Impossibilità della prestazione per causa non imputabile
La liberazione del depositario per impossibilità non imputabile della prestazione (di custodia e restituzione) discende dalle regole generali sulle obbligazioni, poiché tale impossibilità costituisce causa estintiva dell'obbligazione in generale (art. 1256).
La liberazione del depositario dunque, in conformità ai principi generali, consegue così al perimento della res deposita, come alla perdita di essa, che tuttavia sussista presso altri, quando egli provi che la causa di questi eventi non è a lei imputabile. A tal fine non occorre che il depositario dimostri in conseguenza di quale specifico evento l'impossibilità si sia verificata, il che renderebbe evidentemente più difficile la prova liberatoria, potendo egli incolpevolmente ignorare o non essere in grado di identificare direttamente e positivamente tale evento ma è a ritenersi sufficiente che egli dimostri di aver impiegato la diligenza dovuta, con la conseguenza che la causa ignota, una volta dimostrata la diligenza, rimane a carico del depositante.
In questo senso, infatti, è stato definito in linea di principio dal codice attuale il vessato problema interpretativo già provocato dagli artt. 1224-1226 del codice abrogato; onde la prova specifica dell'evento produttivo dell'impossibilità di adempimento deve ritenersi necessaria, solo quando in tal senso dispongano norme particolari, che ricolleghino la liberazione al verificarsi di determinati eventi.
Dunque è irrilevante, se non per trarne argomento a fortiori, la specifica natura dell'evento produttivo dell'impossibilità, bastando la prova dell'impiego della diligenza nella custodia, da valutarsi con minor rigore se il deposito è gratuito (art. 1768 cpv.); e ne consegue che qualsiasi evento può costituire causa non imputabile, se si dimostri che si è verificato malgrado la diligente custodia. Certamente può a priori riconoscersi ancora l'efficacia liberatoria di quei fatti, tradizionalmente ritenuti esemplificativi del casus e della vis major:il terremoto, il maremoto, l'eruzione, il factum principis, per es. requisizione coattiva dells res deposita, ma non è possibile valutare in linea generale se e quali altri eventi siano non imputabili. Il giudizio dovrà invece formularsi, caso per caso, in base alle modalità concrete dell'evento, rapportate all'entità dei mezzi preventivi che, in relazione alla natura ed al valore della res deposita e a tutte le altre circostanze, si debbono considerare dovuti dal depositario. Epperò, come non è possibile determinare in linea astratta il contenuto specifico della custodia del buon padre di famiglia (vedi art. 1768), così non è possibile la preventiva determinazione specifica delle cause non imputabili. Particolarmente significativa, come manifestazione del criterio direttivo da seguire, è la disposizione dell'art. 1257 sullo smarrimento, che, applicata al deposito, implica appunto la liberazione del depositario, che dimostri di aver impiegato la dovuta diligenza media, quando la cosa non sia ritrovata nel luogo in cui era stata riposta dal depositario, e questi non sia in grado di individuare la causa della sua scomparsa.
Sono naturalmente applicabili anche le norme sulla impossibilità parziale (art. 1258), da cui deriva l'efficacia liberatoria della restituzione delle sole cose rimaste o anche della cosa deteriorata; e quelle sull'adempimento inesatto o tardivo per causa non imputabile (art. 1218).
Sempre in conformità alle regole generali, il depositario sarà invece responsabile per l'impossibilità di esatto adempimento sopravvenuta dopo la costituzione in mora (salva la prova di cui all'art. 1221), e, in ogni caso, se abbia convenzionalmente assunto il rischio del fortuito. Come illazione dal carattere essenzialmente preventivo dell'attività di custodia, è stato esattamente osservato che la responsabilità del depositario rimane, anche se sia riuscito impossibile eliminare l'evento dannoso in atto o i suoi effetti, quando sarebbe stato possibile, alla stregua della diligenza media, sottrarre preventivamente la cosa all'evento medesimo.
Perdita non imputabile della detenzione e recupero di essa
V'è tuttavia, in tema di impossibilità per causa non imputabile, una disposizione espressa in sede particolare, quella dell'art. 1780. Stante il dichiarato criterio direttivo del codice, di evitare la mera ripetizione di principi generali in sede particolare, bisogna cercare di individuarne il contenuto normativo.
La disposizione in esame si risolve in quattro proposizioni: liberazione del depositario per perdita della detenzione della cosa in seguito a fatto non imputabile, obbligo di avvertirne immediatamente il depositante, diritto del depositante di ricevere ciò che il depositario abbia conseguito in conseguenza del fatto stesso, subingresso del depositante nei diritti spettanti al depositario. La fattispecie considerata dalla norma è quella di perdita della detenzione della res deposita in conseguenza del fatto di terzi, che vi si immettano, e non di perimento della stessa, sia pure dovuto all'altrui fatto umano (distruzione), come dimostra la dizione dell'articolo ( "se la detenzione.... è tolta al depositario..."); deve inoltre ritenersi che si contempli solo o principalmente il caso di sottrazione arbitraria, con o senza gli estremi di reato ai sensi degli artt. 624 segg. cod. pen., poiché all'ipotesi di rivendicazione od altra azione giudiziaria provvede l'art. 1777 cpv.
In relazione alla fattispecie così individuata, la prima regola (liberazione) potrebbe a prima vista apparire superflua, poiché l'art. 1256 comprende tutte le possibili cause non imputabili, ma in realtà non è. Essa, infatti, ha il valore di escludere che il depositario sia tenuto a recuperare la cosa dal terzo detentore, anche quando tale recupero sarebbe possibile in virtù della situazione possessoria inerente alla qualità di depositario, e cioè quando competerebbe a questi l'azione reintegratoria, a norma dell'art. 1168, verso l'autore dello spoglio.
Si coglie così la specifica utilità della previsione espressa di questa particolare causa di impossibilità, poiché, in mancanza, si potrebbe dubitare della persistenza dell'obbligazione di restituire, previo recupero, e considerare la perdita della detenzione cagionata dall'altrui spoglio come mera impossibilità temporanea, ai sensi dell'art. 1256 cpv., giustificativa solo del ritardo nell'adempimento. La regola liberatoria sancita, invece, è conforme all'individuazione dell'obbligo di custodia come principale e di quello di restituzione come meramente conseguenziale, poiché la custodia presuppone il possesso, e diviene impossibile quando questo venga a mancare, non essendo pensabile un obbligo di custodire senza possedere, anche per la realità del contratto; e ribadisce, insieme alle premesse poste in tal senso (vedi art. 1766), anche quella dell'estraneità alla custodia dell'attività di tutela giuridica.
In relazione a questo suo significato, che è l'unico utile possibile, la norma non menziona, accanto alla perdita della detenzione, anche la distruzione per caso fortuito e la requisizione per atto di pubblica autorità, il cui pieno valore liberatorio deriva dalla regola generale.
È ovvio poi che, quando l'altrui sottrazione riveste gli estremi del reato (furto, rapina, estorsione ecc.), il depositario non è tenuto, nei confronti del depositante, a promuovere, in quanto occorra, l'azione penale.
Obbligo di denuncia e diritti del depositario in seguito all'impossibilità sopravvenuta
Escluso così l'obbligo del recupero, opportunamente l'art. 1780 provvede alla tutela dell'interesse del depositante - che può trovarsi nell'impossibilità, e comunque non ha ragione, avendo depositato la cosa, di vigilare - sancendo a carico del depositario l'obbligo di denunciare immediatamente il fatto al depositante: così che questi sia in condizione di provvedere tempestivamente al recupero, esercitando le azioni possessorie e petitorie che gli competano, in tempo utile sia rispetto ad eventuali termini di decadenza sia rispetto ad eventuali pregiudizi in linea di fatto (derivanti per es. dal perimento della cosa o dalla trasmissione di essa a terzi di buona fede: cfr. artt. 1153 e 1169). Questa essendo la ratio dell'obbligo di denuncia, non v'è motivo di non estenderlo analogicamente anche alle altre ipotesi di perdita non imputabile, e così non solo alla requisizione (del resto forse rientrante nella dizione della norma), ma anche alla distruzione o al deterioramento della cosa, per fatto umano o naturale; in relazione alla prima ipotesi, affinché il depositante sia in grado di tutelare, anche con tempestive opposizioni alla stima, il suo diritto all'indennizzo; in relazione alla seconda, perché possa esperire l'azione di risarcimento nei confronti del terzo colpevole, o esercitare, con l'osservanza delle formalità e dei termini stabiliti, i diritti derivanti dall'assicurazione della cosa, cui egli può aver provveduto.
Analogamente, deve ritenersi applicabile a tutte le ipotesi, nelle quali il depositario abbia ricevuto qualche cosa — per es. indennità in seguito a requisizione, indennità corrisposta dall'assicuratore, somma ricevuta da terzi a titolo di risarcimento, anche se non dovuto ed offerto in via amichevole — o vanti dei diritti in conseguenza del fatto non imputabile, che ha reso impossibile la restituzione, l'ultima parte della norma in esame, che attribuisce al depositante il diritto di ricevere quel che il depositario abbia conseguito o il subingresso nei diritti ad esso spettanti. Si tratta, infatti, di pura e semplice applicazione al deposito della regola generale posta dall'art. 1259, e non v'è ragione di ritenere che, con l'espressa menzione nel corso di una disposizione relativa ad un determinato caso di impossibilità, si sia voluto escluderne l'applicazione a tutti gli altri casi. Per questa parte la disposizione espressa deve perciò ritenersi pleonastica, e tutt'al più giustificata solo da ragioni di completezza formale; essa, comunque, non può ingenerare dubbi di sorta.
Inadempimento del depositario e sue conseguenze
L'impossibilità sopravvenuta della prestazione determina, secondo le regole generali, l'estinzione ipso jure (degli effetti) del contratto, provocando l'immediata liberazione non solo del depositario (cfr. art. 1256), ma anche, se il deposito è retribuito, del depositante (cfr. art. 1463): l'eventuale azione di quest'ultimo per la ripetizione del corrispettivo pagato e per il conseguimento di ciò che abbia ricevuto il depositario (o il subingresso nei diritti di esso), non sono effetti del contratto, ma applicazioni, rispettivamente, dei principi sul pagamento indebito e sull'arricchimento senza causa (artt. 2033, 2041).
Viceversa l'inadempimento del depositario, che comprende anche l'impossibilità, della prestazione per causa a lui imputabile, non determina l'immediata e completa cessazione dell'efficacia del contratto, ma soltanto una trasformazione di tale efficacia. E precisamente :
a) se la prestazione di custodia è ancora possibile, il depositante può agire per ottenerne l'adempimento (artt. 1218 e 1453), provvedendo eventualmente a spese del depositario, che non abbia eseguita la sentenza di condanna, al recupero della cosa dal terzo detentore, se del caso, e al deposito di essa presso un terzo (art. 2931);
b) se l'adempimento è impossibile, o comunque se il depositante lo preferisce, egli può, trattandosi di deposito oneroso, chiederne la risoluzione ai sensi degli artt. 1453 segg.; questa però non opera retroattivamente, riguardo alla prestazione di custodia già avvenuta ed al corrispettivo per essa pagato, poiché il deposito è un contratto ad esecuzione continuata (art. 1458). Ma se la restituzione è ancora possibile, l'esercizio di questo diritto non ha normalmente ragione pratica, potendo il depositante avvalersi del potere di recesso unilaterale; la ritrova, invece, se c'è un termine nell'interesse del depositario, che escluda il recesso.
Inoltre, presumibilmente la restituzione, anche in sede di adempimento forzato o di risoluzione, non può aver luogo senza il consenso del terzo interessato nel deposito (art. 1773);
c) infine, in tutti i casi (perdita o deterioramento della cosa, ritardo nella restituzione), il depositante ha diritto, a titolo sostitutivo o integrativo della cosa o della custodia, al risarcimento dei danni (artt. 1218 e 1453), presupponente anch'esso non l'estinzione ma soltanto la conversione (obbligo secondario) delle obbligazioni ex deposito.
Tutti questi diritti del depositante, costituenti la reazione giuridica dell'inadempienza, non sorgono soltanto nel momento in cui ha luogo o avrebbe dovuto aver luogo la restituzione, cioè alla scadenza del contratto, ma nel momento stesso in cui, per perimento, perdita della detenzione, alienazione, deterioramento della res deposita, o per trasgressione dei divieti d'uso e subdeposito, o per variazione arbitraria del modo della custodia, o per mancanza o inidoneità così dell'attività custodente come della predisposizione dei mezzi reali (per es. del locale in cui è riposta la cosa), risulti violata o non diligentemente o esattamente adempiuta l'obbligazione di custodire. Questa, infatti, come obbligazione ad esecuzione continuata e quasi immanente, è giuridicamente rilevante sin dal momento della conclusione del contratto, e non scade, sebbene cessi con la scadenza di esso; e si è già ampiamente dimostrato non essere esatto che manchi, prima della restituzione o della scadenza, una autonoma pretesa derivante dalla violazione della custodia, per difetto di interesse del depositante, come sostenuto da coloro che considerano l'obbligo di custodire assorbito da quello di restituire (v. artt. 1766 e 1770). Le azioni del depositante sorgono subito e sono immediatamente esperibili; è vero, peraltro, che normalmente in pratica vengono esercitate in sede di restituzione, perché di solito il depositante, garantito dal relativo obbligo del depositario, non si preoccupa e spesso non ha la possibilità di seguire l'andamento della custodia. È poi ovvio che non qualsiasi deficienza della custodia è idonea a provocare la risoluzione, se, ad avviso del giudice, non rivesta sufficiente importanza (art. 1455).
Risarcimento del danno
Qualche considerazione particolare richiede il risarcimento del danno. Ha funzione sostitutiva della restituzione in natura, ed in esso si concentrano tutti i diritti del depositante quando la cosa più non sussista presso il depositario: non è pensabile, infatti, che il depositante possa obbligare il depositario a recuperare la cosa dal terzo detentore mediante l'esercizio dell'azione reintegratoria, attesa la normale estraneità di attività giuridiche alla custodia; né, del resto, il depositante vi avrebbe interesse, potendo egli stesso provvedere al recupero finché ne sussiste la possibilità, e gravando le relative spese, a titolo di danni, sul depositante. In tal caso, ed a fortiori quando la cosa sia perita, il depositante può agire direttamente per i danni, e non occorre, per elementare ragione di economia processuale, una preventiva condanna alla restituzione.
Diversamente, se si tratti di recupero materiale o se la cosa sussista presso il depositario: in tal caso il depositante può, se crede, agire per l'adempimento, e può, in base alla sentenza, ottenere l'esecuzione specifica non solo della restituzione, ma anche della custodia, se vi abbia ancora interesse (cfr. artt. 2 930 e 2931). In questa, come nelle ipotesi di restituzione difettosa (per deterioramenti della cosa) o tardiva, o di insufficiente esecuzione della custodia che costringa il depositante a scegliere un altro depositario incontrando maggiori spese, il risarcimento ha funzione integrativa.
Così nel caso di perdita come in quello di deterioramento della res deposita, interessa stabilire il valore di essa, che va compreso nel risarcimento integralmente o proporzionalmente. È controverso a qual momento si debba far capo per tale stima; presumibilmente a quello della scadenza (o della richiesta di restituzione), né sembra che tale soluzione sia in contrasto col considerare sorto l'obbligo del risarcimento nel momento della violazione della custodia, poiché ciò non toglie che il risarcimento abbia la funzione di rimettere il depositante nella stessa condizione in cui si sarebbe trovato se avesse riavuto la cosa in condizioni inalterate in seguito all'esatta esecuzione del contratto, e quindi nel momento in cui la restituzione avrebbe dovuto aver luogo.
La determinazione del momento, costitutivo dell'obbligo di risarcimento rileva, invece, per considerarlo dovuto in moneta fallimentare, se la perdita, consumazione, o alienazione della cosa si è verificata prima della dichiarazione di fallimento del depositario. La tesi accolta è quella nel senso della computazione del valore della res deposita al momento della scadenza, cioè del termine di restituzione o della relativa richiesta.