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Articolo 1781 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Diritti del depositario

Dispositivo dell'art. 1781 Codice Civile

Il depositante è obbligato a rimborsare il depositario delle spese fatte per conservare la cosa(1), a tenerlo indenne delle perdite cagionate dal deposito(2) e a pagargli il compenso pattuito [1802, 2761](3).

Note

(1) Si pensi, ad esempio, al deposito di un animale ed alle conseguenti spese per mantenerlo e custodirlo.
(2) Ad esempio, le spese sostenute per riparare un immobile danneggiato a seguito del deposito di un certo bene al suo interno ovvero a quelle giudiziarie per la citazione del terzo che vanta diritti sul bene (v. 1777 c.c.).
(3) L'obbligazione di corrispondere il corrispettivo sussiste solo se, in deroga alla presunzione legale di cui all'art. 1767 del c.c., esso è dovuto. Se la sua misura non è stata fissata, si potrà ricorrere alle eventuali tariffe professionali esistenti.

Ratio Legis

La norma è conseguenza del fatto che il deposito pur essendo, di regola, non oneroso è, comunque, fatto nell'interesse del depositante, per cui le spese ed i danni causalmente connessi ad esso non possono essere sopportati dal depositario.

Spiegazione dell'art. 1781 Codice Civile

Osservazioni generali

I diritti del depositario consistono, secondo la sintetica dizione dell'articolo in esame, nel rimborso delle spese fatte per conservare la cosa, nell'indennizzo delle perdite cagionate dal deposito, e nel pagamento del compenso pattuito. Il rimborso e l'indennizzo gli competono indipendentemente da espressa pattuizione, purché, beninteso, le spese siano state effettivamente sostenute e le perdite subite, ed il patto espresso può intervenire solo per escluderle; il compenso, invece, spetta solo in virtù di apposita determinazione volitiva, ed in difetto si presume non dovuto (art. 1767). Ma se, in base a questa constatazione, si potrebbe essere indotti a considerare il diritto al rimborso ed all'indennità, e non quello al compenso, come effetto naturale del contratto, in realtà solo quest'ultimo, quando spetta, costituisce un elemento dotato di propria rilevanza causale e diretta incidenza sulla natura e struttura del deposito. Infatti, il diritto alla retribuzione, costituendo un effetto immediate del contratto ed avendo funzione corrispettiva rispetto alla prestazione di custodia, determina l'assunzione della struttura di contratto bilaterale ed a titolo oneroso. Viceversa, mancando quel diritto, il deposito rimane contratto unilaterale, malgrado gli obblighi di rimborso e indennizzo del depositante, poiché il carattere bilaterale o sinallagmatico non è in funzione della sola produzione, attuale o potenziale, di obbligazioni a carico di entrambe le parti, ma richiede che esse costituiscano effetto immediato e diretto del contratto e stiano in rapporto reciproco di corrispettività. Ed entrambi questi requisiti difettano nelle obbligazioni in esame: l'immediatezza, perché non sorgono direttamente dal contratto, rappresentandone il necessario effetto conforme alla volizione negoziale, ma in dipendenza di qualche fatto ulteriore avente attinenza con l'esecuzione del contratto; il nesso di corrispettività con le obbligazioni del depositario, perché la corresponsione del rimborso e dell'indennità non ha funzione retributiva della custodia come attività dovuta, ma intende solo a non farne sopportare il costo al depositario, onde non può certo dirsi che tale corresponsione costituisca lo scopo per cui il depositario si obbliga a custodire, nel senso in cui per i contratti bilaterali il conseguimento della controprestazione è scopo delta prestazione.
Il fondamento e la funzione degli obblighi in parola, ed il rapporto di essi con le obbligazioni del depositario sono quindi essenzialmente diversi, e non solo nel grado, dalla funzione e dal rapporto di corrispettività; onde va respinto, con la tradizionale qualifica di contratto sinallagmatico imperfetto, il giudizio di appartenenza del deposito ad un tertium genus o ad una particolare sottospecie dei contratti bilaterali. La presenza di queste obbligazioni non rende quindi applicabili al deposito le norme particolari ai contratti bilaterali (e specialmente degli artt. 1453 segg., che univocamente si riferiscono ai soli "contratti con prestazioni corrispettive").

Ciò, peraltro, non legittima, alcun dubbio sul collegamento di questi obblighi al contratto di deposito, come effetti di esso: ritenendo mancante tale collegamento, essi vengono da qualche autore ricollegati piuttosto ad un quasi-contratto venuto in essere in occasione del contratto, o più in particolare, al principio dell'indebito arricchimento, e si dovrebbe, per l'evidente irriferibilità di un siffatto fondamento all'obbligo di indennizzare le perdite, analogamente ricostruirlo sul terreno della responsabilità per illecito. Una siffatta sussunzione degli obblighi in esame non sarebbe irrilevante agli effetti pratici, come è intuitivo e come si dirà a breve, ma essa sembra assolutamente ingiustificata. Anzitutto perché i principi richiamati non genererebbero il sorgere degli obblighi nei casi ed alle sole condizioni, in cui essi sorgono a carico del depositante; ed, inoltre perché, se anche questa coincidenza di effetti si verificasse, non v'è ragione, e non è lecito all'interprete, di svuotare di contenuto la chiara assunzione legislativa di essi tra gli effetti del contratto, implicante l'assoggettamento al regime contrattuale, con tutte le peculiarità che lo diversificano da quello extra-contrattuale. Sussiste indubbiamente una affinità degli effetti in esame con i principi richiamati, e sussiste positivamente un intreccio tra effetti autonomi dei principi stessi ed effetti contrattuali: ma il primo rilievo attiene, più che altro, al campo prelegislativo o pregiuridico, e sopravvalutandolo si potrebbe finire col considerare applicazione dell'arricchimento anche l'obbligo di pagare il corrispettivo; e dal secondo deriva solo la necessità di attente valutazioni discriminative.

Più fondato è considerare complessa la fattispecie causativa di questi obblighi, risultante dal contratto e dal fatto ulteriore dell'esborso o della perdita, occasionati dall'esecuzione della custodia, ma purché non si inverta, in favore del secondo elemento, il rapporto di efficienza causale e sempre il contratto che determina la rilevanza giuridica del fatto ulteriore, e quindi costituisce la causa primaria dell'obbligo. Perciò, in ultima analisi, anche quest'ultima affermazione ha valore descrittivo e su questo piano sembra congruo e sufficiente considerare questa particolare efficacia del deposito come rivolta al mantenimento della sua funzione ed al ristabilimento del rapporto d'interessi fra le parti, di fronte a circostanze che ne provocherebbero l'ingiusta alterazione.


Retribuzione

Nessuna osservazione particolare occorre per il compenso, appunto perché, come già si è detto, la misura e le modalità del relativo diritto trovano la loro determinazione nel patto di retribuzione: le parti possono stabilirlo in somma fissa per l'intera durata del contratto, se questa è prestabilita, oppure limitarsi a fissare l'unità di misura per ogni unità di durata della custodia; possono convenire la corresponsione una tantum ed il momento in cui va fatta, o la corresponsione periodica.

Quando, in mancanza di patto espresso, l'onerosità del deposito è ritenuta in via interpretativa (vedi art. 1767), la misura del compenso dev'essere determinata in funzione della durata della custodia, secondo criteri di normalità che tengano conto degli usi, del valore della res deposita ed in genere dell'interesse del depositante, e della qualità professionale o meno, del depositario. Per l'ipotesi in cui sia stabilito un termine a tutela dell'interesse del depositario alla percezione della retribuzione, v. retro, art. 1771. Per le conseguenze del mancato pagamento del compenso, costituente controprestazione in senso proprio, si applicano gli artt. 1453 segg., salva la valutazione dell'importanza dell'inadempimento ai sensi dell'art. 1455, con particolare riguardo al fatto che il compenso è garantito sulla res deposita.


Rimborso delle spese

Il diritto al rimborso delle spese di conservazione è correlativo all'obbligo di sostenere tali spese (vedi, art. 1768). Pertanto, ove non sia analiticamente determinato dall'accordo il modo della custodia, debbono considerarsi rimborsabili soltanto le spese normalmente occorrenti per la custodia, e costituenti il costo dei mezzi reali e personali da cui essa risulta: canone pagato per l'affitto del locale, in quanto il depositario non disponga di locali propri, idonei in relazione alle dimensioni ed ai caratteri della res deposita nonché ai rischi cui è esposta; salario pagato agli ausiliari, in quanto non sia sufficiente l'attività personale del depositario; compenso pagato al subdepositario, solo in quanto ecceda il compenso percepito dal depositario, e purché il subdeposito a questo maggior prezzo sia stato consentito o si sia reso necessario ai sensi dell'art. 1770 cpv.; premio d'assicurazione, in quanto ne sia obbligatoria la stipulazione; spese per la conservazione dello stato d'uso, comprese quelle inerenti all'uso della cosa indispensabile alla manutenzione, e via di seguito.

Attesa tale correlatività tra spese rientranti nel contenuto della custodia e spese rimborsabili, è ovvio che neanche di queste è possibile la specificazione in linea astratta: esse variano col variare degli elementi, in funzione dei quali il contenuto della custodia si specifica, ed in particolare deve sempre presiedere alla determinazione concreta un criterio di proporzionalità, tra entità della spesa, valore della cosa ed esposizione di essa a rischi. Si suol discutere se nel rimborso vadano comprese, accanto alle spese necessarie, le spese utili. Sembra al riguardo che, riferita la necessità ed utilità alla custodia (come preservazione della cosa da rischi), non sia luogo alla distinzione, dato il carattere prevalentemente preventivo della custodia ed il criterio della diligenza media come misura del comportamento dovuto; ogni spesa è dovuta e rimborsabile, se idonea ed opportuna per assicurare la conservazione della cosa contro pericoli rientranti nella normale prevedibilità; la lettera della legge non distingue, perché la distinzione sarebbe necessaria solo se si trattasse di una questione autonoma, e non di un effetto riflesso del contenuto della custodia. È invece certa, per questa stessa ragione e per la lettera della legge, l'esclusione delle spese utili, se con tale espressione ci si intende riferire a quelle rivolte al miglioramento della cosa, e non al mantenimento di essa in condizioni inalterate: un credito del depositario per l'effettuazione di esse può derivare soltanto dal principio dell'arricchimento, vedremo subito con quali diverse conseguenze pratiche.

Non c'e, viceversa, ragione di limitare il rimborso alle spese urgenti e improrogabili né sussiste l'analogia con l'art. 1808 cpv. sul comodato, che contiene tale limitazione, perché in questo contratto la custodia, non attenendo alla causa negoziale, ha un contenuto più limitato che nel deposito. Unico criterio delimitativo è pertanto quello della norma­lità della spesa.

È ovvia la possibilità di un diverso regolamento convenzionale, che estenda il campo delle spese rimborsabili, in quanto il depositante richieda, per maggior tranquillità o per il valore d'affezione della cosa, modalità di custodia più costose delle normali; o viceversa lo limiti alle spese determinate da avvenimenti imprevedibili — che si debbono ritenere rimborsabili in ogni caso — mentre di quelle normali si tiene preventivamente conto nella determinazione del corrispettivo. Anzi, essendo questa pratica costante nell'assunzione professionale di depositi, deve ritenersi in tal caso implicitamente escluso il rimborso delle spese normali di conservazione.

Il rimborso delle spese di conservazione è dovuto indipendentemente dal fatto che, in definitiva, di esse abbia effettivamente profittato il depositante, ed in particolare anche se, successivamente all'erogazione, la cosa sia andata distrutta, perduta o deteriorata, per causa non imputabile al depositario. Il che, da un canto, corrisponde ad una evidentissima esigenza equitativa, dall'altro costituisce una peculiare conseguenza della sussunzione legislativa di quest'obbligo tra gli effetti contrattuali, poiché, invece, in base al principio dell'arricchimento, il rimborso sarebbe condizionato dall'effettiva in rem versio, e pertanto dovuto nei limiti dell'effettivo aumento di valore della res deposita o comunque del risultato utile conseguito; ne potrebbe, in, mancanza o per l'eccedenza, ricorrersi all'actio negotiorum gestorum contraria, per la quale è sufficiente l'utilità iniziale (art. 2031), essendo evidente che l'esistenza di un contratto rivolto alla finalità di conservazione della cosa è antitetica al presupposto della gestione.

Sempre in mancanza di diversa pattuizione, il diritto al rimborso, come dimostra la stessa parola, sorge dopo l'erogazione della spesa; l'anticipazione, come prevista in via normale in favore del mandatario (art. 1720), può ritenersi dovuta solo se la necessità della spesa sia provocata da avvenimenti straordinari e imprevedibili. D'altra parte il depositario, nel silenzio della legge, può pretendere il rimborso non appena erogata la spesa, senza attendere la scadenza del contratto (art. 1183); ma non può, per il mancato pagamento, provvedersi ai sensi degli artt.1453 segg., invocabili solo per mancato adempimento della controprestazione, poiché tale non è, come si è visto, il rimborso.
Il suo interesse, d'altra parte, è garantito dalla res deposita, ed inoltre, in linea di fatto ed in mancanza di termine, dalla facoltà di recesso ai sensi dell'art. 1771, di cui egli può di fatto prevalersi anche per ottenere l'anticipazione per le spese.


Indennizzo delle perdite

Con la dizione, forse impropria ed in parte mutuata dal codice abrogato (art. 1862), di «perdite cagionate dal deposito», la disposizione in esame non può riferirsi ad altro che a quei danni cagionati da vizi o in genere caratteristiche della cosa, per la pericolosità o generica attitudine a produrli ad essi inerente, di cui si occupano anche gli artt. 1578 cpv., 1812, 1821 (per es. incendio, adulterazione o deterioramento in genere di altre cose proprie del depositario, esplosione etc.); ed in conseguenza il termine «deposito» vale qui «cosa depositata». Così intese le perdite indennizzabili, non sembra criticabile la sostituzione dell'espressione «cagionate dal deposito» a quella «subite in occasione del deposito», adoperata dall'art. 1862 cod. abrogato, in quanto più restrittiva trattandosi, almeno inizialmente, di un
determinismo meramente materiale, non è presumibile che la formula più restrittiva possa condurre ad apprezzabili differenze pratiche, tanto meno contrastanti con esigenze equitative; mentre, per converso, essa vale ad escludere senza possibilità di dubbio i danni subiti dal depositario, che illecitamente si serva della res deposita.

Nell'indennizzo sono compresi i danni cagionati dalla res deposita a terzi, non nel senso che il depositante sia direttamente tenuto verso questi ultimi, bensì sotto forma di rivalsa dovuta al depositario, che al risarcimento abbia dovuto provvedere ai sensi dell'art. 2051.

Il confronto tra l'art. 1781, che sancisce la responsabilità sic et simpliciter, gli artt. 1821 pr. e 1578 cpv. che per il mutuo oneroso e la locazione di cosa ammettono la prova liberatoria dell'ignoranza incolpevole del tradens al momento della consegna, ed infine gli artt. 1812 e 1821 cpv., che, per il comodato ed il mutuo gratuito, condizionano la responsabilità alla mancata avvertenza da parte del tradens consapevole, sta a dimostrare che la responsabilità del depositante sussiste indipendentemente dalla sua scienza o colpa.
Se la diversa gradazione di responsabilità operata dai tre gruppi di norme suindicate appare conforme alla funzione economica dei contratti cui esse si riferiscono (contratto nell'interesse del tradens, il deposito; nell'interesse dell'accipiens, ma retribuito, il mutuo oneroso e la locazione di cosa; nell'interesse dell'accipiens, e gratuito, il comodato e il mutuo senza interessi), tuttavia la sanzione di responsabilità oggettiva a carico del depositante sembra eccessiva. Tanto più se si pensi che il depositario è contrattualmente tenuto, per l'elasticità del criterio della diligenza normale, ad adottare le misure di custodia adeguate alla particolare natura della res deposita, e quindi, nei limiti del possibile, a rendersi conto di tale natura. È vero, peraltro, che la colpa in tal senso a lui imputabile viene in gioco come criterio moderatore dell'indennizzo dovuto, ai sensi dell'art. 1227 (concorso del fatto colposo del creditore); e che, quando le perdite a carico del depositario si verificano insieme alla perdita della res deposita ed in conseguenza di questa (es. incendio, esplosione), se tale perdita costituisca inadempimento, non trova, parrebbe, luogo l'indennizzo, neanche in via di compensazione dei danni rispettivi (arg. largamente dall'art. 1221 relativo agli effetti della mora sul rischio). Cosicché, per questa via, il comportamento del depositante riacquista almeno in parte rilievo, poiché intanto il depositario potrà considerarsi in colpa, per non aver adottato nella custodia le misure adeguate alla particolare natura della cosa, in quanto sia stato posto in condizione di conoscere tale natura, ed al riguardo, anzi, non importa, la conoscenza o conoscibilità del vizio o della pericolosità della cosa da parte del depositante.

È ovvio, peraltro, che, se i vizi o caratteri di pericolosità occulti della cosa sono stati taciuti dolosamente o in mala fede dal depositante, egli versa in re illicita, e la sua responsabilità va affermata senza limitazioni di sorta, né può essere esclusa convenzionalmente. Non v'è per il deposito una disposizione espressa in questo senso, come invece per la locazione di cosa (art. 1579); ma si tratta di una diretta conseguenza del principio generale posto dall'art. 1229, il quale dichiara nullo qualsiasi patto che esclude la responsabilità per dolo o colpa grave, e pertanto essa vale in ogni caso.

La regola esaminata vale anche se il danno si è verificato durante ed in conseguenza dell'uso necessario per la conservazione della cosa; se, invece, si tratti di uso consentito nell'interesse del depositario, si applicherà la norma regolatrice dei danni derivanti dalla cosa comodata (art.1812), e pertanto l'indennizzo non sarà dovuto quando il depositante sciente dei vizi non ne abbia avvertito il depositario.
Circa il momento costitutivo dell'obbligo di indennizzo, e le conseguenze dell'inadempimento, valgono le osservazioni fatte, sopra riguardo il rimborso delle spese di conservazione.


Legittimazione attiva e passiva

I diritti di cui all'art. 1781 competono naturalmente al depositario. In caso di pluralità di depositari, il compenso in denaro o comunque divisibile, spetterà a ciascuno pro quota (art 1314); diversamente si seguiranno le regole generali sulle obbligazioni indivisibili. Invece titolare dei diritti di rimborso e indennizzo sarò quello, tra i depositari, che ha sostenuto le spese e subito le perdite.
Tenuto a provvedere al pagamento del compenso, al rimborso delle spese e dell'indennizzo delle perdite è il depositante o suo avente causa. Se più sono i depositanti, essi saranno tenuti in solido, a meno che non risulti la volontà di essi di sottrarsi al vincolo, presunto in linea generale dal codice, della solidarietà passiva (art. 1294).

Si sostiene da molti che il diritto al rimborso delle spese di conservazione, quando la res deposita venga comunque restituita ed un terzo rivendicante, beneficiario, terzo interessato nel deposito, competa nei confronti di esso, e solo di esso, con esclusione del depositante. Ma questa, che viene prospettata come conseguenza della tesi dell'arricchimento indebito, cade insieme a tale promessa; né si può ammettere che l'azione verso il terzo concorra con quella, contrattuale, verso il depositante, dato il carattere residuale dell'azione di arricchimento (art. 2042).

L'azione di arricchimento nei confronti del terzo può ammettersi solo per quelle spese (utili o di miglioramento) compiute dal depositario oltre i limiti del suo dovere di custodia, e come tali non coperte dall'azione contrattuale.
Ugualmente in base al suo carattere contrattuale va determinata l'incidenza dell'obbligo di indennizzare le perdite cagionate dal deposito.
Nei limiti del compenso dovuto al depositario può ammettersi, per applicazione analogica dell'art 1676 - che in tal senso dispone con riguardo all'appalto - che competa ai suoi ausiliari, per il pagamento del salario, azione diretta nei confronti del depositante.


Diritti del depositario nei casi di svolgimento anomalo del rapporto

Interessa particolarmente determinare le vicende dei diritti del depositario nelle ipotesi di svolgimento anomalo del rapporto, cioè esaminare se, ed in che misura, essi competano in caso di impossibilità sopravvenuta o di inadempimento.
Per quanto concerne il diritto alla retribuzione, la sussistenza o meno di esso, sia pure in misura ridotta, è in relazione al generale problema di individuzione del tipo negoziale (vedi, art.1766). Secondo, infatti, che si consideri essenziale l'obbligo di custodia, e consequenziale quello di restituzione, o viceversa essenziale questo, e da esso assorbito, come preparatorio o strumentale, il primo, va riconosciuto, o meno, al deposito, il carattere di contratto ad esecuzione continuat; con la conseguenza che adempiuta esattamente la custodia fino ad un certo momento, e divenuta impossibile o inadempiuta in seguito, l'attività svolta dal depositario fino a quel punto sarà o non sarà da considerarsi come adempimento giuridicamente rilevante, o prestazione già effettuata. Alla stregua della seconda opinione il depositario, sopravvenuta o verificatosi l'inadempimento, non avrebbe alcun diritto a compenso, in nessun caso e neppure in misura ridotta. Accolta invece, come si ritiene esatto, la prima teoria, deve riconoscersi al depositario il diritto al compenso, ridotto in proporzione alla durata di esatto adempimento della custodia.

Per l'ipotesi di risoluzione del contratto, ciò è sancito espressamente dall'art. 1458 (per i contratti ad esecuzione continuata... «l'effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite»); per l'ipotesi di impossibilità sopravvenuta, deve ritenersi applicabile ai contratti ad esecuzione continuata l'art. 1464 sull'impossibilità parziale, ben potendo, per essi, la "parzialità" riferirsi alla durata dell'adempimento.
All'ipotesi di recesso (richiesta di restituzione) provvede, in senso conforme, l'art. 1373, secondo comma.

La permanenza, invece, dei diritti di rimborso ed indennizzo, va, presumibilmente, riconosciuta, anche prescindendo dalla configurazione del rapporto nell'un senso o nell'altro. Non rappresentando, essi, contro-prestazioni, cioè prestazioni con funzione di corrispettività, sono per ciò stesso immuni dagli effetti dell'impossibilità sopravvenuta (art. 1463) e della risoluzione: salva, nel caso di inadempimento colposo, la valutazione della proporzione tra l'entità delle spese di conservazione (per es. predisposizione di mezzi reali adeguati ad un lungo svolgimento) e l'effettiva durata della custodia.

In un solo caso i diritti del depositario cadono radicalmente: quello di liberazione del depositario di cosa propria ai sensi dell'art. 1779, quando la situazione ipotizzata da questa norma sia originaria e non sopravvenuta. Se, invece, sia sopravvenuta, il depositario ha diritto al compenso in proporzione della durata del deposito, ed al rimborso ed indennizzo integrale delle spese erogate e delle perdite sofferte fino al momento in cui la res deposita diventa sua.
È superfluo ricordare, infine, che solo al pagamento del compenso, non anche al rimborso e all'indennizzo, sono applicabili le norme degli artt. 1460 e 1461, concernenti il rifiuto o la sospensione di «prestazioni» corrispettive.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

560 Non è stata apportata alcuna innovazione né alle regole poste dalla Commissione reale ai cosidetti rimborsi e i risarcimenti dovuti al depositario (art. 649) né a quelle circa il diritto di ritenzione (art. 650).
Quanto ai rimborsi e ai risarcimenti è peraltro da rilevare che la dottrina propende a non ammettere quello delle spese utili; ho trovato esatta questa opinione. In quanto un detentore per custodia è autorizzato a fare solo le spese che siano necessarie per conservare la cosa nelle condizioni in cui l'ha ricevuta. Pertanto, riguardo alle spese utili, il depositante, secondo i principi generali, dovrà rispondere solo nei limiti dell'arricchimento.

Massime relative all'art. 1781 Codice Civile

Cass. civ. n. 759/2011

Il contratto a favore di terzi, di cui all'art. 1411 c.c., può attribuire al beneficiario diritti, ma mai imporgli obblighi; pertanto, nell'ipotesi in cui un autoveicolo oggetto di furto sia recuperato dalla polizia giudiziaria ed affidato ad un depositario, questi non può pretendere dal proprietario, o dell'impresa assicuratrice che abbia risarcito il danno a quest'ultimo, alcun corrispettivo per il deposito se né la polizia né egli stesso abbiano informato il proprietario dell'avvenuto ritrovamento e del deposito.

Cass. civ. n. 16208/2008

In tema di compenso del depositario di veicoli sottoposti a sequestro penale od amministrativo, il rimborso per le opere di conservazione, previsto dall'art. 1781 c.c., è dovuto nella misura in cui siano provati specifici costi di conservazione, essendo invece insita nella funzione dei deposito e conseguentemente non separatamente indennizzabile l'attività di custodia e conservazione del bene, in quanto necessaria all'assolvimento del primario obbligo di restituzione in natura. (Nella specie la S.C. ha accolto il ricorso del Ministero dell'Interno secondo cui erroneamente la Corte di merito aveva riconosciuto al depositario di veicoli sottoposti a sequestro amministrativo l'ulteriore compenso per l'attività di conservazione dei mezzi, per aver approntato apposita area recintata per il ricovero degli stessi). 

Cass. civ. n. 10322/1992

Il sequestro penale della merce oggetto di deposito e la successiva vendita giudiziale dei beni sequestrati rendono impossibili le prestazioni del depositario e, incidendo direttamente sul sinallagma funzionale del rapporto, ne impediscono l'ulteriore attuazione; ne consegue che, a partire dalla data del sequestro penale, il depositario non ha più diritto al corrispettivo in dipendenza del rapporto di deposito, ma soltanto al compenso da parte dello Stato, se nominato custode delle cose sequestrate.

Cass. civ. n. 3409/1983

Qualora un'autovettura, sottratta da ignoti al proprietario ed abbandonata nella pubblica via, sia dagli organi di polizia affidata in custodia ad un terzo, nel suo deposito, allo scopo di evitare intralci alla circolazione, non si configura il sequestro penale del veicolo, per il cui perfezionamento è necessario un atto scritto dal quale sia desumibile, in modo certo, la volontà degli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria di costituire un vincolo di indisponibilità temporanea assoluta in ordine al bene, con la conseguenza che il deposito e la custodia dell'autovettura devono ritenersi eseguiti nell'interesse, non della pubblica amministrazione, ma del proprietario dell'autovettura stessa, che, quindi, è tenuto al pagamento al depositario di quanto dovuto a titolo di compenso e di rimborso di spese. Né tale obbligazione viene meno per effetto del trasferimento della proprietà del veicolo all'assicuratore del derubato, a seguito del pagamento del capitale assicurato, determinandosi una successione particolare nel debito senza liberazione dell'originario obbligato ma con la sostituzione all'obbligazione individuale del proprietario dell'autovettura di quella solidale di costui e del suo avente causa.

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