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Articolo 2475 ter Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Conflitto di interessi

Dispositivo dell'art. 2475 ter Codice Civile

I contratti conclusi dagli amministratori che hanno la rappresentanza della società in conflitto di interessi, per conto proprio o di terzi, con la medesima possono essere annullati(1) su domanda della società, se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo.

Le decisioni adottate dal consiglio di amministrazione con il voto determinante di un amministratore in conflitto di interessi con la società, qualora le cagionino un danno patrimoniale, possono essere impugnate entro novanta giorni dagli amministratori e, ove esistenti, dai soggetti previsti dall'articolo 2477. In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della decisione.

Note

(1) Il conflitto di interessi non è di per sé condizione che inficia la votazione; a tal fine occorre che: a) il voto determinante la maggioranza necessaria per approvare la delibera sia quello del soggetto in capo al quale si configura la situazione di conflitto; b) la delibera possa, anche solo potenzialmente, arrecare un danno alla società.

Ratio Legis

La norma disciplina la sorte degli atti conclusi dagli amministratori che siano portatori di un interesse in conflitto con l'interesse sociale, nonché delle deliberazioni del c.d.a. assunte con il voto determinante dell'amministratore cui tale conflitto si riferisca.

Spiegazione dell'art. 2475 ter Codice Civile

Nelle s.r.l., il contratto concluso dall'amministratore rispetto al quale quest'ultimo si trovi in una posizione di conflitto di interessi, è annullabile su richiesta della società solamente nel caso in cui il conflitto fosse conosciuto o conoscibile dal terzo.

La norma non impone all'amministratore di denunziare preventivamente il conflitto d'interessi, ma la decisione del consiglio di amministrazione sarà impugnabile dagli altri amministratori o dai sindaci, se nominati, qualora si provi che essa:
  • sia stata assunta con il voto determinante dell'amministratore in conflitto d'interessi;
  • abbia provocato un danno attuale e di natura patrimoniale alla società. Ai fini dell'annullamento non è dunque sufficiente dimostrare la potenzialità dannosa della decisione.
Non è tuttavia chiaro da quando decorra il termine di 90 giorni per l'impugnazione. Secondo una prima tesi il termine decorrerebbe da quando il danno si è manifestato; secondo un altro orientamento il termine decorre dall'assunzione della delibera o dalla sua trascrizione nel libro delle deliberazioni assembleari (CAMPOBASSO).

La disposizione non prevede ulteriori cause di annullamento delle decisioni del consiglio di amministrazione. Si ritiene, in ogni caso, che ulteriori fattispecie possano essere individuate nell'atto costitutivo.

Relazione al D.Lgs. 6/2003

(Relazione illustrativa del decreto legislativo recante: "Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366.")

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Consulenze legali
relative all'articolo 2475 ter Codice Civile

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D. B. chiede
martedì 02/04/2024
“Buongiorno.
Sono presidente del CdA di una S.r.l. di cui, in comunione indivisa, io e mio fratello deteniamo il 35% (17,50% ciascuno dei germani) del capitale sociale. Il resto del capitale sociale è espresso da altri due soci, uno rappresentante il 42% e l'altro il 23%. Poiché la società stessa deve determinarsi sull'aumento di stipendio di uno dei propri dipendenti che, nel caso specifico è mio figlio, gli altri soci e amministratori sostengono che io sia in conflitto di interessi e che, pertanto, debba astenermi dall'esprimere il mio voto positivo in seno al CdA. Se mi astenessi, uno dei soci sarebbe favorevole all'aumento stipendiale, mentre l'altro sarebbe contrario. In sostanza, il CdA non riuscirebbe a raggiungere la maggioranza per deliberare, dovendomi io astenere. Consequenzialmente, al dipendente interessato verrebbe completamente preclusa la possibilità di ottenere qualsivoglia sviluppo di carriera. Chiedo Vs. illuminato parere in proposito. Grazie. Saluti cordiali.”
Consulenza legale i 08/04/2024
Il conflitto di interessi, non definito dal legislatore, ma soltanto da dottrina e giurisprudenza, si rileva quando gli interessi di cui i soggetti sono portatori sono contrapposti e incompatibili, così che il soddisfacimento dell’uno comporta la compressione dell’altro.
Nelle S.r.l. sussiste un conflitto di interessi tra amministratore e società quando, in relazione ad una determinata decisione, ad un vantaggio anche potenziale dell’amministratore fa fronte uno svantaggio, o anche un minor vantaggio, della società.
In linea generale, l’amministratore è portatore di un interesse proprio e per conto di altri soggetti ogniqualvolta ricorra un rapporto, di natura patrimoniale o non patrimoniale, tale da incidere sulla sua autonomia decisionale e sulla sua capacità di perseguire disinteressatamente gli interessi della società; a tal fine, possono essere rilevanti anche le relazioni di parentela.
Affinché ricorra un conflitto di interessi, non è necessaria un’assoluta incompatibilità fra l’interesse dell’amministratore e quello della società, ma è sufficiente anche una incompatibilità relativa, con realizzazione parziale dell’interesse sociale assieme a quello dell’amministratore.

In ogni caso, non è prevista una specifica disciplina per le s.r.l. concernente obblighi di informazione preventiva, motivazione o astensione gravanti sugli amministratori in conflitto di interessi (al contrario delle s.p.a.).
Si ritiene sussistente soltanto un generico dovere di trasparenza, che impone all’amministratore di comunicare la situazione di conflitto ai soci ovvero agli altri amministratori.
Non è invece configurabile nelle s.r.l. né un obbligo di astensione né un obbligo di motivazione, in quanto incompatibili con la semplificazione dei processi decisionali di tale società.

Ciò nonostante, in relazioni alle decisioni assunte in conflitto di interessi da un amministratore, viene in rilievo l’art. 2475 ter del c.c., il quale al primo comma prevede l’annullabilità, su domanda della società, dei contratti conclusi dagli amministratori rappresentanti in conflitto di interessi, per conto proprio o di terzi, con la società medesima, purché il conflitto fosse conosciuto o riconoscibile dal terzo; al secondo comma, la dispone l’impugnabilità, entro novanta giorni, da parte degli amministratori e, ove esistenti, del collegio sindacale o del revisore, delle decisioni assunte dal consiglio di amministrazione con il voto determinante di un amministratore in conflitto di interessi con la società, qualora esse cagionino un danno patrimoniale, con salvezza dei diritti acquistati in buona fede da terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della decisione.

I presupposti per richiedere l’annullamento sono: il conflitto d’interesse; la conoscenza o conoscibilità del conflitto in capo al terzo (in questo caso il figlio/dipendente, che ne era certamente a conoscenza); il voto determinante nella decisione assunta dal consiglio di amministrazione dell’amministratore in conflitto.
Peraltro, la violazione di tali obblighi e l’assunzione di decisioni annullabili per conflitto di interessi può essere motivo di revoca per giusta causa dell’amministratore e fonte di responsabilità ex art. 2476 del c.c..

Il caso in esame sembra rientrare proprio nell’ambito di un conflitto di interessi parziale, nonché giuridicamente rilevante, poiché un aumento di stipendio del dipendente/figlio del presidente del consiglio, deliberato con voto determinante del presidente del CDA in conflitto, potrebbe in astratto realizzare parzialmente anche l’interesse della società a non perdere un proprio valido collaboratore.

Si rammenta che le deliberazioni del consiglio di amministrazione sono validamente assunte se vi partecipa la maggioranza dei membri; le decisioni sono prese a maggioranza assoluta dei presenti (così come l’art. 2388 del c.c. dispone per le s.p.a.).

L’art. 8 dello statuto, inoltre, prevede che “Salvo il caso di particolari quorum stabiliti per legge, le riunioni del Consiglio di Amministrazione si reputano validamente costituite quando partecipa la maggioranza dei membri che lo costituiscono. Esso delibera con il voto della maggioranza dei presenti ed in caso di parità prevale il voto del Presidente.”

Nel caso di specie, si ritiene opportuna l’astensione dalla votazione in merito all’incremento di stipendio, posta la rilevabilità di un conflitto di interessi (almeno potenziale e/o parziale).
Una soluzione potrebbe consistere nel non essere presente alla riunione del consiglio; la riunione sarà validamente costituita, poiché parteciperà la maggioranza dei membri del CDA, tuttavia in quel caso, in occasione della parità, prevarrebbe il voto del vice presidente, che sostituisce il presidente proprio in caso di assenza e ne assume il ruolo ed i poteri.

Una ulteriore soluzione consiste nell’investire della questione l’assemblea dei soci.
A riguardo, l’art. 2479 bis del c.c. prevede un quorum costitutivo (per essere validamente costituita, all'assemblea devono intervenire tanti soci che rappresentino almeno la metà del capitale sociale) e un quorum deliberativo (al fine di deliberare, è necessario il voto favorevole della maggioranza assoluta degli intervenuti).
Inoltre, non esiste un dovere di astensione del socio in potenziale conflitto di interessi.

In ordine alle decisioni assembleari, l’art. 2479 ter del c.c. dispone che le decisioni assunte con la partecipazione determinante di soci che hanno, per conto proprio o di terzi, un interesse in conflitto con quello della società sono impugnabili dai soci che non vi hanno consentito, da ciascun amministratore e dal collegio sindacale entro novanta giorni dalla loro trascrizione nel libro delle decisioni dei soci.
In quel caso, sarà il Tribunale eventualmente adito a decidere in merito alla decisione assunta; non ricorre, tuttavia, il rischio di revoca dalla carica di amministratore, né di responsabilità ex 2476cc.

P. L. chiede
venerdì 26/11/2021 - Emilia-Romagna
“Una SRL è composta da due soci al 50% di cui uno agente di commercio monomandatario per la stessa società. I soci stanno decidendo di costituire un nuovo consiglio di amministrazione composto da due componenti, quindi un Presidente e un Vice-presidente dove il Presidente non è socio e il Vice-presidente è il detto socio agente di commercio.
E' legittima l'operazione o sussiste una qualche forma di incompatibilità, in relazione anche all'ENASARCO ?

A parere dello scrivente, infatti, ricoprendo l'agente (monomandatario e socio) il ruolo di vice-presidente del CDA, quindi con potere di firma, verrebbe a mancare il presupposto giuridico della bilateralità del rapporto, con due distinti centri di interesse contrapposti che costituiscono la base del rapporto di lavoro.

Grazie”
Consulenza legale i 30/11/2021
Ai sensi dell’art. 5 della legge 204/1985, l'attività di agente e rappresentante di commercio è incompatibile con l'essere dipendente di enti pubblici e privati, ad eccezione dei dipendenti pubblici in regime di tempo parziale non superiore al 50% delle ore totali previste dal contratto, nonché con l’attività di agente di affari in mediazione o altre attività per le quali è prescritta l'iscrizione in detto ruolo.
Non sussiste, pertanto, una specifica incompatibilità da questo punto di vista tra l’attività di amministratore di una società di capitali e quella di agente di commercio.

Altra questione, tuttavia, è quella del conflitto d’interessi che sussiste tra il ricoprire la carica di amministratore di una srl e, contemporaneamente, il ruolo di agente per la medesima società.
Il conflitto di interessi nelle srl è disciplinato dall’art. 2475 ter c.c., il quale prevede la possibilità di chiedere, su domanda della società, l’annullamento di un contratto concluso dall’amministratore che ha la rappresentanza della società se il contratto è stato concluso in conflitto di interessi, inteso come contrasto tra l’interesse della società ed un altro interesse personale, che con esso confligge o potrebbe confliggere.
Affinché si possa richiedere l’annullamento del contratto, il socio in conflitto d’interessi deve avere la rappresentanza della società, e deve aver concluso il contratto proprio in forza della sua posizione; al contempo, il conflitto deve essere conosciuto o conoscibile dal terzo.

Qualora invece l’amministratore in conflitto di interessi abbia solamente partecipato alla decisione, assunta però dalla compagine sociale, e la sua posizione si sia rivelata determinante, l’art. 2475 ter del c.c. prevede la possibilità di richiedere l’annullamento della delibera quando questo arrechi alla società un pregiudizio di tipo patrimoniale.
In questo caso, tuttavia, il conflitto di interessi deve essere effettivo; il voto dell’amministratore in conflitto deve essere risultato determinante ai fini della conclusione del contratto; il danno alla società deve essere reale e concreto, nel senso che abbia cagionato un danno patrimoniale alla società.

Tanto premesso, nel caso in cui un amministratore unico o un socio illimitatamente responsabile intendessero ricoprire altresì la qualifica di agenti di commercio per la medesima società, rientreremmo in un’ipotesi di immedesimazione organica, con possibilità per la camera di commercio di inibire lo svolgimento dell’attività agenziale.
Parimenti Enasarco, in caso di immedesimazione organica, potrebbe non consentire il versamento dei contributi previdenziali a vantaggio della persona fisica.

Nel caso esposto, in cui esisterebbe un Consiglio di amministrazione (il cui amministratore non sarebbe socio della società), nonché una compagine sociale composta da una pluralità di soci (anche se soltanto 2 al 50%), l’operazione potrebbe essere percorribile.
Una ipotetica soluzione per rischiare quanto meno possibile di incorrere nelle annullabilità di cui all’art. 2475 ter del c.c. potrebbe consistere nel conferire una procura speciale al Presidente per la sottoscrizione e la gestione in autonomia dei rapporti inerenti e conseguenti al contratto di agenzia tra la società e l’agente/vice-presidente; in questo modo questi potrà gestire autonomamente l'operato dell'agente/vice-presidente per tutta la durata del rapporto di agenzia.
Sarebbe, altresì, opportuno che il tutto risulti da una decisione assunta all'unanimità dai soci; nel caso specifico, pertanto, con il consenso del socio escluso dall’amministrazione della società.

Anonimo chiede
lunedì 24/04/2017 - Sardegna
“società ar. Uno dei soci possiede il 33%. Il figlio è appaltatore dei lavori. Agli incontri con i professionisti ing. si presenta con delega sempre il padre (socio) che essendo un grosso costruttore mette in "imbarazzo" gli ingegneri. Può ravvisarsi conflitto di interessi?”
Consulenza legale i 05/05/2017
Potrebbe, in effetti, ravvisarsi un’ipotesi di conflitto d’interesse per il padre-socio che rappresenti altresì l’interesse della ditta appaltatrice dei lavori edili, di proprietà del figlio e della quale tendenzialmente favorirà l’andamento.
Tuttavia non sempre questo conflitto d’interesse è rilevante per l’ordinamento giuridico.

La norma che disciplina il conflitto d’interesse rilevante nelle società a responsabilità limitata è l’art. 2475 ter c.c..
Anzitutto occorre distinguere il caso in cui la scelta dell’appaltatore sia stata fatta dal socio-padre, dal caso in cui la scelta sia stata fatta comunque con la sua partecipazione.

L’art. 2475 ter c.c. prevede infatti la possibilità di chiedere l’annullamento del contratto che sia sia stato concluso dal socio che ha la rappresentanza della società, a responsabilità limitata, in conflitto d’interessi.
Presupposti per richiedere l’annullamento sono appunto:
  • Il conflitto d’interesse, inteso come contrasto tra l’interesse della società ed un altro interesse personale, che con esso confligge o potrebbe confliggere;
  • il conflitto deve essere conosciuto o conoscibile dal terzo, che in questo caso è il figlio-appaltatore e che sicuramente quindi ne era a conoscenza;
  • il socio in conflitto d’interessi deve avere la rappresentanza della società, e deve aver concluso il contratto proprio in forza della sua posizione. Chi detiene un ruolo di responsabilità nella società, deve mantenere una posizione di imparzialità rispetto agli interessi personali o professionali che dovessero intervenire nella gestione della stessa, e quando questa imparzialità viene a mancare, è possibile annullare il contratto potenzialmente dannoso.
Qualora invece il socio in conflitto abbia solamente partecipato alla decisione, assunta però dalla compagine sociale, e la sua decisione si sia rivelata determinante, l’art. 2475 ter prevede la possibilità di richiedere l’annullamento della delibera quando questo arrechi alla società un pregiudizio di tipo patrimoniale.
Presupposti per l’annullamento della delibera in questo caso sono
  • la sussistenza di un conflitto di interessi effettivo in capo al socio;
  • un suo voto determinante ai fini della conclusione del contratto;
  • un danno reale cagionato alla società con tale decisione.
In alternativa all’impugnazione della deliberazione e/o del contratto, sarà pure possibile paventare al socio in conflitto tale rischio, quello cioè del venir meno dell'appalto, al fine di indurlo indirettamente ad evitare ulteriori interferenze nella gestione delle operazioni edili e progettistiche.

Al di là di queste ipotesi, non è ravvisabile un conflitto d’interessi giuridicamente rilevante; tuttavia, in qualità di amministratore, potrà sempre incoraggiare gli ingegneri dell'impresa (del figlio) a cui sono stati affidati i lavori a seguire e sostenere il loro punto di vista senza lasciarsi influenzare dalle idee e valutazioni del socio in conflitto, vista anche la loro responsabilità professionale nello svolgimento degli incarichi.