione di euro(2).

Note

(1) L'articolo rimanda alla disciplina della S.p.a. per quanto riguarda il punto di vista organizzativo, circoscrivendo il richiamo della disciplina della S.r.l. alle ipotesi di espressa volontà statutaria ed a condizione che esistano requisiti di "piccolezza", o, di "non grandezza" desumibili dal numero dei soci o dall'attivo dello stato patrimoniale
(2) Le disposizioni del presente comma non si applicano alla mutua assicuratrice di cui al titolo IV del Codice delle assicurazioni private, ai sensi di quanto previsto dall'art. 56 del suddetto codice.

Relazione al D.Lgs. 6/2003

(Relazione illustrativa del decreto legislativo recante: "Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366.")

15 Art. 2517 – Enti mutualistici La norma è sostanzialmente analoga all'attuale art. 2512 c.c. Art. 2518 – Responsabilità per le obbligazioni sociali E' stata eliminata senza esitazioni la responsabilità dei soci sussidiaria multipla (limitata e illimitata) che ha risalenti e non più attuali origini storiche. Art. 2519 – Norme applicabili In conformità alle previsioni della legge delega si è fatto della disciplina della s.p.a. il riferimento normale o naturale dal punto di vista organizzativo, circoscrivendo il richiamo della disciplina della s.r.l. alle ipotesi di espressa volontà statutaria ed a condizione che esistano requisiti di "piccolezza", o, se si preferisce, di "non grandezza" desumibili dal numero dei soci o dall'attivo dello stato patrimoniale. Art. 2520 – Leggi speciali In conformità al sistema sino ad oggi vigente, si è riaffermato il sistema della prevalenza delle leggi speciali rispetto alla disciplina del codice (pur con la doverosa sottolineatura della centralità concettuale delle norme del codice). Il secondo comma della norma si propone di mantenere la natura mutualistica e il connesso trattamento alle cooperative previste da leggi speciali che formalmente non operino con i propri soci destinando i propri servizi a soggetti appartenenti a categorie sociali svantaggiate o meritevoli di protezione. La leggedelega infatti, ancorando la mutualità (prevalente o non) al rapporto con i soci, rischierebbe di espungere dall'area della mutualità, e aggiungiamo, della mutualità protetta, proprio quelle cooperative che operano a favore di soggetti che non possono assumere per ragioni varie lo status di partecipi al contratto di società. L'esempio più evidente è quello delle cooperative sociali che, quando non siano cooperative di lavoro, si traducono in imprese che erogano servizi di assistenza in favore di categorie sociali svantaggiate. Queste sono cooperative dotate, più delle altre, del requisito della "funzione sociale" molto caro alla legge delega, anche se in esse a prima vista non sembra ricorrere la cd. gestione di servizio a favore dei soci.

Massime relative all'art. 2519 Codice Civile

Cass. civ. n. 3694/2007

Ai sensi dell'art. 2449 c.c. (nel testo previgente al D.L.vo n. 6 del 2003), costituiscono nuove operazioni vietate tutti gli atti gestori diretti non a fini liquidatori, e quindi alla trasformazione delle attività societarie in denaro destinato al soddisfacimento dei creditori e, nei limiti del residuo, dei soci, ma al conseguimento di fini diversi, essendo invece lecito il completamento di attività in corso destinate al miglior esito della liquidazione.

Cass. civ. n. 3279/2006

Per effetto del richiamo operato dall'art. 2516 c.c., si applicano alle società cooperative le norme sulla liquidazione delle società per azioni, tra le quali l'art. 2452 c.c., che rende applicabile anche alle società di capitali l'art. 2310 dello stesso codice, a norma del quale la rappresentanza della società, a partire dalla iscrizione della nomina dei liquidatori, spetta, anche in giudizio, agli stessi in via esclusiva, salve eventuali limitazioni risultanti dallo statuto o dall'atto di nomina. Tuttavia la messa in liquidazione di una società cooperativa non determina la sua estinzione nè fa venir meno la sua rappresentanza in giudizio, che è determinata invece soltanto dalla effettiva liquidazione dei rapporti giuridici pendenti, che alla stessa facevano capo, e dalla definizione di tutte le controversie in corso con i terzi. Ne deriva che una società costituita in giudizio non perde la legittimazione processuale e che la rappresentanza sostanziale e processuale della stessa permane, per i rapporti rimasti in sospeso e non definiti, nei medesimi organi che la rappresentavano prima del disposto procedimento di liquidazione, restando esclusa l'interruzione dei processi pendenti.

Cass. civ. n. 8956/2000

I poteri del commissario governativo di una società cooperativa a responsabilità limitata sono disciplinati dagli artt. 2384 e 2516 c.c., e pertanto egli può compiere tutti gli atti che rientrano nell'oggetto sociale, salvo le limitazioni che risultano dalla legge o dall'atto costitutivo o dallo statuto, che però, anche se pubblicate, non sono opponibili ai terzi, a meno che vi sia la prova che questi ultimi abbiano intenzionalmente agito a danno della società.

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Consulenze legali
relative all'articolo 2519 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

E. R. chiede
sabato 14/09/2024
“Buongiorno
A seguito di revisione di una cooperativa srl, il revisore rileva per due anni consecutivi un attivo di stato patrimoniale che supera un milione di euro (anno 2022 Euro 1.373.820; anno 2023 Euro 1.167.318); il n. dei soci nei due anni è sempre inferiore a venti.
In base al disposto dell'art. 2519, la cooperativa sarebbe obbligata alla nomina del revisore (che dispone la modifica dell'atto costitutivo alle norme della spa e la conseguente nomina del revisore).
Senonchè, l'art 2477 (richiamato dall'art. 2519) dispone limiti e condizioni diverse per tale nomina:
se la società:
a) è tenuta alla redazione del bilancio consolidato;
b) controlla una società obbligata alla revisione legale dei conti;
c) ha superato per due esercizi consecutivi almeno uno dei seguenti limiti: 1) totale dell'attivo dello stato patrimoniale: 4 milioni di euro; 2) ricavi delle vendite e delle prestazioni: 4 milioni di euro; 3) 20 dipendenti occupati in media durante l'anno
INNESCO: 1 su 3 per 2 anni consecutivi.
In questo caso la cooperativa non supera nessuno di questi parametri.
La nostra cooperativa è soggetta all'obbligo?
Grazie”
Consulenza legale i 18/09/2024
A norma dell’art. 2519 del c.c., alle cooperative si applicano, come regola generale, le norme sulla società per azioni, in quanto compatibili, salvo che l’atto costitutivo preveda espressamente che trovino applicazione le norme sulla società a responsabilità limitata, sempre che ricorrano alternativamente i seguenti requisiti: attivo dello stato patrimoniale non superiore a euro 1.000.000; numero di soci cooperatori inferiore a 20.
Le due condizioni sono alternative: ciò comporta che è sufficiente il rispetto di una sola delle due condizioni affinché si possa optare per l’applicabilità della normativa sulle società a responsabilità limitata.

Nel caso di specie, pertanto, non è obbligatorio optare per il modello delle società per azioni.

Se, tuttavia, si scegliesse di applicare la normativa sulle S.p.a., la nomina dell’organo di controllo sarebbe obbligatoria, come per tutte le società per azioni.

Nell'eventualità in cui, al contrario, la cooperativa adottasse il modello s.r.l., ai sensi dell’art. 2543 del c.c. la nomina del collegio sindacale sarebbe obbligatoria soltanto nei casi previsti dal secondo e terzo comma dell'2477 del c.c. (cioè quelli elencati nel quesito stesso), nonché quando la società emette strumenti finanziari non partecipativi.
Se i limiti non vengono superati, come nell’ipotesi in esame, detto obbligo non sussiste.

Mariateresa D. chiede
venerdì 15/01/2021 - Lombardia
“Buongiorno,
per due mandati consecutivi sono stata consigliere di amministrazione e socio lavoratore di una Cooperativa Sociale, dai bilanci sani.
A fine ottobre 2018, viene costituita una nuova cooperativa sociale nata dalla fusione con un’altra realtà simile, di cui la mia realtà di appartenenza è l’incorporante.
Convinta di aver chiuso una parte della mia vita professionale, lascio che la mia carica di consigliere decada con l’atto di fusione dell’ottobre 2018. Non intendo partecipare alla nuova realtà, di cui non condivido diverse visioni e approcci lavorativi.
Prima della fusione, il cda finalizza l’acquisto di un immobile per l’ampliamento delle attività, su cui grava un mutuo ipotecario (circa 250 mila euro). Nel corso di quello stesso anno lavora un consiglio di amministrazione ristretto (cui non sono stata fatta partecipe), composto da quattro consiglieri rappresentanti dei due consigli di appartenenza e mediato da un consulente per la fusione. Restano attivi i relativi cda, di cui il mio è di fatto responsabile dell’acquisto dell’immobile.
Non trovandomi più rappresenta dalla nuova realtà che avanza, a dicembre 2018, poche settimane dopo la decadenza di carica di consigliere, dò le dimissioni dall’impiego e quindi da socio.
In sostanza, l’ultimo bilancio d’esercizio, cui ho partecipato in qualità di amministratore, è stato quello chiuso al 31.12.2017, chiuso con un utile d’esercizio di 99 mila euro circa e un patrimonio netto di 670 mila euro circa.
Sebbene la fusione abbia dato luogo a una realtà più forte e competitiva, con un patrimonio netto è più che duplicato, il nuovo cda (a cui non ho più partecipato) non ha saputo capitalizzare le risorse: ho visionato in camera di commercio il bilancio chiuso al 31.12.2018, il primo dopo la fusione e in cui non sono menzionata come consigliere (sebbene sia stata in carica fino ad ottobre), che presenta una perdita di 230 mila euro. Da lì in poi, ho saputo che la realtà va di male in peggio e che anche l’immobile acquistato per garantire gli ampliamenti dei servizi è rimasto inutilizzato.
La mia domanda è questa: in caso di ulteriore deterioramento della cooperativa, ad esempio in caso di insolvenza e liquidazione coatta, posso essere coinvolta a qualche livello di responsabilità, nonostante abbia lasciato la carica amministrativa con la fusione a ottobre 2018 ? In particolare, penso all’acquisto dell’immobile, che all’epoca fu un’operazione espansiva sensata, ma evidentemente non nelle mani del cda che è seguito.
Anticipatamente, ringrazio.
Cordialità.
Mariateresa”
Consulenza legale i 18/01/2021
Ai sensi dell’art. 2519 del c.c., alle società cooperative si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni sulla società per azioni, salvo che nell’atto costitutivo non si sia optato per l’applicazione delle norme sulla società a responsabilità limitata (solo nelle cooperative con un numero di soci cooperatori inferiore a venti ovvero con un attivo dello stato patrimoniale non superiore ad un milione di euro).

In caso di applicazione delle disposizioni sulla società per azioni, gli amministratori devono adempiere i doveri loro imposti dalla legge e dall’atto costitutivo con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze.
La violazione di tali doveri comporta l’assunzione della relativa responsabilità in capo agli amministratori, la quale può svilupparsi in tre direzioni: la responsabilità verso la società disciplinata dagli artt. 2392 e 2393 del c.c.; la responsabilità verso i creditori sociali ai sensi dell’art. 2394 del c.c.; la responsabilità verso i singoli soci o i terzi ai sensi dell’art. 2395 del c.c..
Sussiste responsabilità degli amministratori verso la società per i danni da essa subiti nell’ipotesi in cui gli amministratori non abbiano adempiuto ai doveri imposti dalla legge o dalla Statuto. Gli amministratori non saranno responsabili per i risultati negativi della gestione che non siano imputabili a difetto di diligenza nella condotta degli affari sociali o nell’adempimento di specifici obblighi.
Sussiste responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali in caso di inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale; invero, l’azione può essere proposta solamente quando il patrimonio risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti, il danno infatti non può sussistere fintanto che il patrimonio sociale sia capiente.
Sussiste responsabilità degli amministratori verso i soci o i terzi quando questi ultimi subiscono un danno diretto in conseguenza di atti colposi o dolosi degli amministratori.

Nelle società cooperative con modello s.r.l. la disciplina relativa alla responsabilità degli amministratori è dettata dall’art. 2476 del c.c., la cui azione può essere esercitata individualmente dal singolo socio, indipendentemente dalla quota di capitale posseduta.

Nel caso di un consiglio di amministrazione che non ha delegato i suoi compiti a dei comitati esecutivi (come appare quello nel caso di specie), gli amministratori sono tutti responsabili in solido per i danni cagionati alla società.
L’amministratore dissenziente, tuttavia, non è responsabile a condizione che abbia espresso il suo dissenso per iscritto, anche facendolo annotare senza ritardo sul libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio, nonché dandone immediata notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale; deve, inoltre, essere immune da colpa, cioè non deve aver concorso, con il suo comportamento, a cagionare il danno.

Nel caso che ci occupa, se l’acquisto dell’immobile ha cagionato un danno (alla società, ai soci o ai creditori), potrà essere esercitata l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori entro il termine prescrizionale di 5 anni, che decorrono, a seconda del tipo di azione e del soggetto che la esercita, dal fatto dannoso, dalla decadenza dell’amministratore, dalla data in cui il creditore può valutare con l’ordinaria diligenza lo squilibrio tra attività e passività.
Ciò anche in caso di dimissioni, poiché l’ex amministratore rimane responsabile, verso la società ed i terzi, civilmente e penalmente, per gli atti compiuti fino all’ultimo giorno di permanenza nella carica.
La fruttuosità dell’azione civilistica, tuttavia, è sempre legata alla dimostrazione del danno cagionato con l’operazione di acquisto: se l’operazione non era pregiudizievole, e pertanto non sono stati violati i doveri incombenti in capo all’amministratore, l’azione di responsabilità sarà infruttuosa.

La vicenda presenta, inoltre, implicazioni penali da considerare, che la redazione si rende disponibile ad approfondire a fronte della formulazione di un nuovo quesito.