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Articolo 2506 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Forme di scissione

Dispositivo dell'art. 2506 Codice Civile

Con la scissione una società assegna l'intero suo patrimonio a più società, preesistenti o di nuova costituzione, o parte del suo patrimonio, in tal caso anche ad una sola società, e le relative azioni o quote ai suoi soci.

È consentito un conguaglio in danaro, purché non superiore al dieci per cento del valore nominale delle azioni o quote attribuite. È consentito inoltre che, per consenso unanime, ad alcuni soci non vengano distribuite azioni o quote di una delle società beneficiarie della scissione, ma azioni o quote della società scissa.

La società scissa può, con la scissione, attuare il proprio scioglimento senza liquidazione, ovvero continuare la propria attività.

La partecipazione alla scissione non è consentita alle società in liquidazione che abbiano iniziato la distribuzione dell'attivo.

Ratio Legis

La scissione è l'operazione straordinaria mediante la quale una società suddivide ed assegna il proprio patrimonio a due o più società di nuova costituzione. La sua funzione è quella di consentire una separazione sia a livello patrimoniale, sia di compagine sociale, evitando il duplice passaggio della liquidazione della società e della costituzione di nuove società tra i medesimi soggetti.

Spiegazione dell'art. 2506 Codice Civile

La norma stabilisce che con la scissione la società assegna (non "trasferisce") l'intero suo patrimonio o parte del suo patrimonio ad una o più società beneficiarie.

Anche in tal caso la norma distingue le forme di scissione in:
a) totale: la società scissa assegna l'intero suo patrimonio a due o più beneficiarie di nuova costituzione o preesistenti. L'ipotesi deve essere tenuta distinta sia dalla trasformazione (qualora il patrimonio sia assegnato per intero ad una sola società di nuova costituzione) e dalla fusione per incorporazione (qualora il patrimonio sia assegnato ad una sola società preesistente);
b) parziale: la società scissa assegna parte del suo patrimonio ad una o più beneficiarie preesistenti (scissione parziale per incorporazione) o di nuova costituzione (scissione parziale in senso stretto).

Analogamente a quanto affermato per la fusione, si reputa che anche la scissione consista in una mera modificazione dell'atto costitutivo della scissa, non dando luogo ad alcuna vicenda estintiva-successoria tra la scissa e le beneficiarie, bensì meramente evolutiva. Nonostante la dottrina abbia in più occasioni rilevato come la scissione non comporti alcun fenomeno di tipo traslativo in favore delle beneficiarie, la Corte di Cassazione ha recentemente ribadito come tale operazione integri pur sempre un atto di disposizione del patrimonio e possa dunque essere oggetto di revocatoria ordinaria (art. 2901), anche se esercitata dal curatore fallimentare (Cass. 2153/2021).

La scissione va in ogni caso tenuta distinta dal caso in cui la società conferisca parte del proprio patrimonio ad altra società (c.d. scorporo): in quest'ultimo caso, infatti, le azioni o partecipazioni nella beneficiaria sono assegnate alla società conferente e non agli azionisti/soci di quest'ultima, come invece avviene nella scissione.

Il secondo comma della norma disciplina la c.d. scissione asimmetrica o soggettiva, quando ad alcuni soci non è assegnata nessuna delle azioni o quote della beneficiaria. Tale scissione è lecita purché sia deliberata con consenso unanime.

La scissione può perfezionarsi anche in costanza di liquidazione purché la società non abbia iniziato la distribuzione dell'attivo. Si ritiene che la scissione non comporti generalmente la revoca implicita dello stato di liquidazione, sebbene debba guardarsi caso per caso allo scopo ed alle finalità che contraddistinguono l'operazione: qualora la scissione sia preordinata ad agevolare il procedimento di liquidazione, la delibera di scissione non varrà anche quale revoca implicita dello stato di liquidazione.

Relazione al D.Lgs. 6/2003

(Relazione illustrativa del decreto legislativo recante: "Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366.")

14 DELLA FUSIONE E DELLA SCISSIONE Per quel che riguarda il tema delle fusioni, l'indicazione contenuta nella legge-delega di "semplificare e precisare il procedimento" doveva coniugarsi con l'esigenza di rispettare i vincoli di derivazione comunitaria (e, in particolare, quelli imposti dalla direttiva 78/855/CEE del 9.10.1978, cui – nel nostro Paese – è stata data attuazione in forza del d. lgs 16.1.1991, n. 22). Si è così ritenuto di operare su due piani: a) da un lato – per quanto riguarda le fusioni cui partecipano società il cui capitale è rappresentato da azioni (alle quali si applicano le previsioni della sopramenzionata direttiva comunitaria) – sfruttando, al fine di "semplificare e precisare il procedimento", taluni margini consentiti dalla direttiva stessa e non "sfruttati" dal d. lgs. n. 22/1991; b) da altro lato – per quanto riguarda le fusioni cui, invece, non partecipano società il cui capitale è rappresentato da azioni (alle quali non trovano applicazione le previsioni della sopramenzionata direttiva comunitaria) – derogando altresì, sempre al fine di "semplificare e precisare il procedimento", a talune indicazioni previste come tassative dalla direttiva stessa. Così: Dal primo punto di vista, si è utilizzato il margine di discrezionalità consentito agli Stati membri dall'art. 1, comma 3°, della direttiva per eliminare l'attuale previsione secondo cui "la partecipazione alla fusione non è consentita alle società sottoposte a procedure concorsuali" (art. 2501 del c.c., comma 2°); si è espressamente consentita una (seppure estremamente limitata) possibilità di modifica del progetto di fusione in sede di approvazione della fusione stessa (art. 2502 del c.c., comma 2°); si è cercato di trovare un miglior contemperamento tra l'esigenza di celerità del procedimento di fusione e quella di tutela dei creditori sociali (art. 2503 del c.c., commi 1°, 2° e 3°); si è sfruttato il margine di discrezionalità concesso agli Stati membri dagli artt. 25 e 27 della direttiva per consentire, in ipotesi di fusione per incorporazione di una o più società in un'altra che possiede almeno il 90% di tutte le loro azioni o quote, che l'approvazione della fusione stessa venga effettuata dall'organo amministrativo (art. 2505 del c.c., comma 2°; art. 2505-bis, comma 2°), ecc.; Dal secondo punto di vista – con riferimento alle fusioni cui non partecipano società il cui capitale è rappresentato da azioni – si è prevista (all'art. 2505 quater), proprio al fine di ulteriormente semplificare ed accelerare il procedimento di fusione, tutta una serie di deroghe al modello di derivazione comunitaria. Per quel che concerne le operazioni di leveraged buyout – relativamente alle quali la legge-delega (art. 7, comma 1°, lett. d) demandava al legislatore delegato di "prevedere che le fusioni tra società, una delle quali abbia contratto debiti per acquisire il controllo dell'altra, non comportano violazione del divieto di acquisto e di sottoscrizione di azioni proprie, di cui, rispettivamente, agli articoli 2357 e 2357 quater del codice civile, e del divieto di accordare prestiti e di fornire garanzie per l'acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie, di cui all'articolo 2358 del codice civile" – si sono indicate le condizioni cui dette fusioni devono sottostare (art. 2501-bis). Infine, si sono introdotte specifiche previsioni per dare attuazione, da un alto, all'indicazione della legge– delega (art. 7, comma 1, lett. c) che impone al legislatore delegato di "disciplinare i criteri di formazione del primo bilancio successive alle operazioni di fusione" (cfr. art. 2504-bis, comma 4°) e, da altro lato, a quelle (art. 7, comma 1, lett. b) di "disciplinare possibilità, condizioni e limiti delle (…) fusioni eterogenee" (cfr. art. 2502, comma 2°; art. 2504-bis, comma 5°). Anche per quel che riguarda le scissioni, è stato necessario contemperare le indicazioni contenute nella legge delega con l'esigenza di rispettare i vincoli di derivazione comunitaria (e, in particolare, quelli imposti dalla direttiva 82/891/CEE del 17.12.1982, cui – nel nostro Paese – è stata data attuazione in forza del d. lgs. 16.11.1991, n. 22). Si è così provveduto – come già in tema di fusione – a sfruttare taluni margini consentiti dalla direttiva e non "sfruttati" dal d. lgs. n. 22/1991). Il che è stato fatto, da un lato, facendo ampio ricorso alla tecnica del rinvio alle nuove norme in tema di fusione e, da latro lato, a previsioni specifiche, quale quella (art. 2506 del c.c., comma 2°) che consente "un conguaglio in denaro, purché non superiore al dieci per cento del valore nominale della azioni o quote attribuite" ai soci della società scissa, ovvio quello (art. 2506, comma 2°) che consente "che, per consenso unanime, ad alcuni soci non vengano distribuite azioni di una delle società beneficiarie della scissione, ma azioni della società scissa"; o, ancora, quella (art. 2506-bis, comma 3°) che contempla che, per gli "elementi del passivo, la cui destinazione non è desumibile dal progetto", "la responsabilità solidale è limitata all'attivo netto attribuito in ciascuna società beneficiaria", o, infine, quello (art. 2506-bis, comma 4°) che preveda che, "nell'ipotesi in cui le azioni delle società beneficiarie sono attribuite agli azionisti della società scissa non proporzionalmente ai loro diritti sul capitale di tale società, gli azionisti minoritari possono esercitare il diritto di far acquistare le proprie azioni al valore corrente concordemente determinato, ovvero a quello che, in mancanza di accordo, sarà determinato dal giudice". Da un punto di vista terminologico si è ritenuto opportuno in tema di scissione caratterizzare i suoi riflessi sui beni in termini di "assegnazione" e non di "trasferimento". Ciò anche la fine di chiarire, come riconosciuto da giurisprudenza consolidata, che nell'ipotesi di scissione medesima non si applicano le regole peculiari dei trasferimenti dei singoli beni (ad esempio relative alla situazione edilizia degli immobili).

Massime relative all'art. 2506 Codice Civile

Cass. civ. n. 23225/2016

La scissione societaria disciplinata dagli artt. 2506 e ss. c.c., come modificati dal d.lgs n. 6 del 2003 con effetti dall'1 gennaio 2004, consistendo nel trasferimento del patrimonio ad una o più società, preesistenti o di nuova costituzione, contro l'assegnazione di azioni o di quote delle stesse ai soci della società scissa, produce effetti traslativi, che, sul piano processuale, non determinano l'estinzione di quest'ultima ed il subingresso di quella o di quelle risultanti dalla scissione nella totalità dei rapporti giuridici della prima, ma una successione a titolo particolare nel diritto controverso, che, ove intervenga nel corso del giudizio, comporta l'applicazione della disciplina di cui all'art. 111 c.p.c., con conseguente facoltà per il successore di resistere con controricorso all'impugnazione "ex adverso" proposta, davanti alla Suprema Corte, nei confronti del suo dante causa, pur quando non abbia partecipato al processo nei gradi precedenti.

Cass. civ. n. 5874/2012

Nella disciplina dettata dagli art. 2504 septies c.c. (applicabile "ratione temporis"), la scissione parziale di una società, consistente nel trasferimento di parte del suo patrimonio ad una o più società, preesistenti o di nuova costituzione, contro l'assegnazione delle azioni o delle quote di queste ultime ai soci della società scissa, si traduce in una fattispecie effettivamente traslativa, che comporta l'acquisizione da parte della nuova società di valori patrimoniali prima non esistenti nel suo patrimonio; detto trasferimento non determina l'estinzione della società scissa ed il subingresso di quella risultante dalla scissione nella totalità dei rapporti giuridici della prima, configurandosi invece come successione a titolo particolare nel diritto controverso, che, ove intervenga nel corso del giudizio, comporta l'applicabilità della disciplina di cui all'art. 111 c.p.c., con la conseguente facoltà del successore di spiegare intervento nel giudizio e d'impugnare la sentenza eventualmente pronunciata nei confronti del dante causa; in tal caso, il successore ha, tuttavia, l'onere di allegare la propria qualità e di offrire la prova delle circostanze che costituiscono i presupposti della sua legittimazione mediante riscontri documentali, la cui mancanza, attenendo alla regolare instaurazione del contradditorio, è rilevabile anche d'ufficio.

Cass. civ. n. 30246/2011

La scissione societaria di cui agli artt. 2506 e ss. c.c. costituisce una ipotesi di successione a titolo particolare nel processo, ai sensi dell'art. 111 c.p.c..

Cass. civ. n. 6143/2001

In caso di scissione totalitaria di una società per azioni a norma dell'art. 2504 septies c.c., con contestuale costituzione di una pluralità di società, si verifica una successione a titolo universale tra la società oggetto di scissione — che si estingue senza prima passare attraverso la fase di liquidazione — e le nuove società, con frazionamento tra queste ultime del patrimonio della società scissa e dei relativi rapporti. Ne consegue che il lavoratore che abbia cessato di lavorare alle dipendenze della società poi scissa, prima della sua estinzione, nell'instaurare una controversia di lavoro nei confronti della società di nuova costituzione che abbia acquisito il settore aziendale presso cui lavorava, può convenire la stessa, in applicazione dell'art. 413, secondo comma, c.p.c., davanti al foro della dipendenza a cui egli era addetto al momento della cessazione del rapporto di lavoro, che sia passata nell'ambito dell'organizzazione di detta nuova società; infatti, nel quadro del fenomeno successorio che caratterizza la scissione societaria, alla nuova società si trasferisce anche la situazione di fatto e diritto rilevante ai fini della competenza processuale, né in senso contrario si può richiamare il disposto dell'art. 413, terzo comma, anche perché il trasferimento di azienda cui fa riferimento questa disposizione consiste nella dislocazione territoriale della sede dell'azienda, e non nel trasferimento di un complesso aziendale da un soggetto a un altro.

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Consulenze legali
relative all'articolo 2506 Codice Civile

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Francesco R. chiede
giovedì 10/08/2017 - Calabria
“Oggetto: art. 34 del D.Lgs. n. 5/2003 - Clausola compromissoria statutaria.
Lo Statuto della S.r.l. "Alfa", adeguato alle nuove prescrizioni recate dall'art. 34 del D.Lgs. 5/2003 prevede testualmente: "le modifiche dell'atto costitutivo, INTRODUTTIVE o SOPPRESSIVE di clausole compromissorie, devono essere approvate dai soci .... omissis ...... ".
Successivamente, la predetta società "Alfa", per la realizzazione di un progetto di "scissione" aziendale convoca l'assemblea straordinaria dei soci con il seguente ordine del giorno: "delibera di scissione della società mediante trasferimento di parte del suo patrimonio ad una società di nuova costituzione; approvazione dello statuto della medesima; deliberazioni consequenziali e delega di poteri; conseguenti modifiche statutarie".
In tale circostanza, l'assemblea straordinaria approva, mediante apposito Verbale:
1. il progetto di scissione e relativo statuto della società risultante dalla scissione;
2. l’allegato “A” quale nuovo statuto sociale per la società scissa "Alfa".
Relativamente al punto sub 2) il Verbale assembleare, nella parte dispositiva, reca la seguente sintetica, lapidaria espressione: “…. Viene approvato il nuovo statuto sociale che si allega al presente atto sotto la lettera “A””, senza null’altro aggiungere.
Dalla lettura del nuovo statuto sociale (Allegato “A”) si evince che, la clausola compromissoria statutaria in parola è stata soppressa, senza che vi sia stata:
a) alcuna specifica, preventiva indicazione nell’avviso di convocazione assembleare;
b) alcuna discussione e “verbalizzazione” in merito;
c) alcuna approvazione da parte dei soci.
Atteso anche il carattere di “autonomia” di cui gode la clausola compromissoria (art.808 c.p.c.) rispetto all’atto cui accede e l’espressa previsione deliberativa, nell’ipotesi di abrogazione, di cui all’art. 34, ultimo comma, del D.Lgs. n. 5/2003, quale norma speciale inderogabile, si chiede:
- se la clausola compromissoria in questione continui o meno a dispiegare i suoi effetti giuridici, in assenza di apposito atto deliberativo soppressivo.”
Consulenza legale i 14/08/2017
Dal quesito non si evince quale sia il testo della clausola compromissoria e soprattutto se la clausola compromissoria sia effettivamente stata introdotta nello statuto della Alfa S.r.l. ovvero se lo statuto prevedesse la sola clausola indicata ("le modifiche dell'atto costitutivo, INTRODUTTIVE o SOPPRESSIVE di clausole compromissorie, devono essere approvate dai soci .... omissis ...... "): tale generica indicazione, infatti, non costituisce una clausola compromissoria in sé; appare bensì come semplice facoltà dei soci di introdurre clausole compromissorie, facoltà già prevista comunque dalla legge.

Sembrerebbe dunque che una tale previsione non costituisca clausola compromissoria concreta, ma solo una previsione astratta della facoltà dei soci di introdurre la clausola compromissoria concreta, facoltà che deve venire esercitata dai soci attraverso l'effettiva introduzione della clausola nello statuto (tramite delibera assembleare di modifica dello statuto sociale con approvazione espressa dei due terzi del capitale sociale, e con diritto di recesso per i soci assenti o dissenzienti), al fine dell'acquisto di una concreta validità, restando altrimenti tale disposizione una mera riproduzione del testo di legge, che concede in astratto la facoltà dell'introduzione e ne disciplina le modalità (art. 34, sesto comma, D.Lgs. n. 5/2003 "Le modifiche dell'atto costitutivo, introduttive o soppressive di clausole compromissorie, devono essere approvate dai soci che rappresentino almeno i due terzi del capitale sociale.").

Se invece lo statuto della Alfa S.r.l., ossia la società (parzialmente) scissa, prevedeva e prevede ancora una clausola compromissoria concreta (una vera e propria clausola compromissoria), che non sia stata riportata nel testo della società di nuova costituzione nata dalla scissione, tale clausola non potrebbe considerarsi soppressa dalla delibera di scissione se la sua soppressione non sia stata deliberata con la maggioranza dei due terzi del capitale sociale, come previsto dalla normativa speciale. Ciò è confermato dalla dottrina notarile, in particolare dalla massima L.A.23 del Consiglio Notarile Triveneto - Decisione di fusione o scissione di società di persone a maggioranza e adozione di un nuovo statuto - che prevede che è consentita, con l'approvazione del progetto di scissione, l'approvazione con la stessa maggioranza del testo dello statuto o dei patti sociali della o delle società risultanti, anche in quelle parti che non risultano strettamente necessarie con la scissione, ma "restano comunque salve le disposizioni dettate da norme speciali (…) (si pensi all'art. 34 del d. lgs. 17.1.2003 n. 5 nella parte in cui prevede che l'introduzione o la soppressione di clausole compromissorie debba essere approvata dai soci che rappresentino almeno i 2/3 del capitale sociale).".

Si ribadisce, comunque, che la clausola riportata nel quesito non può qualificarsi come clausola compromissoria, bensì riporta solo una facoltà, già prevista dalla legge, di introduzione da parte dell'assemblea dei soci di una clausola compromissoria concreta. Il fatto che tale facoltà non sia stata riportata (riprodotta) nel nuovo statuto della società di nuova costituzione non comporta sostanziali differenze: essendo la facoltà, e le modalità, già previste dal citato art. 34, se i soci vorranno introdurre ex novo una clausola compromissoria potranno semplicemente deliberarne l'introduzione nell'assemblea straordinaria, con le maggioranze e le modalità previste dalla legge.

ANGELO B. chiede
lunedì 29/06/2015 - Lombardia
“Società in snc con due soci al 50% ciascuno da anni è in atto un conflitto trai i soci sfociato in un contenzioso giudiziale con prossimo ricorso in appello.
I vari tentativi di accordo si sono rivelati inutili.
L'azienda dispone di:
un capannone che ha affittato
un capannone da ristrutturare
un capannone dove avviene l'attività lavorativa dell'snc
Ogni singolo stabile ha un' area e un'entrata separata per conto proprio.

La mia domanda:
Vista la criticità dei rapporti tra i due soci è possibile chiedere una scissione giudiziale della snc,vista anche la disponibilità di immobili, creando due aziende facenti capo ad ogni socio in modo che questi acquisiscano la corrispondente parte immobiliare,e possano così svolgere la loro attività?
Grazie”
Consulenza legale i 06/07/2015
Il Libro V del codice civile, che disciplina le società, non fornisce alcuna definizione di scissione. La possiamo peraltro descrivere come l'assegnazione di tutto o parte del patrimonio di una società a favore di una o più società beneficiarie, già esistenti o di nuova costituzione; oppure come l'assegnazione ai soci della società scissa delle azioni o quote emesse dalle società beneficiarie, secondo le modalità indicate nel progetto di scissione.

Solo con l'atto di scissione i soci possono legittimamente disporre di una parte del patrimonio sociale per condurre una separata attività commerciale.
Nella scissione, infatti, le azioni o quote delle società beneficiarie del trasferimento patrimoniale sono acquisite direttamente dai soci della società che si scinde e non da quest'ultima, sicché per i soci il contratto sociale continua in nuove e diverse strutture societarie.

Va osservato peraltro che la normativa tutela i creditori della società conferendo loro il diritto di opposizione alla progettata scissione, e statuendo che sussiste comunque una responsabilità delle società risultanti dalla scissione.

L'intera disciplina della scissione, contenuta agli artt. 2506-2506 quater, è descritta come una operazione complessa, che deve necessariamente coinvolgere tutti i soci della società (ad esempio, deve essere redatto un unitario progetto di scissione).

Di conseguenza, non è possibile immaginare di chiedere in via giudiziale la scissione di una società, senza l'accordo con l'altro socio.

Il socio, però, ha il diritto di recedere in ogni momento dalla società quando questa è contratta a tempo indeterminato o per tutta la vita di uno dei soci; o comunque può recedere nei casi previsti nel contratto sociale ovvero quando sussiste una giusta causa (art. 2285 del c.c.).
Non costituisce, però, giusta causa di recesso né il disaccordo su qualsiasi pretesa, anche se fondata, né un qualsiasi pretestuoso motivo di dissenso (v. Cass. civ. 10.6.1999, n. 573; 14.2.2000, n. 1602). Al contrario, si ritiene giusta causa di recesso l'inadempimento da parte degli altri soci delle obbligazioni derivanti dal contratto sociale.

Nei casi in cui il rapporto sociale si sciolga limitatamente a un socio, questi o i suoi eredi hanno diritto soltanto ad una somma di denaro che rappresenti il valore della quota. La liquidazione della quota è fatta in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento (art. 2289 del c.c.).